Supplemento alla III parte

Indice

Il matrimonio

( Suppl., qq. 41-68 )

1 - Se c'è un trattato nel Supplemento di cui si rimpiange universalmente la mancata rielaborazione da parte dell'Autore nella sua piena maturità, questo è il trattato sul matrimonio.

La mastodontica inflazione libraria che ha investito il settimo sacramento, specialmente negli ultimi decenni, non fa che acuire codesto rimpianto; perché le interminabili discussioni e le vivaci prese di posizione dei teologi cattolici sui problemi relativi alla vita matrimoniale avrebbero trovato nei testi definitivi dell'Aquinate un punto di riferimento sicuro, se non addirittura un principio di soluzione.

Invece l'esposizione delle Sentenze, che l'ignoto compilatore ha tentato di disporre organicamente nel Supplemento, ci presenta un abbozzo di ricerca sui vari problemi, in cui si segue per lo più la falsariga dei predecessori.

Tuttavia anche così com'è, il testo che per la prima volta presentiamo al pubblico in veste italiana, ha avuto ed avrà sempre un influsso superlativo sul pensiero cattolico.

È giusto quindi riconoscere che S. Tommaso ha risolto molti problemi relativi al matrimonio, seguendo la traccia della legislazione canonica dei suoi tempi.

E poiché questa, come tutte le leggi positive, è soggetta a mutare secondo le circostanze di tempo e di luogo, è evidente che nel trattato non mancano le parti caduche.

Nelle nostre note in calce noi non mancheremo certo di mettere sull'avviso i nostri lettori.

Ma sui punti più importanti, quelli che riguardano la natura stessa del sacramento del matrimonio, o le sue proprietà essenziali, constateremo la solidità della dottrina tomista.

É verosimile che se S. Tommaso avesse potuto terminare la Tertia Pars, il suo insegnamento avrebbe guadagnato in vigore e in concisione; ma « a giudicare da quanto egli ha scritto sullo stesso argomento nella Contra Gentiles, dove tratta lungamente certe questioni che qui sono affrontate, quali l'indissolubilità del matrimonio e la sua unità, niente permette di affermare che il suo insegnamento non sarebbe rimasto sostanzialmente identico.

Sta il fatto che egli fin da principio ha saputo penetrare al fondo delle cose, e, grazie alla profondità del suo sguardo, illuminato da quella luce soprannaturale così spesso e così umilmente domandata ai piedi dell'altare, ha saputo proiettare su questi temi delicati una chiarezza, di cui hanno beneficiato tutti coloro che, dietro le sue orme, hanno studiato questi problemi tanto più importanti quanto più toccano da vicino la vita umana di tutti i giorni.

- È così che S. Tommaso più di molti altri ha contribuito, non già a fissare la dottrina cattolica sul matrimonio, ma a spiegarla e a giustificarla, al punto che molti degli argomenti da lui addotti sono diventati classici.

Non è questa la prova migliore della loro solidità … ( DURAND )., Le Mariage, t. 3, in SOMME FRANC., p. 6 ).

I - Le Fonti del trattato.

2 - Come il resto del Supplemento, anche il trattato sul matrimonio è ricavato dal commento giovanile di S. Tommaso alle Sentenze.

Perciò la fonte principale che ci interessa, se pure di fonte è il caso di parlare, sono le sedici distinzioni che Pietro Lombardo ha dedicato al tema nella sua opera ( cfr. 4 Sent., dd. 26-42 ).

Tutti sanno però che l'opera del Lombardo è un continuo richiamo ad altre fonti, essendo concepita come una cucitura quasi continua di testi tratti dalla Bibbia e dai santi Padri, nonché di canoni emanati dalle competenti autorità ecclesiastiche.

Nel suo commento S. Tommaso non discute l'autenticità di codesti brani, limitandosi a conciliare meglio le reali od apparenti loro contraddizioni.

Si mostra invece più attento nel prendere atto delle nuove disposizioni disciplinari, emanate dopo la composizione delle Sentenze.

