Circolare 5 |
Carissimi Catechisti,
Il Natale ha portato in ciascuno di noi, come spero, il dono di Gesù, vale a dire la pace che gli Angeli annunciarono a tutti gli uomini di buona volontà.
Questo dono della pace Gesù lo ha offerto ancora una volta a tutta l'umanità che, benché più sviluppata nei campi della scienza, della tecnica e dell'economia, non solo non sa darsi la pace, ma opera come stesse preparando la guerra totale.
Intanto, un po' dovunque, si parla di pace e si promuovono iniziative di pace: gli uni però contrariamente agli altri e finanche con opinioni contrastanti circa lo stesso ideale della pace.
Capita persino che in nome della pace giungano a dividersi e a combattersi popoli che prima erano uniti, giungano a disprezzarsi e a odiarsi persone che prima si rispettavano e anche si amavano vicendevolmente.
Pochi, troppo pochi, sono convinti che la pace incominci dall'interiorità di ciascun popolo e, prima ancora, di ciascun uomo, in quanto esige, innanzi tutto, il superamento di ciò che genera la divisione interiore, ossia la separazione da Dio, dalla quale consegue ogni sorta di separazione: da se stessi e dagli altri, tutti fatti a immagine e somiglianza di Dio.
Troppi non vedono o fingono di non vedere come qualsivoglia iniziativa di pace che non parta da questa base è di certo sterile perché manchevole e inadeguata fin dal suo nascere.
La sola pace con Dio è il fondamento e il principio della pace interiore di ciascuno e della pace universale fra tutti.
"Gloria a Dio nell'alto dei cieli" e "pace in terra agli uomini di buona volontà": sono parti integranti e indisgiungibili di un unico annuncio di salvezza.
Infatti, è il tendere a perseguire "la gloria di Dio" in ogni cosa che rende la volontà veramente "buona", altrimenti ogni uomo finisce di accettare come movente e come obiettivo la "sua" gloria, cioè il suo egoistico tornaconto.
Ma allora è il peccato con tutti i suoi frutti di guerra, di distruzione, di morte, e le tregue eventuali valgono principalmente a preparare lotte più terrificanti e disastrose.
D'altra parte, è parimenti vero che il perseguire la pace tra gli uomini è, per coloro che intendono adoprarsi per la gloria di Dio, compito doveroso e sicura verifica della loro buona volontà.
"Beati i pacifici perché saranno chiamati figli di Dio" ( Mt 5,1 ).
Su questi punti la nostra certezza dev'essere ferma e incrollabile.
Non importa se ci sentiremo derisi da coloro che, pur inneggiando alla pace e affaccendandosi per essa, rifiutano o trascurano la gloria di Dio.
Non importa se ci sentiremo incompresi e sospettati da coloro che, protestando di non voler cercare altra cosa che la gloria di Dio, rimangono indifferenti dinanzi alle divisioni e alle lotte sanguinose che travagliano l'umanità per la quale Cristo è morto sulla croce.
Noi cristiani e catechisti dobbiamo operare perché la gloria di Dio sia posta a base e a coronamento di ogni iniziativa veramente umana, di ogni iniziativa cioè che abbia in se stessa come un'esigenza di bontà e di virtù e che abbia in se stessa come una forza capace di farci migliori.
È questo il solo modo capace di soddisfare all'esigenza di perfezione morale e di sprigionare il virtuale potere di santificazione che appartengono ad ogni azione, ad ogni compito autenticamente umani.
Di questa verità ogni catechista deve farne tutte le applicazioni possibili, nel campo delle stesse realtà cosiddette "secolari" e "terrene", ossia nel campo dei suoi compiti familiari, professionali e civili.
Però, in primo luogo, facciamoci sempre più efficacemente convinti che ciò è possibile e in misura adeguata soltanto in Gesù, in Lui e per Lui.
Come abbiamo udito dal Vicario di Cristo nel giorno di Natale, soltanto Gesù, il Figlio di Dio, nato Bambino dalla Vergine, può darci la pace, la vera pace, quella che nasce nel cuore e che fiorisce nella concordia fra tutti gli uomini, al disopra delle differenze di età, di cultura, di razza, di nazione, di condizione sociale.
