Supplemento alla III parte |
Pare che chi è sposato non possa vendersi come schiavo dopo il matrimonio.
1. Non può essere mai ratificato ciò che viene compiuto in frode e a detrimento di terzi.
Ora, il marito che si vende come schiavo lo fa talora in frode del matrimonio, o almeno a danno della moglie.
Perciò tale vendita per ridursi alla condizione di schiavo non deve aver valore.
2. Due cose favorevoli prevalgono su una sola non favorevole.
Ora, il matrimonio e la libertà sono favorevoli [ Decretales 2,27,26 ], e si oppongono alla schiavitù, che non gode del favore del diritto.
Quindi tale schiavitù deve essere del tutto annullata.
3. Nel matrimonio il marito e la moglie sono alla pari.
Ma la moglie non può rendersi schiava contro il volere del marito.
Quindi neppure il marito può farlo senza il consenso della moglie.
4. Ciò che nell'ordine naturale impedisce a una cosa di prodursi, la distrugge una volta prodotta.
Ora la schiavitù del marito, se è ignorata dalla moglie, annulla il contratto matrimoniale [ a. 1 ].
Se quindi essa sopraggiungesse al matrimonio lo distruggerebbe.
Il che è inammissibile.
1. Chiunque può cedere ad altri ciò che gli appartiene.
Ora, il marito è padrone di sé, essendo una persona libera [ Arist., Met. 1,2 ].
Quindi può cedere ad altri questo dominio.
2. Uno schiavo può prendere moglie contro la volontà del padrone, come si è detto [ a. 2 ].
Quindi per lo stesso motivo può rendersi schiavo contro la volontà della moglie.
Il marito è soggetto alla moglie solo riguardo all'atto matrimoniale, in cui essi sono alla pari; ma ad esso non reca pregiudizio la condizione di schiavitù.
Perciò il marito può vendersi ad altri come schiavo contro il volere della moglie.
Né per questo viene a sciogliersi il matrimonio: poiché, come si è visto [ q. 50, a. 1, ad 7 ], nessun impedimento successivo al matrimonio può mai scioglierlo.
1. La frode può nuocere a chi la commette, ma non può pregiudicare i diritti altrui.
Se quindi il marito si dà come schiavo in frode della moglie ne riporta lui stesso un danno, perdendo « il bene inestimabile della libertà » [ Dig. 50,17, reg. 106,176 ], ma non può pregiudicare i diritti della moglie, essendo tenuto a renderle il debito quando essa vuole, e a tutto ciò che il matrimonio richiede: non può infatti esimersene per un comando del padrone.
2. Nei casi di incompatibilità tra la schiavitù e il matrimonio sarà il matrimonio a prevalere sulla schiavitù: poiché lo schiavo è tenuto a rendere il debito coniugale anche contro la volontà del padrone.
3. Sebbene rispetto all'atto matrimoniale e agli obblighi di ordine naturale, sui quali non può interferire la condizione di schiavitù, il marito e la moglie siano alla pari, tuttavia rispetto al governo della famiglia e ad altre cose connesse l'uomo è il capo della donna [ 1 Cor 11,3; Ef 5,23 ], ed è tenuto a correggerla, non viceversa.
Perciò la donna non può darsi in schiava contro la volontà del marito.
4. L'argomento parte dall'analogia con le realtà corruttibili: però anche in queste troviamo molte cose che impediscono la generazione, eppure non sono capaci di corrompere ciò che è ormai generato.
Nelle realtà perpetue poi ci possono essere degli ostacoli che impediscono a una certa cosa di iniziare, ma non bastano a distruggerla: come è evidente nel caso dell'anima umana.
E così è per il matrimonio, che è un vincolo perpetuo finché dura la vita presente.
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