Senza mancare di rispetto verso la legislazione precedente, dietro l'esempio dei canonisti contemporanei, egli in materia guarda più alle Decretali di Gregorio IX, che al Decreto di Graziano.

3 - Tra i Padri occupa un posto di preminenza S. Agostino, sia per il numero che per l'importanza delle citazioni.

L'accordo dei massimi dottori della Chiesa sui problemi più importanti relativi al matrimonio si può dire sostanzialmente perfetto.

L'Aquinate si è ribellato solo all'idea che questo sacramento non fosse in grado di conferire la grazia, e che la copula carnale non fosse intrinsecamente buona nell'ordine morale.

Ma questa concordanza non persuade affatto molti nostri teologi contemporanei, perché a loro giudizio i due Santi quanto ai problemi del sesso avrebbero subito le false impostazioni del pensiero greco.

Certo si è che S. Tommaso non fa mistero delle fonti anche profane della sua cultura neppure in questo trattato.

Aristotele vi è citato con una certa insistenza, non manca neppure una citazione di Avicenna ( cfr. q. 44, a. 1, ad 3 ).

Quest'ultimo però non viene scomodato per la sua competenza nel campo della medicina, bensì per un enunciato di ordine metafisico.

E a ben guardare le cose ci si accorge che anche le citazioni di Aristotele sono per lo più generiche, senza un influsso determinante sulla soluzione dei problemi specifici riguardanti il matrimonio.

Con questo non intendiamo dire che S. Tommaso ha costruito la sua sintesi teologica, rispetto ai problemi del sesso e della famiglia, dopo aver superato i limiti delle concezioni filosofiche e fisiologiche proprie del suo tempo.

Non c'è il minimo dubbio che egli accetta come un dato scientifico, sia dallo Stagirita che dai suoi commentatori, una genetica rudimentale, in cui il vero seme attivo è quello del maschio, mentre la femmina apporterebbe solo una materia informe, la così detta corpulentam Substantiam.

Nessuno oserà negare che anche per S. Tommaso la donna è un maschio occasionatum, ossia un maschio mancato »; e che lo sperma per lui come per Aristotele non era che il superfluo dell'alimentazione.

Ma non possiamo essere d'accordo con alcuni tra i critici più recenti, i quali vorrebbero far dipendere da codesti errori di genetica tutto il pensiero aristotelico, agostiniano e tomistico relativo al matrimonio, specialmente là dove codesti maestri insistono a presentarci la copula carnale quale strumento per la trasmissione della vita e per la continuità della specie.

II - Il fine primario del matrimonio.

4 - È difficile dire quale sarebbe stato nella Somma il punto di partenza per una organica rielaborazione del trattato sul matrimonio, qualora l'Aquinate avesse avuto il tempo di terminare il suo capolavoro.

Non può essere un'indicazione sufficiente quanto egli ha esposto in proposito nel Contra Gentiles, perché l'indole apologetica di codesta opera ha sacrificato l'aspetto teologico di molti problemi.

Nel 3 Cont. Cent., cc. 122-126 il rapporto sessuale è studiato nel quadro di un'ampia difesa della legge divina; mentre nel 4 Cont. Gent., e. 78, ci si limita a una giustificazione dell'inserimento del matrimonio stesso nell'elenco dei sacramenti.

Ma al punto cui sono giunti oggi molti teologi nelle loro riflessioni sul vincolo e sulla vita matrimoniale, bisognerebbe forse cominciare a dipanare la matassa partendo dal piano escatologico.

Se è vero che il matrimonio tende a perfezionare i coniugi, e a condurli al trionfo della carità su ogni forma di egoismo a prescindere dalla funzione procreativa, non si vede perché il vincolo coniugale dovrebbe essere spezzato con la morte e scomparire del tutto nella risurrezione finale.

In proposito però il Redentore divino si è espresso in una maniera così drastica da non lasciare alcun dubbio.

In risposta ai Sadducei, i quali per negare la resurrezione finale avevano addotto tra le prove l'impossibilità per una donna, sposata successivamente a sette fratelli, a fungere da moglie di tutti e sette nella vita futura, Gesù disse: « Voi vi ingannate, perché non capite né le Scritture, né la potenza di Dio.

