Supplemento alla III parte |
Pare che uno schiavo non possa contrarre matrimonio senza il consenso del padrone.
1. Nessuno può cedere a una terza persona ciò che è di un altro senza il permesso di quest'ultimo.
Ora, « lo schiavo appartiene al padrone » [ Arist., Polit. 1,4 ].
Perciò egli non può cedere alla moglie il potere sul proprio corpo contraendo il matrimonio senza il benestare del padrone.
2. Lo schiavo è tenuto a ubbidire al suo padrone [ Ef 6,5; Col 3,22 ].
Ma il padrone può comandargli di non consentire al matrimonio.
Quindi egli non può contrarre il matrimonio senza il consenso del padrone.
3. Contratto il matrimonio, lo schiavo è tenuto a rendere il debito coniugale alla moglie anche per un precetto della legge divina.
Ma nel momento in cui la moglie chiede il debito coniugale il padrone può imporre allo schiavo qualche servizio che egli non può compiere se vuole stare con la moglie.
Se dunque uno schiavo potesse contrarre matrimonio senza il permesso del padrone, questi sarebbe ingiustamente privato dei suoi servizi.
Il che è inammissibile.
4. Il padrone può vendere il proprio schiavo in lontane regioni dove la moglie non può seguirlo, o per debolezza fisica, o per il pericolo di perdere la fede, se ad es. viene venduto agli infedeli, oppure perché non lo permette il padrone della moglie, se questa è schiava.
E così il matrimonio verrebbe disciolto.
Il che non è ammissibile.
Perciò lo schiavo non può contrarre matrimonio senza il benestare del padrone.
5. L'obbligazione con la quale uno si dedica al servizio divino è più favorevole di quella che lo sottomette alla moglie.
Ora, uno schiavo non può farsi religioso, né entrare nel clero, senza il beneplacito del padrone.
Molto meno quindi può unirsi in matrimonio senza tale consenso.
1. S. Paolo [ Gal 3,28 ] afferma: « In Gesù Cristo non c'è più né schiavo né libero ».
Quindi per contrarre il matrimonio nella fede di Gesù Cristo c'è l'identica libertà per i liberi e per gli schiavi.
2. La schiavitù è di diritto positivo; il matrimonio invece è di diritto naturale e divino.
Non potendo dunque il diritto positivo pregiudicare il diritto naturale o quello divino, sembra che lo schiavo possa contrarre matrimonio senza il benestare del padrone.
Come si è visto in precedenza [ a. prec., ad 3 ], il diritto positivo deriva da quello naturale.
Perciò la schiavitù, che è di diritto positivo, non può pregiudicare quanto è di diritto naturale.
Ora, come l'appetito naturale spinge alla conservazione dell'individuo, così spinge alla conservazione della specie mediante la generazione.
Come dunque lo schiavo sottostà al padrone potendo liberamente mangiare, dormire e compiere altre simili cose che riguardano le sue necessità corporali, senza di che non si può conservare la natura, così non deve sottostare ad esso al punto di non poter contrarre liberamente il matrimonio, anche all'insaputa o contro la volontà del padrone.
1. Lo schiavo appartiene al padrone per le sue funzioni [ professionali ] aggiunte a quelle naturali: poiché rispetto a queste ultime siamo tutti uguali.
Per quanto dunque riguarda le funzioni naturali lo schiavo può, senza il benestare del padrone, dare ad altri il potere sul suo corpo mediante il matrimonio.
2. Lo schiavo è tenuto a ubbidire nelle cose che il padrone può lecitamente comandare.
Ora, come il padrone non può proibire lecitamente allo schiavo di mangiare e di dormire, così non può proibirgli di contrarre matrimonio: il legislatore infatti regola anche l'uso che uno deve fare di quanto gli appartiene.
Se dunque il padrone comanda allo schiavo di non contrarre matrimonio, questi non è tenuto a ubbidirgli.
3. Se lo schiavo ha contratto il matrimonio col consenso del padrone, allora è tenuto a trascurare il servizio quando deve rendere il debito coniugale: poiché il padrone, avendogli concesso di contrarre il matrimonio, logicamente gli ha concesso tutto ciò che esso richiede.
Se invece lo ha contratto a sua insaputa o contro la sua volontà, allora non è tenuto a rendere il debito, ma deve piuttosto ubbidire al padrone, quando le due cose sono incompatibili.
Tuttavia in questi casi, come in tutte le azioni umane, bisogna tenere presenti molti aspetti: cioè il pericolo a cui è esposta la castità della moglie, l'ostacolo che il debito coniugale può apportare al servizio richiesto e altre cose del genere.
E dopo avere tutto considerato uno può giudicare se è tenuto a ubbidire più al padrone o più alla moglie.
4. In questo caso il padrone deve essere costretto a non vendere lo schiavo in modo da rendere più gravosi gli oneri del matrimonio, soprattutto quando non manca la possibilità di vendere il proprio schiavo altrove a un prezzo giusto.
5. Con la vita religiosa e con gli ordini sacri uno si obbliga per tutto il tempo al servizio di Dio.
Invece il debito coniugale obbliga solo nei tempi convenienti.
Quindi il paragone non regge.
Inoltre chi entra in religione o riceve gli ordini si obbliga a delle opere che sono aggiunte a quelle naturali, e sulle quali il padrone ha il dominio, mentre non lo ha sui compiti naturali, a cui lo schiavo si obbliga con il matrimonio.
Per cui questi potrebbe fare voto di castità senza il consenso del padrone.
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