Pietro Bagna |
Fin dal 1968 Bagna collaborò col nuovo parroco di Sant'Alfonso, Don Quaglia, succeduto allo scomparso Don Laude, avendo modo di affrontare insieme al giovane sacerdote una serie di problemi assolutamente sconosciuti alla generazione di cattolici da "reconquista" allevati sotto i battaglieri Pio XI e Pio XII.
Una delle questioni più scottanti era data dalla progressiva squalificazione della dimensione spirituale che un cattivo "spirito conciliare", tutto preso dall'urgenza delle problematiche sociali, tendeva a mettere in cattiva luce per favorire il primato dell'azione e dell'assistenza sociale.
In verità - e Bagna ne era l'esempio tangibile - il cristiano militante non può addurre un'attività di volontariato molto intensa per giustificare le carenze della propria interiorità, deve anzi dimostrare nelle parole e nei fatti che ogni opera buona è "agita" dallo Spirito Santo invocato nella preghiera.
Del resto siamo tutti "servi inutili".
Era questo l'insegnamento che Bagna cercava di trasfondere nelle sue periodiche visite a Sant'Alfonso.
" Piero non guidava personalmente questi incontri, si limitava ad una partecipazione attiva: in genere noi svolgevamo una sorta di intervista su tematiche varie e lui rispondeva in base alla propria sensibilità spirituale.
Il fatto fondamentale da notare, però, era che queste "inchieste" si svolgevano in un ambiente - i movimenti giovanili vicini alla parrocchia di Sant'Alfonso - che rappresentava una sorta di eresia dell'azione.
Eravamo un po' come la Marta del Vangelo, distratti da tante, forse troppe cose e lui cercava invece di concentrare l'attenzione su alcuni punti nevralgici della nostra vita interiore, affinché non venissimo travolti dall'attivismo.
In effetti c'è questo rischio: i sacerdoti, specie quelli più giovani, distratti come sono dall'intensa attività pastorale, finiscono per fermarsi sulla dimensione orizzontale dimenticando quella verticale.
Il primato dello spirito è essenziale se si vuole dare qualcosa ai giovani attraverso l'azione pastorale.
Tra questi giovani poi qualcuno tra i più affinati, può anche approfittare di questi incontri per ottenere l'ispirazione dello Spirito Santo.
Dopo il '75, tra i nostri visitatori abituali, si misero in luce alcuni studenti - purtroppo le note malattie hanno impedito a Bagna di conoscerli - che dopo la laurea, o mentre ancora frequentavano l'Università, si sono orientati alla dimensione religiosa grazie agli impulsi giusti ricevuti in parrocchia.
Qualcuno ha frequentato il Seminario: uno in particolare, Walter d'Anna, è diventato anche sacerdote; è l'attuale parroco dell'Addolorata del Pilonetto ed insegna nel Seminario Maggiore.
Si era laureato in Fisica e Filosofia specializzandosi in Filosofia della Scienza e, come detto, ha frequentato a lungo il nostro ambiente.
Lui non ha conosciuto Bagna, ma l'ho ricordato perché la carica di spiritualità trasmessa da Bagna, noi l'abbiamo portata avanti ed ha dato i suoi frutti." ( Don Carlo Quaglia )
L'altro problema era dato dal cosiddetto "vento della contestazione" che si era abbattuto, spesso con violenza inaudita, sulle vecchie istituzioni e sull'idea tradizionale della gerarchia cattolico-romana giudicata come un'eredità ingombrante del passato.
L'episcopato veniva accusato di essersi conformato al bieco e borghese "principio d'autorità", segno questo di una situazione di compromesso con le strutture del potere che i vescovi avrebbero tollerato per amore del quieto vivere.
I cristiani progressisti si proponevano così di infiltrarsi nei gangli della Chiesa ( parrocchie, consigli pastorali ecc. ) per scuotere dalle basi quella obbedienza a Santa Romana Chiesa che, fino ad allora, aveva rappresentato uno dei capisaldi della santificazione.
" Quando sono arrivato là eravamo proprio in piena contestazione, nel '68-'69.
Io, una volta subentrato al defunto Don Laude, dovevo barcamenarmi tra l'estrema sinistra e l'estrema destra, perché S. Alfonso è una parrocchia in parte borghese ed in parte proletaria: nella zona del vecchio Campidoglio, ad esempio, vivevano solo famiglie povere.