Infatti alla risurrezione né si ammoglieranno né si mariteranno, ma saranno come angeli di Dio in cielo » ( Mt 22,29.30 ).

Ciò dimostra che il matrimonio è legato alla nostra animalità ed è in funzione di compiti che si esauriscono nella vita presente.

È quindi ben difficile contraddire S. Tommaso, che alla dichiarazione di Cristo fa seguire queste parole di commento: « Poiché le nozze sono ordinate alla procreazione della prole, affinché l'uomo si conservi nell'essere in individui consimili non potendosi conservare in se stesso, dal momento che la risurrezione [ finale ] avviene per l'immortalità, allora non saranno più necessarie le nozze ( In Matth., c. 22, n. 1799 ).

Si sa che al tempo dei Padri non mancarono scrittori cristiani che giunsero a negare addirittura la differenza dei sessi nella risurrezione finale, proprio in base all'affermazione di Cristo, secondo la quale saremo allora « come gli angeli di Dio in cielo ».

Agostino e S. Tommaso hanno respinto questa esagerazione, ma nessun cristiano oserà contraddire Cristo, il quale esclude il vincolo coniugale nella vita futura.

Però codesta esclusione ci costringe a delimitare la funzione del sesso, anche nella vita umana, entro l'ambito della nostra animalità, pur incidendo essa attualmente in maniera determinante sulle nostre funzioni psicologiche più delicate e specifiche.

5 - Crediamo poco probabile che i teologi contemporanei ci seguano partendo da presupposti simili a quello che abbiamo ricordato, pur non essendo esso d'ordine filosofico, ma schiettamente biblico.

Per lo più essi si riferiscono alla sacra Scrittura solo per quei testi in cui si accenna all'unione coniugale, senza un esplicito riferimento alla procreazione.

A loro giudizio questo argomento a silentio sarebbe decisivo a favore di una nuova concezione del matrimonio basata sulla preminenza dell'integrazione affettiva dei coniugi tra i fini del matrimonio.

Sta il fatto però che i Padri della Chiesa, dopo aver letto e meditato le Scritture vedevano le cose ben diversamente.

« È notevole che i padri della Chiesa », scrive il P. E. Schillebceckx, « che considerano tutti la procreazione e la fondazione di una famiglia come l'unico senso autentico della vita sessuale, non sentano mai il bisogno di dimostrarlo con un'argomentazione.

Per loro come per tutto il resto del mondo primitivo e antico, si tratta di una evidenza che non è contestata da nessuno e che non ha bisogno di essere provata: è il presupposto comune, mai messo in dubbio, di tutte le loro considerazioni.

Quando S. Agostino vuole insistere sul dovere della procreazione, rinvia semplicemente al contenuto del contratto matrimoniale, positivo e giuridico, qual era formulato nelle tabulae nuptiarum, nelle quali si faceva esplicitamente menzione della procreandorum fliorum causa.

L'evidenza originaria, mai messa in questione, è così confermata giuridicamente dal diritto romano » ( Doc, Diritti del sesso e matrimonio, Mondadori, Milano, 1968, pp. 32 s. ).

Il P. Schillebeeckx pensa di spiegare questo atteggiamento con la carenza più assoluta di senso critico e di cognizioni psicologiche, acquisite solo in questi ultimi tempi dalla nostra fortunata e illuminata generazione.

Adottando però in massa questa spiegazione, come stavano facendo i nostri teologi, specialmente prima dell'enciclica Humanae vitae, non rischiamo forse di abdicare a ogni senso critico nei confronti di una serie ininterrotta di studiosi, che dall'epoca dei Padri giunge fino ai nostri giorni?

Per afferrare infatti i dati essenziali di un'esperienza macroscopica qual è il matrimonio, è proprio indispensabile essere al corrente di precisi dati biologici e di delicati riflessi psicologici, che in parte sono persino controversi?