Solo Gesù è il principe della pace, ossia ne è il principio causativo, poiché essa ci è data in Lui, con Lui e per Lui: anzi, Gesù stesso è la nostra pace.
Ma la pace, che S. Agostino definisce: tranquillità dell'ordine" - ordine di ognuno in se stesso e nei rapporti con Dio e con il prossimo, ordine di tutti e di tutto - non è che la risultante e lo splendore dell'unità fra tutti gli uomini nella comunione fraterna.
Ma la pace, il cui nome nuovo - secondo l'Enciclica "Populorum Progressio" - è lo sviluppo integrale e solidale dell'umanità, è misurata dal grado di unità a cui lo sviluppo dell'umanità conduce, anzi, lo sviluppo dell'umanità trova nell'unità fra gli uomini il suo fondamento e il suo coronamento.
Ogni catechista deve pure riflettere sul fatto inconcusso che anche per l'unità fra tutti gli uomini come per la pace, nulla possiamo di veramente efficace e di risolutivo senza Gesù.
"Senza di me non potete fare nulla" ( Gv 15,5 ).
Infatti, solo Gesù, venuto in mezzo a noi Bambino, può - se lo accettiamo - disarmare e sconfiggere l'aggressività forsennata della nostra superbia, estinguere l'avidità del nostro egoismo, distruggere la crudeltà della nostra sensualità disordinata.
Solo Gesù, come risvegliando la nostra parte migliore, può fare di noi tanti uomini nuovi, uomini di Dio, capaci di vera comprensione, di rispetto vicendevole e di amore fraterno.
Solo Gesù può muoverci all'amore che conquista e converte il mondo, alla diuturna e generosa dedizione sino al sacrificio; Egli solo può infondere in noi la bontà, quella vera - la Sua - che è insieme tenera e forte, paziente e ardente, umile e magnanima.
Solo Gesù, al disopra di tutti i vani filantropismi, può affratellare gli uomini con il renderli tutti figli di un unico Padre, il Padre celeste.
Nella notte di Natale abbiamo dunque meglio compreso come Gesù, Principe della pace, sia venuto affinché tutti gli uomini siano uno in Lui, così come Egli è uno con il Padre e lo Spirito Santo.
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Che grande orizzonte per la nostra santificazione e per il nostro apostolato ci apre il "tema" dell'unità di tutti gli uomini in Cristo Gesù!
Ma sappiamo noi leggere il bisogno che l'umanità ha di Gesù al fine di rendere compiutamente "umana" la vita e tutte le sue manifestazioni sia individuali che collettive?
Sappiamo noi riconoscere nelle varie attività degli uomini il bisogno che, volenti o nolenti, abbiamo di Gesù, anche se tanti tra gli uomini negano Dio e il suo Cristo proprio nel tentativo di affermare la loro malintesa autonomia?
Siamo noi in grado di capire come l'affermazione del Signore "o con me, o contro di me" costituisca l'alternativa decisiva che si pone sempre all'uomo allorché egli decide il senso definitivo della sua esistenza?
Comprendiamo noi come questa alternativa si ponga al di là e al di sopra di tutte le classificazioni e di tutte le parti in cui gli uomini possono dividersi per la diversità o per il contrasto delle idee e degli interessi?
Abbiamo noi rilevato come l'essenza del vero rinnovamento umano si strutturi sempre come "conversione" e "rinascita", la conversione a Dio nella rinascita in Cristo Signore, e non essenzialmente in "rivoluzione" più o meno radicale o in "conservazione" più o meno illuminata?
E che anzi quel tanto di "rivoluzione" e di "conservazione" che l'uomo deve operare sono giustificate, comprese e salvaguardate dalla sua "conversione" e dalla sua "rinascita"?
Infine, abbiamo almeno un poco compreso perché l'ultima preghiera di Gesù sia stata per l'unità di tutti in Lui e non invece espressamente per qualche altro "valore"?
