Supplemento alla III parte

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Articolo 6 - Se i dannati possano demeritare

Pare che i dannati possano demeritare.

Infatti:

1. I dannati hanno « la volontà perversa », come dice il testo delle Sentenze [ 4,50,1 ].

Ma per la cattiva volontà che ebbero nella vita presente essi demeritarono.

Se quindi là non demeritassero, ricaverebbero un vantaggio dalla loro dannazione.

2. I dannati si trovano nella condizione dei demoni.

Ora, i demoni possono demeritare dopo la loro caduta: infatti al serpente che indusse l'uomo a peccare Dio inflisse un castigo, come si legge nella Genesi [ Gen 3,14s ].

Quindi anche i dannati demeritano.

3. Un atto disordinato che deriva dal libero arbitrio non cessa di essere demeritorio anche se è dovuto a una necessità, qualora di tale necessità sia causa il soggetto medesimo: come scrive infatti Aristotele [ Ethic. 3,5 ], « l'ubriaco merita un duplice castigo », se per l'ubriachezza commette una colpa.

Ora, i dannati furono causa essi stessi della loro ostinazione, per cui sono nella necessità di peccare.

Siccome quindi i loro atti disordinati derivano dal libero arbitrio, non cessano di essere demeritori.

In contrario

1. La pena si contrappone alla colpa.

Ma nei dannati la volontà perversa deriva dall'ostinazione, che è per essi una pena.

Quindi nei dannati la volontà perversa non è una colpa con la quale possano demeritare.

2. Raggiunto l'ultimo termine non rimane alcun moto o progresso, sia nel bene che nel male.

Ora i dannati, specialmente dopo il giorno del giudizio, raggiungeranno l'ultimo termine della loro dannazione: poiché, come dice S. Agostino [ Enchir. 111 ], allora « le due città raggiungeranno il loro fine ».

Perciò i dannati dopo il giorno del giudizio non demeriteranno col loro volere perverso: altrimenti la loro dannazione aumenterebbe.

Dimostrazione:

Nel caso dei dannati si deve distinguere tra prima e dopo il giorno del giudizio.

Tutti infatti ammettono comunemente che dopo il giorno del giudizio non ci sarà più alcun merito o demerito.

E ciò perché il merito e il demerito sono ordinati a un bene o a un male da conseguire in seguito.

Ora, dopo il giorno del giudizio si avrà l'ultimo stadio dei buoni e dei cattivi, per cui non si potrà aggiungere nulla, di bene o di male.

Perciò il buon volere nei beati non sarà un merito, ma un premio, e il mal volere nei dannati non sarà un demerito, ma solo un castigo: come infatti nota Aristotele [ Ethic. 1,10 ], « gli atti virtuosi sono in relazione con la felicità, mentre gli atti contrari alla virtù sono connessi con la miseria ».

Tuttavia alcuni dicono che prima del giudizio i beati potrebbero meritare e i dannati demeritare.

- Ora, ciò è impossibile rispetto al premio essenziale o alla pena principale: poiché da questo punto di vista gli uni e gli altri sono ormai al loro termine.

Ciò può invece accadere rispetto al premio accidentale, o alla pena secondaria, potendosi avere qui una crescita fino al giorno del giudizio.

E specialmente ciò può accadere nei demoni e negli angeli buoni: infatti per la loro opera alcuni vengono salvati, per cui cresce la gioia degli angeli buoni, e altri vengono spinti alla dannazione, per cui cresce la pena dei demoni.

Analisi delle obiezioni:

1. La somma sventura consiste nell'essere arrivati al fondo della miseria, dal che deriva nei dannati l'impossibilità di demeritare.

Per cui è evidente che dal peccato essi non traggono un vantaggio.

2. Agli uomini dannati non spetta il compito di attirare gli altri alla dannazione, come invece spetta ai demoni, che con tale attività demeritano rispetto alle pene secondarie.

3. I dannati cessano di demeritare non perché si trovino nella necessità di peccare, ma perché sono giunti al fondo della miseria.

Del resto quella necessità di peccare di cui siamo responsabili, in quanto è una necessità, scusa dalla colpa: poiché ogni peccato deve essere volontario.

Se dunque non scusa, ciò è dovuto al fatto che essa proviene dalla volontà precedente.

E allora tutto il demerito della colpa successiva si riduce evidentemente a quello della colpa precedente.

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