6 - Comunque a noi qui interessa il pensiero di S. Tommaso, al quale sono state addebitate non poche responsabilità nell'impostazione classica dei problemi relativi al matrimonio e nella loro soluzione tradizionale.

Qual'è dunque il fine primario del matrimonio secondo l'Aquinate?

Il primo rimprovero che si fa al nostro Autore, come a tutti i teologi seguaci di S. Agostino, è quello di concepire il matrimonio quale officium naturae, considerando però la natura più come un dato oggettivo fisico-biologico, che come natura specifica dell'uomo.

Tale rimprovero, per S. Tommaso almeno, è ingiusto, perché espressamente egli dichiara: « Una cosa può essere naturale in due maniere.

Primo, perché prodotta necessariamente da cause naturali.

Secondo può dirsi naturale una cosa cui la natura ha inclinazione, ma che viene compiuta mediante il libero arbitrio: sono naturali in tal senso gli atti di virtù.

E in questo senso è naturale il matrimonio ( q. 41, a. 1 ).

Altri critici che hanno maggiore dimestichezza con i testi dell'Aquinate, anche se non formulano le loro riserve sull'oggettività della legge naturale in maniera così drastica, trovano inaccettabile il rilievo da lui dato alla procreazione della prole in base alla natura generica dell'uomo, per cui l'animalità sembra avere una prevalenza sulla razionalità.

Ma anche queste affermazioni sono contraddette dall'Autore di cui si discute: « La natura ha posto nell'uomo due serie di inclinazioni.

Alcune riguardano cose che convengono alla natura nel suo genere: e queste son comuni a tutti gli animali.

Altre riguardano cose che convengono alla natura nella sua differenza, cioè in quanto la specie umana, perché ragionevole, è superiore al genere: come avviene per gli atti di prudenza e di temperanza.

E come la natura del genere, pur essendo unica in tutti gli animali, tuttavia non ha in essi lo stesso grado, così non inclina alla stessa maniera, ma nel modo che si addice a ciascuno.

- Ora la natura umana inclina al matrimonio in forza del suo elemento differenziale » ( q. 41, a. 1, ad 1 ).

S. Tommaso non era un pensatore così sprovveduto da non avvertire che per la procreazione potrebbe bastare anche il libero amore, ovvero l'accoppiamento occasionale degli animali bruti, mentre per un incontro sessuale umano decente e virtuoso è impossibile eludere l'esigenza del matrimonio: principalmente per l'educazione umana dei figli, e in secondo luogo per il legame affettivo che l'unione sessuale implica al livello della dignità umana: « Più l'amicizia è grande, più deve essere stabile e duratura.

Ora, tra marito e moglie deve esserci evidentemente la più grande amicizia: poiché essi si uniscono non solo per l'atto della copula carnale, che anche tra le bestie produce una certa soave società, ma per la compartecipazione di tutta la vita domestica.

Infatti in segno di questo l'uomo, come dice la Genesi ( Gen 2,24 ), per la moglie "lascia il padre e la madre" » ( 3 Gont. Gent., e. 123 ).

III - Per la storia della controversia recente.

7 - Troppo lungo sarebbe descrivere qui le vicende che in questi ultimi decenni hanno condotto molti teologi ad abbandonare le posizioni classiche della corrente agostiniana e tomi sta per tentare nuove vie nella morale matrimoniale.

Dobbiamo risalire al primo quarto del nostro secolo, quando timidamente alcuni teologi tedeschi presero a difendere l'idea che nel matrimonio il fine « estrinseco » costituito dalla prole non può essere considerato più importante del vincolo affettivo che unisce i coniugi, e che l'analisi psicologica mostra in primo piano nel desiderio dei contraenti.

A questi primi tentativi diede una spinta decisiva il libro di Herbert Doms, Vom Sinn und Zweck der Ehe ( Breslavia, 1935 ), il quale venne tradotto subito nelle principali lingue Europee.

L'insistenza e la libertà con la quale l'illustre teologo tedesco prese a combattere le varie affermazioni dell'Aquinate, se fu uno dei coefficienti del suo innegabile successo librario, non giovò certamente alla causa che avrebbe voluto difendere.