Perchè in ultimo Gesù ha pregato perché fossimo una cosa sola in Lui e non invece per la libertà, la giustizia, l'uguaglianza e così via?
Non vi pare che proprio nella prospettiva di questa unità prendano valore e significato compiuti tutti gli ideali umani e spirituali, e che solo nella prospettiva dell'unità tali ideali noi possiamo perseguire con pienezza e senza equivoci?
La libertà, per es., è autentica e perfetta se vissuta "in", "con" e "per" l'unità di tutti.
Ciò lo dovremmo affermare di ogni altro bene umano e soprannaturale.
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Circa l'unità sappiamo leggere in Cristo e coadiuvare con Lui l'aspirazione profonda all'unione fraterna e alla pace operosa, che è nel profondo delle realizzazioni e manifestazioni degli uomini del nostro tempo, anche se spesso esse appaiono più contrastanti che favorevoli alla pacifica convivenza e all'unione concorde?
Il lavoro industrializzato, per esempio, che sul piano storico ha creato nuove classi sociali come costituzionalmente avverse le une contro le altre, il lavoro industrializzato che spesso ha scatenato egoismi e sopraffazioni clamorose e che pur avendo aumentato a dismisura i beni a disposizione dell'umanità ha prodotto dolori nuovi e forme nuove di schiavitù, non aspira forse per intima vocazione, troppo spesso conculcata, ad affermare la più estesa e fraterna cooperazione?
Gli stessi mezzi di comunicazione sociale, oggi sempre più numerosi e diffusi, non esigono forse per loro natura di costituirsi, prima che come strumenti di semplice informazione e di propaganda, prima che come fonti di potere e di ricchezza, come arterie che nutrono e sviluppano la comunione tra gli uomini?
E lo straordinario incremento dei commerci, che pure è servito a costituire blocchi di popoli tra loro contrapposti, non dimostra pure la vocazione del mondo all'unità pacifica e concorde?
Il turismo, che per troppi uomini è occasione di dissipazione e di evasione dai compiti della vita, non esigerebbe forse di diventare un mezzo di conoscenza reciproca e di comunione fra le genti di regioni e di paesi diversi?
L'attività politica non si fa forse più che mai incerta e pericolosa se non si sviluppa avvalendosi e incrementando un dialogo sempre più esteso, un dialogo che giunga a comprendere tutti i popoli della terra?
Soltanto se sapremo cogliere, e nel profondo di noi stessi, le più o meno palesi e consapevoli esigenze di umanità autentica, di perfezione morale, di "essere" sempre più e sempre meglio che il mondo racchiude in se stesso, esigenze che non possono essere soddisfatte se non in Gesù, con Lui e per Lui, noi possederemo quella prima luce che ci è necessaria per attuare "nel mondo" e come "per mezzo del mondo" la nostra vocazione di catechisti di Gesù Crocifisso.
Ancora, solo se sapremo cogliere nel profondo delle attività e dei compiti umani la tendenza a costituirsi come fattori di umanità migliore, ossia più autentica e virtuosa, e se saremo convinti che senza Gesù tale tendenza rimarrà nel suo complesso frustrata, soltanto allora noi avremo luce sufficiente per illuminare il mondo.
Ma non basta.
Occorre altresì che sappiamo portare ovunque Gesù in noi per offrirgli, con ogni cosa, il nostro essere e il nostro operare affinché Egli stesso si faccia principio e termine della nostra vita e delle nostre azioni in modo che assuma tutto di noi e, mediante noi, tutto trasformi in Lui; soltanto allora diventeremo "sale" e "lievito" della terra.
Intanto, badiamo a che i problemi dell'umanità, come quelli dell'unità e della pace, non provochino come una spaccatura dentro di ciascuno di noi, così che una parte del nostro cuore, sempre più scarsa, rimanga con Cristo, e l'altra, sempre più grande, si allontani da Lui e a Lui si contrapponga.
Iddio ci ha voluti "catechisti di Gesù Crocifisso" nel mondo, perché la vita cristiana è "incarnazione", è come una sintesi di realtà soprannaturali e naturali: le prime calate a fermentare e a salvare - assumendole - le seconde.
