Supplemento alla III parte |
Pare non giusto che la Chiesa scomunichi qualcuno.
1. La scomunica è una maledizione.
Ma S. Paolo [ Rm 12,14 ] ci proibisce di maledire.
Quindi non è giusto che la Chiesa scomunichi.
2. E bene che la Chiesa militante imiti quella trionfante.
Ora, come leggiamo nell'epistola di S. Giuda [ Gd 9 ], « l'arcangelo Michele, quando in contesa con il diavolo disputava per il corpo di Mosè, non osò pronunciare contro di lui una sentenza di maledizione, ma disse: "Ti condanni il Signore" ».
Perciò neppure la Chiesa militante deve maledire e scomunicare.
3. Non è giusto che una persona venga gettata nelle mani del nemico se non è definitivamente perduta.
Ma secondo l'Apostolo [ 1 Cor 5,5 ] con la scomunica uno viene consegnato a Satana.
Di conseguenza, non dovendo noi disperare di nessuno in questa vita, la Chiesa non deve scomunicare nessuno.
1. L'Apostolo, scrivendo ai Corinzi [ 1 Cor 5 ], comanda che uno venga scomunicato.
2. In S. Matteo [ Mt 18,17 ], di chi si rifiuta di ascoltare la Chiesa, sta scritto: « Sia per te come un pagano e un pubblicano ».
Ora, i pagani sono fuori della Chiesa.
Perciò è giusto che la Chiesa, con la scomunica, escluda dalla sua comunione coloro che non vogliono ascoltarla.
Il modo di giudicare della Chiesa deve imitare quello di Dio.
Ma Dio punisce i peccatori in diversi modi per guidarli al bene: primo, con i castighi; secondo, abbandonando l'uomo a se stesso affinché questi, privo degli aiuti che lo ritraevano dal male, riconosca la sua debolezza tornando con umiltà a Dio, dal quale si era con superbia allontanato.
Ora la Chiesa, con la scomunica, imita il modo di procedere divino in ambedue i casi.
Imita cioè il giudizio di Dio che castiga con le pene separando [ il colpevole ] dalla comunione dei fedeli, « affinché ne arrossisca » [ Sent. 4,18,6 ], mentre escludendolo dai suffragi e dagli altri beni spirituali imita il modo di procedere di Dio il quale [ talora ] abbandona l'uomo a se stesso, affinché questi umilmente riconosca la sua condizione e faccia ritorno a lui.
1. La maledizione può essere fatta in due modi.
Primo, con l'intenzione di causare il male che si infligge o si augura.
E questa maledizione è del tutto proibita.
- Secondo, indirizzando il male che viene augurato al bene di colui che viene maledetto.
E tale maledizione talvolta è lecita e salutare: come anche il medico talvolta infligge un nocumento al malato, ad es. un taglio, per liberarlo dall'infermità.
2. Il diavolo è incorreggibile, e quindi non può ricavare alcun bene dalla scomunica.
3. Per il fatto stesso che una persona viene scomunicata, al posto dei tre benefici assicurati dai suffragi della Chiesa incorre in altrettanti mali.
Tali benefici infatti prima di tutto giovano a ottenere l'aumento della grazia, per coloro che la possiedono, o a meritarla, per coloro che ne sono privi.
Per questo il Maestro delle Sentenze [ 4,18,6 ] afferma che con la scomunica l'uomo « viene privato della grazia ».
- In secondo luogo sono di aiuto per poter custodire le virtù.
Per questo egli dice che « viene sottratta la loro salvaguardia »: non però nel senso che gli scomunicati vengano esclusi totalmente dalla provvidenza di Dio, ma soltanto da quella speciale protezione accordata ai figli della Chiesa.
- Infine giovano a difenderci dal nemico.
E per questo è detto che con essa « viene conferita al demonio una maggiore capacità di agire sullo scomunicato », sia nell'anima che nel corpo.
Per cui nella Chiesa primitiva, essendo allora necessari i prodigi per attirare gli uomini alla fede, come i doni dello Spirito Santo si manifestavano con segni sensibili, così anche la scomunica veniva riconosciuta dai maltrattamenti corporali operati dal demonio [ sullo scomunicato ].
E non c'è inconveniente alcuno nel consegnare al nemico una persona che non è definitivamente perduta, poiché si fa questo non per condannare, ma per correggere.
La Chiesa infatti può, quando lo crede opportuno, liberarla di nuovo.
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