Egli infatti non intendeva negare la pratica preminenza del fine estrinseco, ossia della prole, rispetto alle funzioni e ai compiti del matrimonio, ma voleva mostrare l'insufficiente valorizzazione del significato intrinseco, ovvero del fine immanente del connubio da parte della teologia agostiniano-tomistica.

Questa insufficienza rischierebbe, a suo giudizio, di togliere ogni significato al matrimonio, laddove non ci fosse la possibilità concreta di un accoppiamento fecondo, e d'altra parte non giustifica quanto c'è di positivo nella vita matrimoniale per la perfezione personale degli sposi.

8 - A difesa del Doms, aspramente criticato dai teologi tradizionalisti, sorse il P. B. Lavaud, il quale riteneva infondate le preoccupazioni di coloro che nelle nuove teorie scorgevano dopo tutto un attacco indiretto alla dottrina cattolica circa la superiorità del celibato sul matrimonio, se è vero che l'atto matrimoniale è in tutti i casi un potenziamento della carità, e un esercizio molto intenso delle virtù naturali e soprannaturali.

Nel 1941 un discepolo del P. Lavaud all'università di Friburgo, B. A. Krempel, pubblicava la sua tesi di laurea, in cui sosteneva che, in base agli stessi testi di S.Tommaso, bisognerebbe distinguere nel matrimonio il fine specifico da quello generico.

Il fine specifico naturalmente sarebbe l'amore reciproco dei coniugi, mentre quello generico sarebbe la procreazione.

Senza sottintesi il Krempel affermava che quest'ultimo è subordinato al primo.

L'opera fu condannata dal S. Ufficio nel 1944.

Più che dalla lettura del libro, che il compianto Dott. Krempel volle gentilmente regalarci nel 1946, e dall'analisi del suo memoriale, ci è stato possibile conoscerne bene il pensiero attraverso lunghe e amichevoli conversazioni e discussioni.

L'impostazione valida del problema era per lui quella soggettivista della scuola tedesca, e non quella oggettivista del Dottore Angelico.

Per quest'ultimo si deve partire dal piano rigorosamente ontologico della realtà.

Cosicché il fine stesso, prima di essere un dato psicologico dell'operante è da concepirsi come una tendenza implicita nella struttura di una realtà creata: tendenza che è chiamata a diventare cosciente nella misura in cui l'uomo si rende conto della realtà, e sente l'impegno morale di uniformarvi la propria condotta.

Per il soggettivista invece il fine di una cosa e la sua tendenza naturale vanno cercati nell'esperienza; ossia devono emergere dai risultati dell'indagine psicologica, e non da quella metafisica.

Ora, poiché la brama immediata dei fidanzati e degli sposi ha per oggetto preminente l'amore o la convivenza coniugale, il fine preminente del matrimonio va cercato in questa sfera del bene personale e non in quella del bene estrinseco, in cui tra l'altro rientrerebbe anche la prole.

9 - A conclusione delle nostre lunghe discussioni l'amico Krempel ci chiedeva quasi sempre l'impegno formale a riesaminare a fondo il problema, quando nella Somma Teologica italiana avremmo pubblicato il trattato sul matrimonio.

Il proposito espresso amichevolmente allora, e ripetuto negli anni più prossimi al giubileo del 1950, sta per concretarsi.

Un riesame del problema è tanto più necessario in seguito al Concilio Vaticano II, nel quale le due tendenze del pensiero cristiano moderno, cui abbiamo accennato, sono venute più volte a un confronto diretto, dopo aver inondato le librerie con le loro pubblicazioni.

Contrariamente a quanto proclamano certi teologi progressisti, i quali si ostinano a considerare rivoluzionario l'ultimo concilio ecumenico, i testi conciliari approvati riaffermano la dottrina tradizionale dell'enciclica Casti Gonnubii di Pio XI, almeno per quanto riguarda la priorità della prole tra i fini propri del matrimonio, pur tenendo nel debito conto l'amore coniugale.