Questa sintesi nel suo principio e nel suo fondamento è Gesù, vero Dio e vero uomo; questa sintesi è possibile soltanto a Gesù e in Gesù e perciò è possibile anche da parte di chi rimane in Lui e che "mediante" ogni cosa cresce sempre nell'unione con il Signore.
Cari amici, occorre che approfondiamo queste verità e con la luce che irradiano dobbiamo esaminare tutto di noi: lo spirito e le convinzioni, il comportamento e le azioni.
Verificheremo se ci muoviamo dai suddetti fondamenti verso il "mondo" in cui viviamo domandandoci, per es., quanto grandi siano la riconoscenza e l'entusiasmo che nutriamo circa la bella e luminosa vocazione di catechisti di Gesù Crocifisso nel mondo.
Presi dall'ardore di illuminare il mondo non scordiamo che il "nostro" mondo ha nel suo nucleo primordiale, coloro che il Signore affida specialmente alla nostra partecipazione alla Sua Passione redentrice, vale a dire: i congiunti, i confratelli, i Fratelli delle S.C., i compagni di studio e di lavoro, i piccoli e i giovani, la povera gente che ci vive accanto, coloro che appartengono agli ambienti in cui d'ordinario viviamo, mondo che, per cerchi sempre più ampi, arriva a comprendere la nostra città, il nostro Paese, l'umanità intera.
Il nostro impegno nel "mondo" esige che procediamo da chi ci è vicino a chi ci è lontano, dal presente al futuro, da ciò che tocca soprattutto a noi di fare a quello che faremo via via insieme con tutti gli altri.
Ci sia di monito il fatto che chi pecca contro il vicino in certo modo pecca già contro i lontani, che chi trascura il presente ha già incominciato a dissipare l'avvenire, che chi si sottrae al compito di oggi, anche se dall'apparenza irrilevante, predispone le sue infedeltà circa i compiti futuri.
Infine, perché le nostre intenzioni e le nostre azioni siano autenticamente "terrene", nel senso di "universali" è indispensabile che siano sempre riferite alla Totalità sussistente e trascendente che è Dio, principio e termine di qualsivoglia "mondo" o totalità ordinatamente e dinamicamente protesa, attraverso un certo superamento incessante di sé, verso una perfezione sempre maggiore.
I nostri intendimenti, le nostre azioni, la nostra vita siano sempre più "posti" in Cristo, Sacerdote e Re universale: allora soltanto ci faremo sempre più aperti e universalmente efficaci, allora soltanto saremo davvero fattori di un mondo migliore, di un mondo "più mondo", ossia sempre più ordinato e unito, mondo che con noi cresce incessantemente nell'attesa fiduciosa della città di Dio in cui sarà ricostituito e trasfigurato "nei cieli nuovi e nella terra nuova" dall'Agnello che è stato immolato, Re dei re e Signore di tutti i dominanti.
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Ritornando al tema dell'unità, mi preme oggi di rilevare che noi catechisti dobbiamo essere i testimoni e gli apostoli dell'universale vocazione di tutti gli uomini, all'unità e alla pace in Cristo Signore.
Noi che, proprio nella condizione di "secolari", siamo gli adoratori di Cristo Crocifisso, gli adoratori delle Piaghe di Colui che ha così proclamato il Suo Regno: "Quando sarò innalzato da terra, trarrò tutti a me".
Vogliamo noi davvero concorrere, come dobbiamo, a questa unità di pace di tutti gli uomini in Cristo Gesù, Figlio di Dio?
Allora è indispensabile che conosciamo più a fondo come si produce questa unità, fondamento di pace, occorre che noi ne conosciamo e ne rispettiamo le leggi.
La prima legge è quella dell'amore.
Senza amore non c'è unione, né pace.
Non un amore qualunque, ma l'amore stesso con cui Gesù ci ha amato.
Occorre perciò che gli uomini si amino nell'Amore, con l'Amore, per l'Amore.
