Gli Istituti secolari |
Il c. 717 è di grande importanza.
Il carisma di un istituto determina le sue strutture essenziali.
Strutture e spirito sono in effetti i due aspetti di un carisma collettivo di vita consacrata; ma il canone lascia agli statuti dell'istituto la cura di definirli.
Attentamente letto il § 1 significa che ciascun istituto può avere un suo modo proprio di governo: norma opportuna che lascia la massima libertà nel seguire le esigenze dello Spirito.
Inoltre - secondo punto importante - gli stessi statuti determinano la durata del mandato dei responsabili dell'istituto.
Infine, questi stessi statuti stabiliranno come designare i responsabili dell'istituto: per elezione, o per nomina, dopo consultazioni previe, o in ogni altra maniera giudicata più conveniente.
Una volta determinati i punti essenziali, nel codice principale dell'istituto ( statuti ), spetta al diritto proprio, nel codice accessorio, fissare più in particolare ciò che resta da rivedere e da adottare secondo la crescita dell'istituto, la sua estensione e l'esperienza dei membri.
Per salvaguardare l'unità d'un istituto i cui membri vivono dispersi, senza vita comunitaria, sembra normale che il governo di un istituto secolare sia centralizzato, affidato a un responsabile generale coadiuvato da un consiglio che egli possa convocare regolarmente e anche consultare, almeno in parte, in caso di urgenza.
Il responsabile generale sarà più spesso eletto con un mandato di preferenza abbastanza lungo, che gli permetterà di conoscere meglio le persone e di raggiungere una buona esperienza della vita consacrata secolare.
Essendo il suo mandato più lungo, l'assemblea elettiva non si riunirà troppo spesso; e ciò è un bene per l'istituto.
Dato il carattere proprio di un apostolato di presenza, e dunque di una presenza personale di cui ciascun membro resta il primo responsabile, si può dire che è normale che tali assemblee siano anch'esse distanziate, e che il mandato del responsabile generale sia di durata prolungata: dieci o dodici anni, per esempio.
Il consiglio del responsabile generale avrà un mandato della stessa durata.
L'esperienza dimostra che un consiglio ha bisogno anch'esso di una durata abbastanza protratta, per poter dare una collaborazione efficace.
Un rinnovamento del consiglio nel corso di uno stesso mandato del responsabile generale è necessariamente una rottura; esso può impedire l'unità di azione, soprattutto spirituale, valida e auspicata.
L'unità dell'istituto dipende prima di tutto dalla sua coesione spirituale.
L'elezione del responsabile generale dipenderà dall'assemblea incaricata della sua designazione.
Tali assemblee sono talvolta difficili da riunire, dati gli obblighi professionali dei membri dell'istituto.
Si può così prevedere una consultazione di tutti i membri, per affidare a un'assemblea più ristretta l'elezione del responsabile generale.
La consultazione dipenderà dall'estensione dell'istituto, dal numero dei suoi membri e dai contatti che essi hanno tra loro.
Un istituto poco numeroso ma molto esteso farà più difficilmente tale consultazione, il cui valore sarebbe diminuito per mancanza di conoscenza delle persone.
Una assemblea che riunisca i responsabili locali - e provinciali, se l'istituto ha simili suddivisioni - potrebbe essere più indicata per ottenere una elezione di migliore qualità.
Si è pure conosciuto un istituto nel quale la designazione del responsabile generale era affidata a un gruppo di " elettori ", designato dal responsabile generale con parere del suo consiglio; titolo e funzione, per sé erano a vita.
Questa soluzione può garantire una migliore elezione, ma può anche formare nell'istituto un gruppo dominante, poco aperto ai problemi nuovi che si pongono.
Un altro modo di procedere consisterebbe nel nominare per consultazione un gruppo di elettori per ogni elezione: gruppo poco numeroso, che in una sola riunione, anche abbastanza breve, possa preparare la sua scelta ed eleggere il responsabile generale e il suo consiglio, tenendo meglio conto della situazione dell'istituto.
È prudente che gli statuti permettano rielezioni successive del responsabile generale; ciò che per esperienza ha dato a certi istituti una maggiore forza spirituale e una più grande coesione.