« Per sua indole naturale », sono queste le parole inequivocabili del Concilio che molti si ostinano a ignorare, « l'istituto stesso del matrimonio e l'amore coniugale generoso e cosciente, sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in questi compiti trovano il loro coronamento » ( Gaudium et Spes, n. 48 ).

E come se ciò non bastasse il medesimo concetto è ribadito al n. 50 del documento citato: "Il matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole".

Tuttavia, data l'indole pastorale del Concilio Vaticano II, nei suoi documenti non è facile trovare la soluzione di una controversia teologica come quella di cui trattiamo.

La complessità stessa di molte formule, che sembrano sfiorare il compromesso, esige la faticosa ricerca dello studioso, per giungere alla chiarezza.

Noi, come abbiamo accennato, ci limiteremo a precisare in proposito il pensiero di S. Tommaso; ma non possiamo arrenderci all'esegesi di coloro i quali credono di trovare l'affermazione delle idee innovatrici nel n. 51 della Gaudium et Spes, da noi già citata.

Infatti al termine di una lunga pericope in cui si accenna alle difficoltà in cui la continenza forzata degli sposi cristiani potrebbe esporre al pericolo il loro amore, il documento conclude: « Perciò quando si tratta di comporre l'amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana; e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale ».

IV - Nella sintesi tomistica.

10 - Il Dottore Angelico ha raccolto con rispetto le tesi tradizionali sui fini o beni del matrimonio, che in gran parte dovevano la loro formulazione a S. Agostino.

Spetta a quest'ultimo infatti la classica enumerazione: bonum fidei, bonum prolis, e bonum sacramenti.

Non diremo che è una novità o un travisamento del pensiero dei Padri l'equivalenza che S. Tommaso stabilisce tra bene e fine, poiché il bene consiste nell'essere qualche cosa di appetibile "id quod omnia appetunt", per usare l'espressione aristotelica, e il fine non è che il termine di una appetizione, ossia di una qualsiasi tendenza sia pure incosciente ( cfr. I Cont. Gent., e. 37 ).

L'originalità dell'Aquinate rispetto alla tradizione sta nell'approfondimento dei dati che quella offriva.

Innanzi tutto egli ha voluto indagare, nel caso nostro, circa la natura stessa del vincolo matrimoniale, chiedendo fin da principio in quale categoria dell'essere rientri il matrimonio « Utrum matrimonium sit in genere coniunctionis » ( Suppl., q. 44, a. 1 ).

La coniunctio non è esplicitamente nelle categorie aristoteliche, ma non ci vuole uno sforzo per capire che essa, come ogni altra unione di realtà che rimangono sostanzialmente integre nella loro natura, rientra nella categoria di relazione.

In questo non possiamo non essere d'accordo con l'amico A. Krempel, che credette di poter giungere a una riaffermazione delle proprie idee sul matrimonio, dedicando alla dottrina della relazione in S. Tommaso diversi anni della sua vita.

- Avemmo però il dispiacere di non riuscire a convincerlo dell'impossibilità di negare, com'egli fece, la relazione trascendentale; nonché dell'insufficienza di un rapporto soltanto « logico » con dei precisi fini e doveri per costituire una società, specialmente se di ordine naturale.

11 - Comunque è certo che per un approfondimento della dottrina circa il matrimonio dobbiamo seguire l'esempio dell'Aquinate, il quale ne esamina l'intima natura, prima di indagare sui beni e sui fini che è chiamato a perseguire.

In questa prospettiva è giusto considerare tale istituto nell'atto di costituirsi; e da questo punto di vista è evidente la preminenza, soprattutto sul piano psicologico, ma anche sul piano ontologico, della mutua attrattiva dei contraenti, che si concreta in un patto d'amore.

Ciò che fonda infatti e costituisce un matrimonio è il consenso reciproco di un uomo e di una donna per una convivenza indivisibile.

Ecco perché tra i beni del matrimonio questa indivisibilità reale ed affettiva costituisce quello « più essenziale »: « L'indissolubilità, che è implicita nel sacramento, appartiene al matrimonio in se stesso; poiché proprio dal fatto che con il contratto matrimoniale gli sposi si sono concessi in perpetuo il dominio scambievole, segue che non si possano separare.