Soltanto se ameremo con l'amore che Gesù ci ha portato, e faremo ogni cosa mossi da questo amore, saremo altrettante sorgenti di unione tra gli uomini.
La seconda legge è che l'unione di tutti gli uomini si consegue principalmente attraverso l'unione di quelli che Gesù ha chiamato per primi.
Non dimentichiamo mai che il dialogo con i lontani, che l'unione di tutti, dipende massimamente dall'unione tra quelli che per la parola di Gesù hanno creduto.
"Che siano tutti una cosa sola, come tu sei in me o Padre, e io in te, che siano anch'essi una cosa sola in noi: onde il mondo creda che tu mi hai mandato" ( Gv 17,21 ).
A questo proposito ricordiamo, cari amici, la meravigliosa definizione introduttiva della Costituzione dogmatica sulla Chiesa: "La Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano".
Ma l'unione fra tutti i credenti, ossia fra tutti i cristiani, dipende - terza legge - dall'unione di coloro che in seno al popolo di Dio sono chiamati a seguire più da vicino il Signore e a servire i fratelli con maggiore disponibilità di se stessi.
Vale a dire, il clero e quanti appartengono a uno stato di perfezione cristiana, e perciò anche noi.
Tocca dunque a noi catechisti di essere in modo speciale uniti al Papa, al proprio Vescovo, ai sacerdoti e alle persone consacrate.
Tocca anche a noi di adoperarci nel favorire al massimo l'unione tra coloro che Dio ha chiamato come operai per la sua messe.
La quarta legge, è che l'unione dev'essere coltivata specialmente fra di noi che apparteniamo a una stessa famiglia spirituale.
L'amore vero, quello autentico, si rivolge particolarmente verso coloro ai quali Iddio ci ha legato più strettamente, verso coloro che Egli ci ha dato quali intimi amici, quale quotidiana manifestazione di Se stesso, dei Suoi doni e della Sua volontà.
Inganna dunque se stesso chi di noi si reputasse segno e principio di unione per il mondo, per il fatto che, pur disprezzando i suoi confratelli, protestasse di amare i lontani.
Costui non solo ingannerebbe se stesso, ma mentirebbe poiché, in realtà, non avrebbe amore per alcuno.
"Chi dice di essere nella luce e odia il proprio fratello è tuttora nelle tenebre" ( 1 Gv 1,9 ).
Così pure si inganna e mente colui che proclama di amare la Chiesa mentre disprezza la famiglia spirituale a cui appartiene e della quale la stessa Chiesa lo ha reso partecipe.
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L'unione fra gli uomini poi, ha dei gradi che dobbiamo pure conoscere per migliorarci sempre.
Un primo grado è quello di coloro che "coesistono", cioè che si limitano a non danneggiarsi e a non intralciarsi a vicenda.
Un secondo grado è quello di coloro che "collaborano", ossia che insieme perseguono alcune cose buone, d'interesse comune.
Un terzo grado è quello di coloro che "si amano", vale a dire che cercano ciascuno il bene dell'altro come proprio e ne gioiscono e mediante una comunione di vita sempre più ampia e duratura tendono sempre più ad "essere uno".
Perciò, non dimentichiamolo mai, contribuiremo al bene della Chiesa e alla unità di tutti gli uomini secondo la misura del nostro amore vicendevole, secondo il grado di unione che avremo stabilito tra noi: noi che siamo chiamati a essere nel mondo "catechisti", vale a dire eco vivente di Gesù Cristo; noi ai quali il Signore ha raccomandato, anche per vie straordinarie, di essere uno spirito solo, un cuore solo.
"I figli della Pia Unione debbono essere un gruppo solo unito con Me, Gesù Crocifisso. Fossero pure in tutte le città del mondo, debbono formare uno spirito solo in Dio".
"Quelli della Pia Unione debbono essere un cuore solo con Gesù Crocifisso" ( Fr. Teodoreto s.c. "Il Segretario del Crocifisso" pag. 153 ).
La volontà del Signore è che il nostro Istituto brilli soprattutto per l'unione fraterna di tutti i suoi membri.