Vi erano sacche di sottosviluppo davvero impressionanti.
In questo clima io e il Cardinal Pellegrino cercavamo di attuare una politica d'equilibrio e abbiamo affrontato delle situazioni molto intricate.
Tra queste spiccava la comunità del Vandalino, fondata da un salesiano che aveva defezionato, un certo don Merinas, il quale aveva radunato attorno a sé due o tre sacerdoti contestatori per poi creare una realtà che si poneva in contrasto palese con l'autorità episcopale di Cardinal Pellegrino.
La comunità traeva il nome da Via Vandalino, in zona Pozzo Strada, dove appunto aveva sede.
In seguito questi sacerdoti si sono tutti sposati col rito civile, ma la cosa più sconcertante è stata questa: il Cardinale Pellegrino era propenso a concedere loro la dispensa per passare dal sacerdozio al matrimonio, ma essi l'hanno respinta con decisione, in quanto contestavano radicalmente la struttura e le funzioni della Chiesa e dunque anche il sacramento del matrimonio.
Io posso testimoniare un fatto: il Cardinale è giunto a inginocchiarsi davanti a loro quasi per chiedere scusa degli eventuali maltrattamenti inflitti, ma questi sacerdoti ribelli non hanno fatto una piega, ebbri com'erano del loro zelo ideologico.
Hanno perseverato nell'errore: il diavolo in quella circostanza ha lavorato molto.
Il Vandalino di Merinas a Torino era per molti aspetti analogo all'Isolotto di Don Mazzi in Firenze; ma a suo tempo Monsignor Florit, Arcivescovo di Firenze, era stato molto duro nei confronti dei ribelli, a differenza di Pellegrino che si è sempre mostrato dolce e comprensivo.
Florit indirizzò a Don Mazzi una lettera molto chiara: "o ritratti o ti dimetti", un tipo di aut-aut che Pellegrino non avrebbe mai lontanamente immaginato.
Un giorno io e i miei viceparroci abbiamo invitato Merinas a mettere a fuoco una volta per tutte le tematiche che ci dividevano: non l'avessimo mai fatto.
Quando il discorso è scivolato sulla teologia, Merinas se ne è uscito con delle eresie sulle processioni trinitarie dal Padre e dal Figlio, da far impallidire gli eresiarchi della cristianità primitiva.
Neanche Sant'Agostino è riuscito a sondare il mistero della Trinità e lui pretendeva di avere la verità in tasca.
A quel punto ho bloccato il discorso e ho invitato il mio vice-parroco a prendere in cantina tre buone bottiglie di vino per brindare alla Santissima Trinità.
Questo Don Merinas in più occasioni mi ha "onorato" della sua presenza, in quanto alcune cellule del suo movimento appartenevano alla parrocchia di Sant'Alfonso.
Alcuni nostri parrocchiani andavano al Vandalino, assorbivano idee sovversive ispirate a Che Guevara, Fidel Castro, Marcuse ecc. e poi si presentavano al Consiglio Pastorale dove creavano veramente una grande confusione che danneggiava specialmente i nostri laici impegnati nella pastorale parrocchiale.
Io ne facevo cenno a Bagna, al quale dicevo :"guardi che ci troviamo in una situazione piuttosto critica" e lui, che per mio espresso invito faceva parte del Consiglio Pastorale, concordava con me sulla novità dirompente e assolutamente ingestibile di questo fenomeno che non nascondeva chiari propositi di destabilizzazione a danno della Chiesa." ( Don Carlo Quaglia )
La descrizione dell'ambiente nel quale Bagna fu chiamato a fare opera di apostolato può darci le misure della coerenza ideale necessaria per continuare ( due o tre volte al mese ) a svolgere interventi di cultura religiosa, in tutto e per tutto fedeli al Magistero della Chiesa, tra l'indifferenza dei sacerdoti più giovani, la tiepidezza di molti membri del Consiglio Pastorale e l'ostilità degli elementi più condizionati dalla propaganda ideologica.
Insomma, è una di quelle situazioni "critiche" nelle quali il "laico consacrato" si trova a dover affrontare, da solo, la messa in discussione del proprio apostolato e della propria scelta di vita: qui, cioè, può mettere finalmente alla prova la solidità delle sue convinzioni e, dopo tanti buoni propositi, prendersi la responsabilità di decidere tra compromesso e testimonianza coraggiosa.
