Peter Chan |
Poi giunge il momento di partire per l'Italia.
I primi mesi di permanenza in Italia lo vedono impegnato a fondo, come è costume suo e dei suoi fratelli, nell'imparare la lingua italiana: lo sforzo non è lieve.
Deve passare dalla originale lingua birmana a quella inglese che ha imparato a scuola e da questa alla lingua italiana.
La viva intelligenza, la tenace memoria e soprattutto il serio impegno lo portano a superare dopo solo 5 mesi, il 10 novembre 1972, l'esame di lingua italiana per l'ammissione all'Università di Torino.
Intanto trova modo e tempo di dedicarsi ai poveri: come già i suoi fratelli, ogni domenica e ogni festa, si reca alla Messa del Povero, l'opera di redenzione dei mendicanti che da 40 anni svolge la sua benefica attività, presso l'Opera Pia Lotteri in Via Colombini e in Via Cibrario, a favore dei più poveri della città.
Accanto ai Catechisti dell'Unione, ai Fratelli delle Scuole Cristiane, alle Figlie della Carità presta anche lui il suo servizio: è lui che porta all'altare il Pane per la Consacrazione, è lui che passa tra i tavoli, durante la modesta refezione che segue la Santa Messa, a servire i poveri ; per tutti ha il dono del suo luminoso sorriso: i poveri gli vogliono bene, lo ammirano con venerazione mista ad affetto paterno per questo giovane così buono con loro.
E quando li ha serviti a tavola si mette a disposizione per la distribuzione del vestiario usato, che serve ad attenuare i rigori dell'inverno.
Fa misurare maglie, giacche, pantaloni, contento quando riesce ad accontentare e sorride, sorride sempre con quel suo sorriso che non si riesce a dimenticare e che da un nodo alla gola quando pensi che non lo vedrai più.
Passa con noi e con i poveri le feste più belle di fine anno: Natale, Capodanno, Epifania. Papa, Mamma, sorelle sono lontani: nel cuore c'è tanta nostalgia, ma non la dimostra: ha trovato una famiglia spirituale da cui riceve calore di affetto e a cui da immensamente con la sua generosità, accompagnata dal suo delicato, radioso sorriso.
Domenica 7 gennaio è ancora con noi, e si ritrova al suo servizio alla Messa del Povero.
Lunedì 8 gennaio accusa un dolore alla guancia.
La prima diagnosi pare quella di un ascesso per il dente del giudizio.
Ma la cosa si fa presto più seria perché il gonfiore aumenta e vi si aggiunge una febbre alta.
Il dolore è forte, ma Piero non si lamenta: è lui stesso che dice che ha coraggio, sa sopportare e non vuole disturbare.
I suoi fratelli, preoccupati, lo fanno portare a Demonte, dove il fratello Giovanni fa pratica di ospedale: la febbre sale e cominciano le emorragie.
Sabato 13 gennaio viene portato all'ospedale di Cuneo: continuano le emorragie e a poco servono le trasfusioni.
Gli esami ematologici fanno affiorare il nome del possibile terribile male: leucemia acuta.
L'organismo è robusto, sano, ma il male lo distrugge inesorabilmente, rapidamente: sembra un povero fiore a cui viene a mancare la linfa.
I suoi fratelli, nell'angoscia, lo assistono giorno e notte, impotenti di fronte alla violenza distruggitrice del male che non perdona.
Poco a poco anche la speranza di una regressione svanisce.
Mercoledì 17 gennaio viene portato a Torino, al Centro ematologico delle Molinette, in un ultimo tentativo che non riesce a celare il presentimento atroce che si fa strada nell'animo e che non si osa manifestare.
Piero capisce: anche se attorno a lui si parla di speranza, di coraggio, di « Vedrai che passerà », ha la perfetta conoscenza che per lui non c'è più nulla da fare.
Lo dice e lo ripete chiaramente al fratello Giovanni che lo assiste nell'ultima notte dal mercoledì 17 al giovedì 18 gennaio.
È una notte molto agitata: la febbre altissima e le emorragie lo tormentano continuamente.
Pare delirare, ma non è così: tutte le sue espressioni rivelano una mente ben presente a se stessa: è cosciente di morire e cerca di dare ai suoi fratelli tutta la ricchezza del suo spirito e della sua fede, consigliandoli sul modo di vivere, sullo spirito di povertà che deve sempre animarli, sul servizio da rendere nella loro professione, sulla fede da praticare; è un'altissima, autentica, ma umile lezione, dalla cattedra del suo letto di morte.
Cerchiamo con Giovanni, Paolo, Giuseppe di rievocare i momenti più vivi del suo messaggio.
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