Ed ecco perché il matrimonio non può mai essere disgiunto dall'inseparabilità invece può trovarsi privo di fedeltà e di prole, poiché l'essere o esistenza di una cosa non dipende dall'uso di essa.

E da questo lato il bene del sacramento è più essenziale al matrimonio che la fede e la prole » ( q. 49, a. 3 ).

Ci sembra che ai discepoli dell'Aquinate possa essere rimproverata la confusione tra l'amore coniugale, che ha questa funzione essenzialissima di rendere vivo e vitale il vincolo stesso, e la « communicatio operum », o mutuo aiuto, che è tra i beni secondari del matrimonio.

Si sa che invece per il loro maestro le due cose sono ben distinte.

A convincersene basterebbe la soluzione che egli dà all'obbiezione di chi trovava insufficiente l'enumerazione agostiniana dei beni del matrimonio, proprio perché la « communicatio operum » era stata trascurata.

- Il Santo ben lungi dal replicare che codesto bene rientra in qualche modo nel bonum sacramenti, lo fa rientrare per riduzione nel bonum prolis al servizio del quale è ordinato ( cfr. q. 49, a. 2, ad 1 ).

Il patto indivisibile di amore e la sua durata nella convivenza familiare non potrà dunque essere ridotto a un fine secondario, se consideriamo il matrimonio nella sua essenza e nel suo costituirsi.

L'indissolubilità di una convivenza umana come quella del matrimonio, che unisce in un vincolo di amicizia, non solo i contraenti, ma persino i rispettivi familiari, come nota spesso S. Tommaso ( cfr. infra, q. 54, a. 3 ), giustifica già a suo modo la copula carnale, chiamata ad assicurarla e a rinsaldarla.

E in tal senso non sono da respingere certe conclusioni pratiche suggerite dalle stesse teorie innovatrici, e meno che mai quelle dei teologi e moralisti antichi, i quali non condannavano come immorale l'uso del matrimonio neppure nei casi certi di infecondità.

Il vincolo coniugale è infatti già per se stesso un valore a sé stante nel contesto dell'umano consorzio.

12 - Le cose cambiano invece se noi consideriamo il matrimonio già costituito e quindi in ordine dinamico, e ci chiediamo quali siano gli scopi cui esso è preordinato dalla natura e quindi da Dio.

Allora infatti, sebbene non si escludano altri fini intimamente connessi con i caratteri specifici della sessualità umana, il fine che emerge come primario su ogni altro è certamente la prole.

Per dire il contrario bisognerebbe dimostrare che la vita di una persona umana ( « quod est perfectissimum in tota natura » ) sia un bene meno grande e nobile dei rapporti affettivi dei coniugi dai quali essa promana.

La divisione dei due sessi e il loro rapporto reciproco non sono concepibili fuori della sfera animale.

Ora, per quanto speciale possa essere, la specie umana rimane nel genere, in cui le funzioni sessuali sono a servizio della specie.

La consistenza logica della dottrina tradizionale su questo punto è apparsa a S. Tommaso così solida da non ammettere esitazioni.

13 - Ecco del resto come essa viene presentata nei suoi sviluppi essenziali fino ai nostri giorni da un teologo che pur dichiara di non esserne del tutto persuaso « In una forma alquanto generica il nucleo fondato della dottrina antica potrebbe essere all'incirca questo:

1) La sessualità, la vita sessuale e anche fatto singolo non sono rimessi semplicemente alla preferenza e all'opinione per sonale dell'individuo, ma hanno in sé per loro natura e struttura essenziale, un significato interiore e una finalità, che non si arresta all'individuo e al rapporto tra le due persone, bensì rimanda oltre, all'ordine cioè della creazione e alle istanze dell'umanità.

La sessualità è legata ad un ordine.

Questo ordine è a servizio non solo del singolo, ma dell'umanità.