Tutti sono concordi ( Don Quaglia e Teresio Bagna in testa ) nel riconoscere a Piero, uomo dal carattere mite e bonario, una sorprendente intransigenza scevra da qualsiasi compromesso.
Egli trovava, nella preghiera, la forza per calpestare il rispetto umano e la personale timidezza, e dichiarare ad alta voce le verità della fede.
Ora non si tratta di apprezzare la forma pre o post-conciliare applicata da Bagna ai suoi interventi, che certo non brillavano per "progressismo teologico", quanto il coraggio necessario a mettere in gioco la propria rispettabilità nell'arena delle diatribe sessantottine che allora monopolizzavano l'attenzione di tanti finti intellettuali.
L'intenzione, in assoluta buona fede, era quella di camminare sulla via indicata dal Magistero, non col tono farisaico di chi disprezza l'ignoranza altrui, ma con quella santa "cocciutaggine" che spesso ci aliena la simpatia della gente e compiace Nostro Signore proprio perché rappresenta una croce significativa per il nostro amor proprio: il rischio del ridicolo è sempre alle porte.
" Di fatto possedeva una grande carica di spiritualità.
In certe occasioni era persino intransigente: specie quando trattava con la nostra gente pretendeva un po' troppo.
Il suo argomento prediletto era la catechesi, per la quale nutriva una vera passione.
Inoltre ci parlava in termini assai lusinghieri della Casa di Carità.
In un certo senso, mutuava lo spirito e le aspirazioni della Casa di Carità e li trasferiva da noi.
Io avevo due o tre vice parroci - la mia parrocchia allora contava 30.000 fedeli - che, indaffarati com'erano, non erano molto inseriti nei nostri colloqui serali; allora, in diversi modi, cercavo di metterli a parte di queste riflessioni e penso ne traessero profitto.
Bagna era entrato nel Consiglio Pastorale quando avevo invitato a far parte di questo consesso i rappresentanti di tutti i gruppi parrocchiali: le Conferenze di San Vincenzo, Comunione e Liberazione, Rinnovamento nello Spirito, i Neo-catecumenali e via dicendo.
I nuovi movimenti avevano una forte componente giovanile, certo, ma erano spesso condizionati dalle appartenenze politiche di alcuni elementi vicini agli ambienti dell'estrema sinistra ( Democrazia Proletaria ).
Si era creata una realtà paradossalmente "democratica": c'era tutto l'arco parlamentare come a Montecitorio.
Perciò si polemizzava aspramente, si andava avanti fino a mezzanotte o a l'una e poi, alla fin fine, non si concludeva nulla.
La mia intenzione tuttavia, sempre in linea con la politica dell'equilibrio di Cardinal Pellegrino, consisteva proprio nel dimostrarmi disponibile al libero dibattito, per sconfessare chi identificava la gerarchia cattolica con l'oscurantismo e la sopraffazione.
Bagna ovviamente restava molto sconcertato dalla "politicizzazione" della pastorale e soprattutto dalla aggressività dei contendenti, abituato com'era ad ambienti ecclesiastici assai più pacifici.
Ha partecipato anche ad alcuni ritiri spirituali organizzati dai sacerdoti più giovani della parrocchia, ma allora costoro erano nella totalità orientati al riformismo e di conseguenza tendevano ad emarginare le persone eccessivamente legate alla tradizione. " ( Don Carlo Quaglia )
Nel racconto di Don Quaglia, che non ci ha nascosto la scarsa simpatia nutrita dai giovani sacerdoti verso Bagna e la loro tendenza a isolarlo ( forte come sempre, quando si parla di Catechisti, torna il problema della solitudine ), emerge un altro aspetto sintomatico di quel disorientamento che colpì la Chiesa alla fine degli anni '60, vale a dire l'emergere dei cosiddetti "gruppi spontanei".
Allora, la disaffezione delle nuove generazioni nei confronti della religione, veniva vissuta come una drammatica conseguenza del divorzio Chiesa-modernità che solo un traumatico "svecchiamento" delle tradizionali realtà associative cattoliche avrebbe potuto risolvere.
Incominciarono così a sorgere come funghi, nelle varie parrocchie, miriadi di piccole aggregazioni, create sull'onda di un giovanilismo molto emotivo che sulle prime creava interesse e curiosità tra i giovani, ma poi, quando più intenso si faceva il lavoro pastorale, scemava inevitabilmente verso l'azzeramento delle presenze.