E quanto ha mai bisogno il mondo della luce che scaturisce dall'unità frutto dell'amore!
Comprenderete dunque, perché è stato richiesto al nostro Fondatore, al servo di Dio Fr. Teodoreto, di comporre una preghiera per impetrare la carità fraterna tra i membri dell'Unione, preghiera che i catechisti debbono recitare ogni giorno.
Ognuno esamini se stesso, non davanti a se solo, ma dinanzi a Dio.
Ognuno di noi si lasci conquistare dalla preghiera fatta dal Signore nella notte in cui "avendo amato i suoi, li amò sino alla fine" e datosi come cibo agli uomini, per essi accettò di versare tutto il Suo sangue.
"Che tutti siano una cosa sola come tu, Padre, sei in me ed io in te, che anch'essi siano una cosa sola in noi, così il mondo creda che tu mi hai mandato" ( Gv 17,21 ).
E come si produce questa unità fra noi che è il principio del servizio che dobbiamo rendere alla Chiesa e all'umanità?
Certo che questa unità, alla quale sempre ci richiama la stessa denominazione di "Unione" che contrassegna la nostra famiglia spirituale, non può essere il frutto di simpatia naturale o di spirito di corpo o di un certo solidarismo cameratesco.
L'unità per noi non può avere altro fondamento che Gesù Cristo e Gesù Cristo Crocifisso.
Lui solo ci ha chiamati, Lui ci ha riuniti per manifestarsi a noi come "l'Amabilissimo nostro Signore".
L'unità fra noi non può avere altro cemento che l'amore che Egli ci ha portato e per il quale Egli ci ha invitati a essere i Suoi intimi amici sulla croce, affinché concorressimo a salvare il mondo, a "ricapitolarlo" in Lui.
Questa nostra unione in Cristo Gesù si attua e si sviluppa nell'aiuto che ci daremo l'un l'altro per diventare sempre meglio quello che il Signore vuole che siamo, cioè "perfetti" e "misericordiosi" come il Padre nostro che è nei Cieli: altrettanti "alter Christus" nella condizione stessa di secolari.
Soltanto per questa via si farà di noi un solo spirito, un solo cuore: un solo spirito mosso dallo Spirito di Dio, un solo cuore vivificato dall'Amore.
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Questo nostro unirci in Gesù Crocifisso, più che per nostra iniziativa, si produce ricevendo insieme da Gesù di diventare una cosa sola.
Saremo uniti nella misura secondo cui lasceremo - attivamente e non passivamente - che Gesù ci raccolga nella nostra condizione di pecore sparse e senza pastore e ci riunisca in Se stesso.
Il Verbo incarnato non ha forse dato il potere di diventare figli di Dio proprio "a tutti coloro che lo ricevettero"? ( Gv 1,12 ).
Non da noi stessi ci salviamo, ma è Cristo che ci salva, chiamandoci a Sé e vivificandoci con il dono di Se stesso.
Quant'è grande la stoltezza di chi opera come se fosse egli stesso il salvatore di Cristo!
Eppure è così facile, sospinti dall'amor proprio, parlare ed agire in questo modo, presentando agli altri un nostro vangelo, quasi che la parola di Gesù non sia più capace di illuminare e di salvare il mondo.
Noi non abbiamo amato per primi il Signore, ma Egli per primo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, affinché fossimo uno in Lui.
Il "ricevere" Gesù con cuore aperto e fiducioso, pronti ad accondiscendergli, costituisce il principio della vita cristiana, del la fede, della speranza e della carità: costituisce il principio della santificazione del nome del Padre in noi, dell'avvento in noi e per mezzo di noi del Regno di Dio, della nostra corrispondenza al la volontà del Padre.
Se la nostra unione, così come la nostra pace, è Gesù, l'unione e la pace saranno in noi nella misura appunto con la quale insieme sapremo ricevere Gesù.
"Dove due o più saranno riuniti nel nome mio Io sarò in mezzo a loro" ( Mt 18,20 ).
