Supplemento alla III parte |
Pare che il frutto non sia dovuto solo alla virtù della continenza.
1. A commento di quel testo di S. Paolo [ 1 Cor 15,41 ]: « Altro è lo splendore del sole », ecc., la Glossa [ ord. ] afferma che « allo splendore del sole è paragonata la dignità di coloro che danno il frutto del cento per uno, a quello della luna [ la dignità di ] coloro che danno il sessanta per uno e a quello delle stelle [ la dignità di ] coloro che danno il trenta ».
Ma quella diversità di splendore, secondo l'intenzione dell'Apostolo, riguarda ogni gradazione di beatitudine.
Quindi i diversi frutti non devono corrispondere alla sola virtù della continenza.
2. Frutto deriva da fruizione.
Ma la fruizione si riferisce al premio essenziale, che corrisponde a tutte le virtù.
Quindi [ anche i frutti corrispondono a tutte le virtù ].
3. Il frutto è dovuto al lavoro, secondo le parole della Sapienza [ Sap 3,15 ]: « Il frutto del buon lavoro è glorioso ».
Ma nella fortezza il lavoro è più gravoso che nella temperanza o nella continenza.
Quindi il frutto non corrisponde solo alla continenza.
4. È più difficile non eccedere nel cibo necessario alla vita che negli atti sessuali, senza i quali la vita si conserva ugualmente.
Perciò il travaglio della parsimonia è superiore a quello della continenza.
Quindi i frutti devono corrispondere più alla parsimonia che alla continenza.
5. Il frutto implica ristoro.
Ma il ristoro si ha soprattutto nel fine.
Siccome quindi le virtù teologali hanno per oggetto il fine, cioè Dio stesso, sembra che il frutto corrisponda specialmente a tali virtù.
La Glossa [ ord. su Mt 13,23 ] attribuisce i frutti alla verginità, alla vedovanza e alla continenza coniugale, che fanno parte della continenza.
Il frutto è un premio dovuto all'uomo per il fatto che dalla vita carnale passa a quella spirituale [ a. 2 ].
Perciò esso corrisponde soprattutto a quella virtù che più di ogni altra libera l'uomo dal dominio della carne.
Ora, questo è il compito della continenza, poiché l'anima viene assoggettata alla carne soprattutto in seguito ai piaceri sessuali: per cui secondo S. Girolamo [ Orig., In Nm hom. 6 ] durante quell'atto lo spirito di profezia si ritrae dal cuore dei profeti; e secondo il Filosofo [ Ethic. 7,11 ] « in questo piacere è impossibile capire intellettualmente qualcosa ».
Perciò i frutti si riferiscono più alla continenza che a qualsiasi altra virtù.
1. Quella Glossa parla del frutto in senso lato, in quanto qualsiasi retribuzione può essere denominata frutto.
2. Dalle cose già dette risulta che al frutto, nel significato in cui adesso ne parliamo, non è connessa l'idea di fruizione.
3. I frutti, secondo l'accezione che qui ci interessa, non corrispondono al lavoro a motivo della fatica, ma per il fatto che col lavoro il seme fruttifica.
Per cui anche le messi vengono dette « lavori » [ Sal 128,2; Gv 4,38 ]: in quanto cioè si lavora per esse, e vengono ottenute col lavoro.
Il paragone con il frutto in quanto derivante dal seme si adatta invece meglio alla continenza che alla fortezza, poiché l'uomo è reso schiavo della carne non in seguito alle passioni regolate dalla fortezza, ma in seguito a quelle che sono l'oggetto della continenza.
4. I piaceri connessi con il cibo, sebbene siano più necessari di quelli sessuali, sono però meno violenti.
Per cui in seguito ad essi l'anima non è così assoggettata alla carne.
5. Il termine frutto qui non deriva dalla fruizione, e quindi dal ristoro che si ha nel fine, ma da un altro aspetto del frutto.
Perciò l'argomento non regge.
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