In questo contesto si creavano all'interno della stessa parrocchia, delle situazioni conflittuali tra chi favoriva il lavoro "serio" portato avanti dall'Azione Cattolica, nonostante le mille difficoltà derivanti dagli scontri generazionali, e chi preferiva la via più facile e naif dell'improvvisazione, del "tutto e subito", del nuovismo pirotecnico promosso dai gruppi spontanei, il cui impatto iniziale, specie per gli osservatori esterni, poteva risultare molto scenografico e "vincente".
Peraltro, sbolliti i primi entusiasmi, si ricadeva in quell'apatico disincanto che sui giovani può essere più deleterio di qualunque apostolato troppo "serioso".
" I giovani sacerdoti privilegiavano i gruppi spontanei ( dai nomi più strani: K2, walkie talkie, Machu Picchu ecc. ) che poi, come è noto, sono dei fuochi fatui.
Personalmente preferivo mandare i miei elementi migliori all'Azione Cattolica giovanile, diretta da Don Giorgio Piovano, presso i Carmelitani di Santa Teresa.
Ma don Giorgio, nella nostra parrocchia, non poteva far nulla, perché i sacerdoti giovani glielo impedivano.
Io, come parroco, ho sempre cercato di aggiornarmi, ma allora era molto difficile, visto e considerato che nel nostro ambiente c'era gente che intendeva sdoganare la rivoluzione.
Quindi preferivo lavorare con gli elementi più solidi che provenivano dall'Azione Cattolica.
Da questi uomini abbiamo tratto anche ottimi dirigenti per gli Enti locali.
Questo perché l'Azione Cattolica ci dava una garanzia di continuità, cosa che ai gruppi spontanei mancava completamente. " ( Don Carlo Quaglia )
Bagna partecipava agli incontri di Sant'Alfonso almeno due o tre volte al mese, fornendo il suo personale contributo alla conoscenza della spiritualità del Crocifisso.
Ma la sua attività non si limitava all'apostolato "culturale".
Egli aveva sempre sentito fortissima l'esigenza di aiutare materialmente i poveri, quasi che l'eccesso di cultura potesse inaridire il virgulto della carità cristiana.
Nella sua visione cattolicamente organica ( come era stato da sempre nelle intenzioni di Fratel Teodoreto che alternava la "Messa dei poveri" con la catechesi ) le opere di misericordia corporale stimolavano lo studio delle scienze religiose e queste permettevano di illuminare meglio il senso cristico delle prime.
Tutto ciò era poi sublimato dal suo fare bonario e gentile, mai aggressivo, mai indiscreto, mai supponente ( quanto ci sarebbe da imparare ) che rendeva più gradito l'aiuto, quasi venisse da un fratello, invece che da un perfetto estraneo.
Questa sensibilità verso i poveri, come osservato da molti conoscenti, era certamente affinata dalle esperienze dell'infanzia e della giovinezza, dove aveva avuto modo di sperimentare direttamente, sulla propria pelle, i rigori di una vita priva di lussi e comodità.
Del resto la spiritualità del Crocifisso non si fonda sulla condivisione?
E come si può compatire e catechizzare il povero se non si è mai assaggiata la sferza della povertà?
Fr. Norberto fsc, in un "Manuale di Pedagogia" ispirato a G.B. La Salle, e pubblicato all'inizio del '900, scriveva "è assioma riconosciuto che, in qualsiasi insegnamento, in tanto otterrà efficacia l'insegnante, in quanto ci avrà messo del suo, della sua vita, del suo affetto, conforme all'oraziano "Se vuoi commuovere me, devi prima sentir dolore in te stesso" .
L'infanzia difficile di altri grandi Catechisti, come Giovanni Cesone, ci permette di intuire quanto la scuola della vita possa influire sui sentimenti che animano l'apostolato dei laici consacrati.
Tuttavia sarebbe riduttivo catalogare questa attenzione per le persone meno abbienti sotto l'etichetta "solidarietà di classe", in quanto le motivazioni di fondo andavano ben oltre il semplice assistenzialismo, caratterizzando un intero stile di vita.