Qui dominano non solo il piacere e l'interesse del singolo, ma si devono raggiungere dei fini prestabiliti dall' intera creazione.

2) Quali sono questi fini?

La sessualità ha un profondo significato, tanto per la maturazione della personalità singola quanto per il rapporto reciproco e sopra tutto per la conoscenza e amore vicendevole degli sposi.

Ma allo stesso tempo essa, in tutta la sua disposizione interiore, la sua dinamica e il suo significato, è rivolta a qualcosa che è aldilà di se stessa, cioè alla riproduzione del genere umano, ad assicurare all'umanità costante riproduzione ed accrescimento.

3) Questa finalità è strettamente connessa con la diversità dei sessi e il loro reciproco coordinamento, con l'istituzione del matrimonio, e deve trovare nel matrimonio, nel rapporto coniugale e nell'agire dei coniugi, la sua salvaguardia e la sua attuazione.

Anche l'atto singolo deve rimanere in qualche modo coordinato e subordinato a questa finalità.

4) Questo coordinamento e subordinazione, questo asservimento alla funzione globale del matrimonio, può però avvenire immediatamente o mediatamente, direttamente o indirettamente.

Finché il matrimonio tiene alta la volontà di conservare tutti i suoi fini essenziali ed anche di realizzarli a tempo debito con piena coscienza delle responsabilità, finché inoltre il singolo atto non è astratto da tutto l'insieme del matrimonio, né compiuto come un fatto puramente animalesco, bensì serve al rafforzamento del matrimonio, del rapporto e della unione coniugale concreta, all'amore e alla fedeltà e all'intima finalità del matrimonio, allora appare pienamente conservata la necessaria subordinazione dell'atto singolo alla volontà della natura e lo scopo, anche là dove l'atto singolo è infecondo o per natura o per l'azione responsabile dell'uomo.

5) Allora l'insegnamento di Pio XI e Pio XII, ricondotto al nucleo vero e proprio, significherebbe che l'atto singolo deve servire al fine complessivo del matrimonio, di cui fa parte sostanzialmente, in maniera diretta o indiretta, anche la fecondità.

Non è necessario però prestare questo servizio sempre immediatamente, ma almeno prestano e integrano mediatamente nell'ambito dell'intero fatto matrimoniale.

6) A Pio XI spetta l'alto merito di aver osato levarsi contro il pansessualismo e di avere indicato in maniera decisa l'intimo rapporto tra la sessualità e il compito di procreazione e questo in un tempo in cui la sfrenatezza e l'individualismo senza limiti minacciavano di infrangere tutti gli argini.

Pio XII però, riconoscendo la liceità, anzi l'obbligo di una responsabile pianificazione delle nascite, aprì le porte ad una nuova concezione e valutazione, pur non osando, lui stesso, varcare queste porte, perché egli, e sopra tutto i suoi teologi specialisti, temevano di perdere, con l'abbandono dell'antica base, ogni saldo fondamento per una prova morale e per una delimitazione ». ( JAC0B DAVID, Nuovi aspetti della dottrina ecclesiastica sul matrimonio, Roma, 1968, pp. 44-46 ).

14 - Il libro da cui abbiamo tratto questa lunga citazione era stato scritto poco prima che il Papa Paolo VI pubblicasse la sua Enciclica Humanae vitae, che porta la data del 25 luglio 1968.

Senza lasciarsi influenzare dalle conclamate attese dei così detti progressisti, il Papa ha ribadito la dottrina tradizionale, che vede nella prole il fine primario del matrimonio, ed ha condannato conseguentemente i metodi artificiali per la regolazione delle nascite, appunto perché codesti metodi rendono l'atto coniugale intenzionalmente negato al suo fine naturale primario.

Perciò nessun cattolico oggi è in diritto di affermare che la dottrina di S. Tommaso sul matrimonio nelle sue linee essenziali è superata.

Gli errori marginali di ordine biologico che si riscontrano in lui, come in tutti gli autori antichi, non hanno influito in maniera decisiva sulle conclusioni principali del trattato.

P. TIT0 S. CENTI, O. P.

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