Giovanni Fonti |
L'8 ottobre 1936, alla morte del padre, i fratelli ne ereditarono l'attività imprenditoriale.
E vi contribuirono tutti, come già avevano fatto gli anni precedenti: Pietro, nel periodo delle scuole elementari, ricorda che la sera andavano in un "cantinone" a stendere la vernice sui banchi per gli asili infantili costruiti dagli operai durante la giornata.
Sin dall'inizio, Giovanni fu devotissimo alla sua famiglia, nel seno della quale è sempre regnata una forte coesione, sia nel pensiero che nelle opere.
La sua era una intensa vita di preghiera, conservando sempre il proprio atteggiamento sereno e gioviale.
Per lui la solidarietà al prossimo era un atto di amore che si svilupperà in seguito in una costante visita agli ammalati.
Giovanni Fonti viaggiava parecchio, anzitutto per curare i rapporti commerciali coi clienti della ditta, poi per il suo aggiornamento all'interno dell'Unione Catechisti e per partecipare agli incontri negli Istituti Secolari.
Infine amava molto recarsi in pellegrinaggio ai tanti santuari, dedicati alla Madonna.
Un'altra cosa che amava era la lettura.
La laboriosità contraddistinse la vita di casa Fonti.
Il tempo libero era ben occupato.
La passione di Giovanni da giovane era lo studio della chimica e gli esperimenti.
Una volta si bruciò la mano con la termite, ferro fuso che veniva anche impiegato per le saldature dei binari, prodotto tramite un procedimento chimico denominato alluminotermia.
Si era anche addentrato nella chimica organica.
Nella soffitta dell'abitazione di via Pesare, per esempio, c'era un angolo dedicato ad un piccolo laboratorio chimico: là, dentro una bacinella, Giovanni produceva il sapone.
Il papa assecondava la sua passione per la chimica, quella per l'elettricità di Pietro e quella per le radio di Francesco, e cercava di procurare il materiale per gli esperimenti.
Ricorda Pietro che nel 1924 Luigi gli regalò una pila di Grenet ed un'altra volta il filo di rame per costruire un trasformatore di Tesla.
In quegli anni era difficile avere anche solo uno spezzone di filo di rame di recupero!
Invece suo papa riusciva a procurare il materiale.
Luigi Fonti collaborava in modo discreto.
Non intervenne mai a dire la sua: seguiva i figli da lontano.
Forniva materiale alla Paravia ( che oltre ai libri trattava anche banchi e attrezzi da ginnastica ) che, a sua volta, lo rivendeva alle scuole.
Riusciva così ad ottenere dei libri in visione.
Prima di darli ai figli li sfogliava tutti.
Le pagine che secondo lui non erano convenienti venivano strappate.
I libri che proprio non andavano li restituiva.
Essendo in quattro, con la sorella Giuseppina, i fratelli non sentivano il bisogno di avere amici e ne avevano pochi occasionali delle elementari e dei corsi serali.
Giocavano molto insieme, soprattutto col materiale di scarto della ditta.
Avevano costruito quattro monopattini, le cui ruote erano state ricavate dalla parte interna degli anelli da ginnastica.
Con le aste storte delle spalliere i ragazzi si facevano i trampoli: erano quattro trampolieri.
I momenti di gioco venivano organizzati nel laboratorio di via Barolo 20, quando non c'erano più gli operai.
La loro mamma, poi, era un'esperta di dolci.
Era solita preparare una torta di farina di grano duro ricoperta di mele.
Il sabato pomeriggio, Pietro portava i ragazzi dell'Unione da Fratel Teodoreto e dopo l'incontro distribuiva ad ognuno una fetta di quel dolce.
Quella torta costituiva, nella sua semplicità, molto di più.
Toccò il cuore dei ragazzi per l'amore che rappresentava il semplice gesto racchiuso in quel dono.
Rammenta infatti il Sig. Ostellino, un ex dipendente e amico dei Fonti: « La mamma era dolce, affabile.
Molto riservata. Ma se uno andava di sopra, ancora in via Pesaro, quando era appena finita la guerra, il pezzettino di dolce lo dava ».
Nel 1950, la ditta Fonti dovette trasferirsi dai locali di via Pesaro all'attuale sede di via Lorenzini 36.
Conobbero in quegli anni don Giuseppe Vietto che descrive così la signora Domenica: « Pensando ad una figura evangelica, potrei paragonare la madre dei fratelli Fonti a Marta e Maria insieme: pur vivendo nell'agiatezza, ha sempre scelto la povertà come loro ».
Era una donna molto attiva nelle normali faccende quotidiane che sapeva unire ad un'intensa vita di preghiera.
Un'affezione intensa Giovanni la coltivò per la sorella Giuseppina.
Ma parlando di lui, si deve ricordare di far riferimento anche agli altri fratelli, poiché la corrispondenza di sentimenti era talmente forte che spesso gli amici e dipendenti che ne hanno parlato si sono lasciati sfuggire il motto dei moschettieri di Dumas: "Tutti per uno e uno per tutti".
A proposito del profondo affetto per Giuseppina, Amilcare Ostellino racconta che un appuntamento fisso per la ditta Fonti era la Fiera di Milano: « Al ritorno era immancabile fermarsi al Pavesi a Novara e lui prendeva sempre la scotolino di dolci per Pina.
Il pensierino per la sorella c'era sempre.
Mezz'ora da Novara ed eravamo a Torino.
Un piatto di tacchino allo spiedo e poi a casa.
Anche per non disturbare Giuseppina a preparare una cena fuori orario ».
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