Supplemento alla III parte |
Pare che il matrimonio non debba essere coonestato da certi beni connessi.
1. Come rientra nell'intenzione della natura la conservazione dell'individuo affidata alla nutrizione, così vi rientra la conservazione della specie ottenuta col matrimonio; anzi, in grado maggiore: quanto più cioè il bene della specie supera il bene dell'individuo.
Ma l'atto della nutrizione non ha bisogno di alcuna giustificazione.
Quindi neppure il matrimonio.
2. Secondo il Filosofo [ Ethic. 8,12 ] l'amicizia tra marito e moglie è naturale, e racchiude in sé « il bene onesto, utile e dilettevole ».
Ma ciò che è onesto in se stesso non ha bisogno di scusanti.
Perciò al matrimonio non vanno attribuiti dei beni che servano a scusarlo.
3. Il matrimonio fu istituito come rimedio [ al peccato ] e come ufficio [ di natura ] [ q. 42, a. 2 ].
Ma esso come compito naturale non ha bisogno di scuse: perché allora ne avrebbe avuto bisogno anche nel paradiso terrestre, il che è falso; là infatti, come scrive S. Agostino [ De Gen. ad litt. 9,3.5 ], « il matrimonio sarebbe stato rispettato da tutti, e il talamo senza macchia » [ Eb 13,4 ].
E neppure ne ha bisogno in quanto rimedio: come non ne hanno bisogno gli altri sacramenti, che furono istituiti come rimedio al peccato.
Quindi il matrimonio non deve avere tali scusanti.
4. In tutte le cose che si possono compiere onestamente si ha la guida delle virtù.
Se dunque il matrimonio può essere coonestato da determinati beni, non ha bisogno d'altro che delle virtù.
Quindi non si devono determinare dei beni per coonestare il matrimonio: come non si fa per le altre cose in cui siamo guidati dalle virtù.
1. Dovunque c'è un atto di condiscendenza è necessario un motivo di scusa.
Ora, il matrimonio dopo il peccato viene concesso « per un atto di condiscendenza », come scrive l'Apostolo [ 1 Cor 7,6 ].
Quindi ha bisogno di essere coonestato da certi beni.
2. L'atto matrimoniale e la fornicazione sono fisicamente della stessa specie.
Ma il rapporto fornicario è per se stesso peccaminoso.
Quindi perché non lo sia anche quello matrimoniale bisogna aggiungervi qualcosa che lo renda onesto, dandogli una specie morale diversa.
Una persona sensata non deve mai subire una menomazione senza il compenso di un bene uguale o maggiore.
Quindi l'accettazione di una cosa a cui è annessa una menomazione ha bisogno di essere accompagnata da qualche bene che la renda ordinata e onesta.
Ora, nell'atto coniugale avviene una menomazione della ragione: sia perché questa viene sommersa dalla violenza del piacere, in modo « da non poter intendere nulla in quell'atto », come dice il Filosofo [ Ethic. 7,11 ], sia per « la tribolazione della carne », di cui parla S. Paolo [ 1 Cor 7,28 ], che gli sposati devono subire per la preoccupazione dei beni temporali.
Perciò la volizione dell'atto coniugale non può essere ordinata se non grazie al compenso di certi beni, i quali coonestano quell'atto.
E questi sono i beni che scusano il matrimonio e lo rendono onesto.
1. Nell'atto del mangiare il piacere non è così violento da sommergere la ragione, come nel piacere suddetto.
Sia perché la potenza generativa, che trasmette il peccato originale, è infetta e corrotta, mentre la nutritiva, che non lo trasmette, è corrotta ma non infetta.
- Sia anche perché ciascuno sente più le necessità individuali che quelle della specie.
Cosicché per eccitare alla ricerca del cibo, con il quale si provvede alle deficienze dell'individuo, basta la sensazione del proprio bisogno, mentre per eccitare alla propagazione della specie la divina provvidenza ha annesso all'atto correlativo un piacere che smuove persino gli animali bruti, in cui non c'è l'infezione del peccato originale.
- Perciò il paragone non regge.
2. I beni che coonestano il matrimonio gli sono essenziali.
Esso quindi non ne ha bisogno come di elementi esterni, ma come di elementi causanti l'onestà che gli compete per se stesso.
3. Il matrimonio si presenta come utile e onesto proprio per il fatto che è istituito come ufficio [ di natura ] e come rimedio al peccato; ma queste due qualifiche gli sono dovute in quanto implica quei beni, che lo rendono un dovere sociale e un rimedio alla concupiscenza.
4. Un atto virtuoso deve la sua onestà alla virtù come al principio da cui promana, e alle circostanze come ai suoi princìpi formali.
Ora, i beni suddetti stanno al matrimonio come le circostanze all'atto virtuoso, cioè come quelle circostanze da cui dipende il fatto che esso possa venire considerato un atto di virtù.
Indice |