È noto ad esempio che Piero, pur avendone la possibilità rifiutò di riscuotere la pensione minima di vecchiaia che sarebbe spettata alla madre al compimento del 75° anno di età, poiché pensava di poter provvedere personalmente alle necessità della mamma e soprattutto perché aveva una concezione molto alta dell'assistenza sociale, che, per andare d'accordo con la sua vocazione di "laico consacrato", non poteva scendere ad alcun compromesso.
In questa luce va compresa ogni sua attività di assistenza ai poveri.
" L'ho accompagnato parecchie volte nelle case di cura, presso i malati che lui accudiva o assisteva spiritualmente: aveva un grande cuore! " ( Don Banchio ).
" Seguiva assiduamente la mensa allestita dalla San Vincenzo in via Netro 3: lì serviva da mangiare e quando poteva aiutava le cuoche.
Spesso andava a lavare i piedi ai poveri." ( Teresio Bagna )
" La caratterizzazione principale di Piero non era quella dell'attivista, ma quella dell'uomo di pietà e di preghiera, con una grande attenzione ai poveri ed anche una personale scelta di povertà.
In parte questo stile di vita così austero derivava dalle condizioni di vita della famiglia d'origine: la sua abitazione era composta da tre, quattro stanzette, una delle quali ospitava i tre fratelli.
Appena entrati ci si imbatteva nel tavolo di lavoro del padre che svolgeva la sua attività di calzolaio in casa.
Tutti in famiglia erano molto umili e riservati, possedevano un altissimo senso della dignità; si restava colpiti specialmente dalla dolcezza umile della madre.
Piero si era fatto la fama di giovane piissimo, molto amato dai poveri e del resto la sua attività presso la Conferenza di San Vincenzo doveva essere molto consistente.
Nella sezione di Sant'Alfonso, come altrove, si svolgeva un incontro settimanale: 10 persone circa si riunivano, dicevano una preghiera, elencavano un certo numero di famiglie povere, si distribuivano i compiti, organizzavano una piccola colletta e andavano a visitarle.
Prima della guerra tra i giovani di Azione Cattolica e quelli delle Conferenze di San Vincenzo c'era una certa interrelazione: gli uni venivano coinvolti nelle attività degli altri e viceversa.
Io stesso, pur provenendo dalla Legion Tebea, ho frequentato per qualche tempo gli ambienti della San Vincenzo.
Poi è subentrata una netta separazione.
All'inizio però negli stessi locali destinati alla Legion Tebea c'era un via vai di personaggi legati alla San Vincenzo e non solo.
Si verificava, insomma, all'interno dello stesso ambiente, un incrociarsi di attività, gruppi e personalità in modo del tutto a-sistematico.
Non c'era la burocratizzazione di oggi.
Tra i personaggi di grosso calibro della San Vincenzo che frequentavano quei locali, spiccava il nome del Prof. Giuseppe Grosso, docente di Diritto all'Università di Torino, prima Presidente della Provincia e poi Sindaco della nostra città. " ( Arch. Giuseppe Varaldo )
L'attività svolta da Bagna di concerto con Zelatori e Zelatrici per la promozione dell'Adorazione alle Cinque Piaghe era un aspetto ulteriore, davvero non indifferente, della sua militanza e spesso lo spingeva a verificare di persona lo stato della diffusione dei famosi "foglietti gialli" sui quali era stampata la preghiera.
La stasi di questa divulgazione era da lui giudicata come un segno di crisi, un rifiuto delle grazie che Gesù, mediante il diario di Fra Leopoldo, aveva promesso di elargire ai suoi fedeli adoratori e alla Casa di Carità.
Perciò, quando si presentava l'occasione ( anche in questi gesti umili emergeva la sua intraprendenza cristiana ), a dispetto di contesti culturali spesso ostili alle divozioni, si incaricava di distribuire personalmente le copie in sovrannumero.
" Era talmente devoto del Crocifisso che a un certo punto della sua vita, quando si rese conto che nel ripostiglio della parrocchia di Sant'Alfonso erano accatastate migliaia di copie della Divozione destinate al macero, si prese la responsabilità di non lasciarle marcire nei magazzini e così decise di distribuirle davanti alle porte della Consolata.
Questo faceva parte della sua assidua attività propagandistica.
Lo vedevo là, impettito sulla soglia del Santuario, ad offrire queste copie e, spinto dal suo zelo, io stesso ritornai a questa pratica di Amore a Gesù Crocifisso che da tempo ormai recito ogni mattina." ( Don Michele Banchio )
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