Supplemento alla III parte |
Pare che nessuno possa essere scomunicato per un danno temporale.
1. La pena non deve essere superiore alla colpa.
Ora, la scomunica è la privazione di un bene spirituale, il quale sorpassa ogni bene temporale.
Quindi nessuno può essere scomunicato per cose temporali.
2. L'Apostolo [ Rm 12,17 ] insegna che « a nessuno dobbiamo rendere male per male ».
Ma sarebbe rendere male per male se si dovesse infliggere la scomunica per un danno temporale.
Quindi ciò non può farsi in alcun modo.
S. Pietro [ At 5,1ss ] condannò a morte Anania e Saffira perché avevano defraudato il prezzo di un campo.
Perciò anche la Chiesa può scomunicare per dei danni temporali.
Con la scomunica il giudice ecclesiastico esclude in qualche modo dal Regno [ di Dio ].
Ora, poiché egli non può escludere da esso se non gli indegni, come risulta dalla definizione della potestà di giurisdizione [ q. 17, a. 2, ob. 1 ], e d'altra parte nessuno può essere considerato indegno prima di aver perso col peccato mortale la carità, che è la via per il Regno, ne segue che nessuno può essere scomunicato se non a causa di un peccato mortale.
Poiché dunque chi danneggia il prossimo corporalmente o nelle cose temporali può peccare mortalmente, e quindi agire contro la carità, così anche la Chiesa può punire con la scomunica per un danno temporale ricevuto.
La scomunica però costituisce la massima pena.
Ora « le pene », come dice il Filosofo [ Ethic. 2,3 ], « sono delle medicine », che il medico saggio usa a cominciare da quelle meno pericolose e più leggere.
Perciò, nonostante il peccato mortale, la scomunica può essere inflitta soltanto nel caso in cui il colpevole sia contumace, o perché non si presenta in giudizio, o perché si allontana senza permesso prima che il giudizio sia terminato, oppure perché non obbedisce a quanto in esso è stato concluso.
In questo caso, se dopo l'ammonizione canonica egli si rifiuterà di obbedire, sarà considerato contumace, e il giudice, non avendo altro mezzo di correzione, dovrà scomunicarlo.
1. La gravità della colpa non va misurata in base al danno che uno fa, ma in base alla volontà con cui uno agisce contro la carità.
Benché quindi la pena della scomunica sia superiore al danno, tuttavia non supera la gravità della colpa.
2. A colui che viene punito non si fa del male, ma del bene, dato che « le pene sono medicine », come si è già detto [ nel corpo ].
Indice |