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È a questo punto che dobbiamo ricordare un altro insegnamento del Signore: "Chi riceve colui che io avrò mandato, riceve me" ( Gv 13,20 ).
Gesù dunque, principio della nostra unione e della nostra pace, noi lo riceveremo effettivamente, ricevendo coloro che Egli ci manda affinché ci guidino a Lui.
Così dobbiamo ricevere i nostri Fondatori e coloro che, sia pure indegnamente, li rappresentano, e che pure rappresentano Colui che ci ha chiamati e vuole che siamo uno in Lui, per mezzo dell'Unione.
Come la vita della Chiesa verrebbe a mancare se gli uomini non ricevessero quelli che Gesù ha mandato come Suoi Vicari e Apostoli, così sarebbe dell'Unione, porzione eletta della Chiesa in Cristo, se i catechisti non ricevessero quelli che Cristo manda loro come suoi inviati e rappresentanti.
Non per nulla la fede, sia nell'Antica che nella Nuova Alleanza, è sempre come da concretarsi e comprovarsi con l'obbedienza.
Una obbedienza che è sempre un "ricevere" l'Emanuele, il Cristo che ci viene donato dalla volontà del Padre.
Questa volontà nelle varie circostanze ci è resa appunto manifesta da quelli che Dio ci manda come Suoi inviati e rappresentanti.
Perciò, in effetti, colui che non obbedisce dimostra di non credere con fede viva.
L'unione tra noi, dunque, non può compiersi che nell'obbedienza d'amore, che è l'obbedienza "di chi vuole obbedire", di chi ricerca coloro ai quali deve obbedire per ascoltare e accondiscendere con animo filiale alla volontà che gli viene espressa.
Obbedienza che, giova ripeterlo, è ricevere nella fede Cristo nostra pace, nostra unione, nostra gioia, nostra gloria.
Non ci sia tra noi, cari amici, chi si limita a "sopportare" i superiori e come a "subire" la loro volontà.
Cerchiamoli invece con intelligenza e devozione: è Gesù che ce li invia, è Gesù che per mezzo di essi a noi si manifesta e si comunica.
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Carissimi catechisti, sappiamo comprendere, dinanzi a Gesù Bambino, il Suo ammaestramento.
"Chi riceve colui che io avrò mandato riceve me, e chi riceve me riceve Lui che mi ha mandato" ( Gv 17,2 )
Sono certo che, fatti ancor più consapevoli circa il vincolo che deve come fonderci in un solo spirito e in un solo cuore, vorrete rinnovare e intensificare, specie attraverso i vostri Superiori locali, i rapporti con la Sede Generalizia di Torino.
Sono parimenti certo che vorrete sempre più stringervi intorno ai vostri Superiori di sede o di gruppo.
Nell'ordine voluto da Dio non esiste altro modo per far vivere e prosperare il nostro Istituto.
Tali rapporti debbono essere considerati come i canali maestri attraverso i quali può circolare la vera vita dell'Unione.
Essi sono uno strumento indispensabile e la migliore occasione per quella comunione che in Gesù farà di noi una cosa sola.
Il vostro Presidente Generale, da parte sua, vi cerca e vi segue ogni giorno davanti al Signore ed è pronto con il Consiglio Generalizio a darvi tutto ciò che gli è stato da Dio comandato.
Ma nel contempo egli aspetta da voi che lo cerchiate con mente sincera e cuore generoso, affinché egli possa darvi in modo più sostanzioso, e voi più efficacemente ricevere, quello che il Signore vuole trasmettervi tramite suo.
Per questa via potrete anche voi, secondo la grazia e il carisma che ciascuno ha ricevuto, portare ai vostri Superiori quel contributo che essi non solo sapranno utilizzare, ma che si attendono da voi e che da voi sollecitano per il bene di tutti.
In Cristo Crocifisso, vi saluta fraternamente il vostro aff.mo cat. Domenico Conti, Presidente Generale
Torino, 27 gennaio 1968, anniversario del transito di Fra Leopoldo M. Musso, o.f.m. Servo di Dio.
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