Supplemento alla III parte

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Articolo 1 - Se gli sponsali siano ben definiti come « una promessa di futuro matrimonio »

Pare che gli sponsali non siano ben definiti, secondo le parole del Papa S. Niccolò I [ Decr. di Graz. 2,30,5,3 ], come « una promessa di futuro matrimonio ».

Infatti:

1. S. Isidoro [ Etym. 9,7 ] ha scritto che « uno è sposo non perché promette, ma perché si impegna e offre garanzie ».

Ora, uno è detto sposo dagli sponsali.

Quindi gli sponsali non sono « una promessa ».

2. Chiunque promette una cosa deve essere costretto a mantenerla.

Ma quelli che hanno contratto gli sponsali non vengono obbligati dalla Chiesa al matrimonio.

Quindi gli sponsali non sono « una promessa ».

3. Talora gli sponsali sono accompagnati non soltanto dalla promessa, ma anche dal giuramento e da qualche pegno.

Perciò non vanno definiti solo come una promessa.

4. Il matrimonio deve essere libero e non condizionato.

Invece gli sponsali talora sono legati a qualche condizione, e persino a obbligazioni in danaro.

Quindi non è giusto definirli come una promessa « di matrimonio ».

5. S. Giacomo [ Gc 4,13ss ] biasima le promesse di cose future.

Ora, nei sacramenti non ci deve essere nulla di biasimevole.

Quindi non si devono fare promesse di « futuro » matrimonio.

6. Nessuno è detto sposo se non dagli sponsali.

Ora, uno è detto sposo dalle nozze presenti, come si dice nel testo.

Quindi gli sponsali non sono sempre le promesse di nozze future.

Dimostrazione:

Il consenso all'unione coniugale espresso con verbi al futuro costituisce non il matrimonio, ma una promessa di matrimonio.

E tale promessa prende il nome di sponsali, dal verbo latino spondere, come spiega S. Isidoro: « Poiché prima che si usassero le pubblicazioni di matrimonio si davano delle garanzie con le quali ci si impegnava reciprocamente al matrimonio, e si presentavano dei mallevadori ».

Ora, tale promessa può essere fatta in due modi: assolutamente o sotto condizione.

Assolutamente può essere ancora fatta in quattro modi.

Primo, con la semplice promessa, come quando si dice: « Io ti prenderò in sposa », o viceversa.

Secondo, offrendo pegni sponsalizi, cioè danaro, o altre cose di valore.

Terzo, con l'anello di fidanzamento.

Quarto, con il giuramento.

Se poi tale promessa è sotto condizione, bisogna distinguere.

Poiché o questa condizione è onesta, come quando si dice: « Ti sposerò se i genitori acconsentono »; e allora la promessa tiene avverandosi la condizione, altrimenti non tiene.

- Oppure è disonesta, e ciò può avvenire in due modi.

Poiché o è contraria ai beni del matrimonio, come quando si dice: « Ti sposerò se mi procurerai il veleno per rendermi sterile »; e allora il fidanzamento è nullo.

Oppure non è contraria ai beni del matrimonio, come quando si dicesse: « Ti sposerò se mi aiuterai a rubare »; e allora la promessa tiene, però va eliminata la condizione.

Analisi delle obiezioni:

1. Le garanzie e i doni reciproci dei fidanzati sono una conferma della promessa.

Quindi si riducono alla promessa.

2. Con tale promessa i fidanzati si impegnano reciprocamente a sposarsi: per cui pecca mortalmente chi non sta alla promessa senza che capiti un impedimento.

E in tal caso la Chiesa costringe, infliggendo una penitenza per il peccato.

Però non c'è costrizione in foro esterno, poiché « i matrimoni fatti per forza di solito finiscono male » [ Decretales 4,1,17 ].

- Purché però non ci sia stato il giuramento.

Perché allora bisogna costringere, secondo certi autori.

Altri però non sono del parere, per il motivo accennato: specialmente se si temesse l'uxoricidio.

3. Le altre cose che accompagnano gli sponsali non servono che a confermare la promessa.

Perciò gli sponsali non sono altro che una promessa.

4. Le condizioni apposte non compromettono la libertà del matrimonio.

Poiché se sono disoneste vanno eliminate.

Se invece sono oneste, allora o si tratta di un bene morale, come quando si dice: « Ti sposerò se sono contenti i genitori »; e tale condizione non toglie la libertà degli sponsali, ma ne accresce la bontà; oppure si tratta di un bene utile, come nel caso in cui si dicesse: « Mi sposerò con te se mi darai tanto »; e allora la condizione non equivale alla vendita del consenso del matrimonio, bensì alla promessa della dote: per cui il matrimonio non perde la sua libertà.

Talora invece la condizione pecuniaria equivale a un'ammenda.

E allora tale condizione non tiene, poiché i matrimoni devono essere liberi; e neppure si può esigere tale ammenda da chi si rifiuta di contrarre il matrimonio.

5. S. Giacomo non intende proibire in modo assoluto che si facciano delle promesse per il futuro, ma che si facciano come facendo affidamento sulla propria vita.

Egli infatti insegna a mettere la condizione: « Se Dio vorrà » [ Gc 4,15 ].

E questa va sottintesa anche se non è espressa a parole.

6. Nel matrimonio possiamo considerare il vincolo stesso e l'atto coniugale.

Per cui uno può essere detto sposo per l'impegno relativo alla prima cosa in forza degli sponsali che vengono contratti con una formula al futuro.

E può essere detto tale per l'impegno relativo alla seconda quando si è contratto il matrimonio con una formula al presente, poiché in tal modo ci si impegna in rapporto all'atto del matrimonio.

- Tuttavia gli sponsali derivano propriamente dal primo di questi impegni, e sono come dei sacramentali che fanno parte del matrimonio, come gli esorcismi fanno parte del battesimo.

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