Supplemento alla III parte |
Pare che il confessore in nessun modo possa rivelare ad altri ciò che egli ha conosciuto in confessione e anche in altro modo.
1. Il segreto della confessione viene infranto proprio perché si rivela quanto si è saputo in confessione.
Se quindi costui rivela un peccato udito in confessione, comunque l'abbia conosciuto per altre vie, pare che infranga il segreto della confessione.
2. Chi ascolta la confessione di una persona si obbliga con essa a non rivelarne i peccati.
Ora, se uno promettesse a un altro di tenere il segreto su una confidenza che gli viene fatta, per quanto dopo possa saperla per altra via, è tenuto al segreto.
Perciò quanto uno ha saputo in confessione lo deve tenere segreto, per quanto lo possa sapere anche per altra via.
3. Tra due elementi, il più forte trae a sé quello più debole.
Ora, la scienza con la quale uno conosce il peccato come Dio è superiore e più forte di quella con cui lo conosce come uomo.
Quindi la trae a sé.
Perciò uno non può svelare il peccato, come esige appunto la scienza con la quale egli conosce come Dio.
4. Il segreto di confessione fu istituito per evitare lo scandalo, e perché gli uomini non venissero ritratti dalla confessione.
Ma se uno potesse ridire un peccato che ha ascoltato in confessione, anche se ne è a conoscenza per altra via, lo scandalo ne seguirebbe ugualmente.
Perciò egli non può parlarne in alcun modo.
1. Nessuno può imporre a un altro un obbligo che egli non aveva, all'infuori del prelato che impone un precetto al proprio suddito.
Ora, chi conosceva di persona il peccato di un altro non era obbligato a tenerlo segreto.
Quindi il peccatore che da lui si confessa, non essendo il suo prelato, non può obbligarlo al segreto confessandosi da lui.
2. Se così fosse, la giustizia della Chiesa ne verrebbe menomata, poiché uno per eludere una sentenza di scomunica da emanarsi contro di lui per un peccato di cui è stato riconosciuto colpevole, chiederebbe di confessarsi da chi deve proferire la sentenza.
Ora, è di precetto che la giustizia segua il suo corso.
Quindi uno non è tenuto a celare il peccato ascoltato in confessione, quando lo conosce per altra via.
In proposito ci sono tre opinioni.
Alcuni dicono che i peccati ascoltati in confessione uno non può mai ridirli anche se li ha conosciuti prima o dopo per altra via.
- Altri invece affermano che con la confessione uno si preclude la possibilità di manifestare quanto sapeva in precedenza, ma non quella di manifestare quanto viene a sapere dopo.
Ora, entrambe queste opinioni, attribuendo troppo al segreto della confessione, recano pregiudizio alla verità e al dovere di mantenere la giustizia.
Uno infatti potrebbe essere incoraggiato a peccare, se non temesse di poter essere accusato dal proprio confessore dinanzi al quale commette il peccato.
E così pure sarebbe molto menomata la giustizia se uno non potesse testimoniare di ciò che ha visto, dopo la confessione a lui fatta in proposito.
- Né vale quanto alcuni dicono, che cioè egli deve allora protestare di non essere tenuto a tale segreto.
Poiché tale protesta non può essere fatta se non dopo aver ascoltato la colpa.
E allora qualsiasi sacerdote potrebbe rivelare il peccato, facendo tale protesta, se ciò bastasse a renderlo libero di farlo.
Esiste perciò una terza opinione, che è più vera, secondo la quale quanto il confessore conosce per altra via, sia prima che dopo la confessione, non è tenuto a celarlo col segreto quanto alla conoscenza che ne ha come uomo.
Per cui egli può dire: « Lo so perché ho visto ».
Tuttavia è tenuto a celarlo quanto alla conoscenza che egli ne ha come Dio.
Per cui egli non può dire: « Questo l'ho ascoltato in confessione ».
- Tuttavia, per evitare lo scandalo, deve astenersi dal parlarne se non c'è urgente necessità.
1. Quando uno dice di avere visto ciò che poi ha ascoltato in confessione, rivela solo accidentalmente ciò che deve alla confessione.
Come colui che sa una cosa per averla vista e udita, di per sé non rivela di averla vista dicendo di averla udita, ma lo fa solo accidentalmente, poiché dice di avere udito un fatto che gli è capitato anche di vedere.
Perciò costui non infrange il segreto della confessione.
2. Chi ascolta la confessione si obbliga a tenere segreto direttamente non il peccato, ma il peccato in quanto udito in confessione.
Infatti egli in nessun caso può dire di averlo ascoltato in confessione.
3. Quel principio va applicato a cose che sono tra loro contrarie.
Ma la scienza con cui uno conosce un peccato come Dio e quella con cui lo conosce come uomo non sono contrarie fra di loro.
Perciò l'argomento non regge.
4. Il peccato non va evitato in modo da compromettere la giustizia: infatti « per evitare lo scandalo non si deve abbandonare la verità » [ Decretales 5,41,3 ].
Perciò quando è in pericolo la giustizia uno, per evitare lo scandalo, non deve tralasciare la rivelazione di un peccato udito in confessione, se lo conosce per altra via: purché egli per quanto può cerchi di evitare tale scandalo.
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