Fu questo il caso di alcuni fondatori, sempre rieletti come responsabili generali del loro istituto.
Il § 2 determina una norma generale, che non può essere contraddetta: è inammissibile assumere la direzione di un istituto di cui non si fosse definitivamente membro.
Tuttavia, data la lunghezza della probazione e la durata prolungata degli impegni temporanei, si potrebbe concepire che la scelta degli elettori favorisca un candidato non ancora incorporato definitivamente.
Si potrebbe considerarlo eletto, se lo designasse una maggioranza qualificata, e fosse raggiunta un'età minima determinata dagli statuti.
Questo eviterebbe ogni " postulazione ", in cui, per mancanza di conoscenza delle persone, una autorizzazione da parte dell'autorità competente resterebbe puramente giuridica e aleatoria.
Il § 3 è stato modificato nella sua redazione.
La scomparsa del termine " carisma " ha diminuito fortemente la portata del paragrafo in questione.
Ai responsabili dell'istituto si chiedeva di vigilare perché tosse conservata l'unità del carisma, e fosse promossa una partecipazione attiva di tutti i membri.
L'unità del carisma come valore da proteggere e da promuovere, aveva una portata assai più grande dell'unirà di spirito di cui parla il testo promulgato.
Si può conservare uno stesso spirito anche cambiando certe ottiche in rapporto alla presenza al mondo.
Gli istituti stessi rettificheranno il senso del testo conservando la portata che aveva voluto assicurare l'uso del termine " carisma ".
In ogni caso, questo paragrafo mette in luce il valore che i responsabili devono conservare: l'unità del carisma.
Come in ogni vita consacrata, il pericolo consiste nel deviare dalla finalità primaria, assumendo opzioni diverse, spesso per supplenza.
Si fa appello alla generosità dell'istituto, alla carità dei suoi membri, ai bisogni nuovi della Chiesa.
Questo punto toccherà quasi esclusivamente gli istituti secolari laicali.
Era utile, anzi necessario esigere nella legge una fedeltà a tutta prova al carisma e allo spirito che lo esprime.
Certi istituti hanno già messo cosi la loro secolarità alla prova, ammettendo invii in missione, dove la semplice presenza è difficile, ma si esige una collaborazione organizzata come necessaria a un lavoro educativo, culturale o di semplice assistenza al terzo mondo.
Quanto alla partecipazione attiva dei membri, essa non concerne soltanto il governo dell'istituto, come potrebbe far credere una prima lettura.
Ci si può chiedere tuttavia che cosa aggiunge questo paragrafo a ciò che prevedeva già il c. 716 § 2: « I membri di uno stesso istituto conservino la comunione tra loro curando con sollecitudine l'unità dello spirito e la vera fraternità ».
Anche qui il testo del progetto è stato modificato; esso si esprimeva così: « I membri dell'istituto custodiranno la comunione tra loro, vigilando con cura all'unità dello spirito, alla partecipazione al medesimo carisma e a una vera fraternità ».
L'unità dello spirito è l'unità delle menti e dei cuori, la partecipazione al medesimo carisma è il rispetto del carattere proprio dell'istituto, la salvaguardia della sua secolarità, l'approfondimento del dono proprio che l'istituto ha ricevuto dal Signore per il bene della Chiesa, la fedeltà al carisma per il fatto che una stessa vocazione divina fa partecipare ciascun membro al medesimo dono; tutto questo è possibile soltanto in una vera fraternità, fraternità autentica se vissuta nella fedeltà al carisma, se sostenuta dai contatti regolari tra i membri, contatti che non sono quelli della coabitazione, ma che possono essere frequenti, in ogni forma di comunicazione: lettera, telefono, prestito di libri, bollettini di informazione, testi di formazione, ecc …
Occorre che i membri trovino tra loro i mezzi più adatti e più discreti per aiutarsi a vicenda nella fedeltà al carisma dell'istituto.
Per promuovere questa fraternità secolare, è utile che i membri siano informati dell'onomastico di ciascuno, della sua situazione personale e che un bollettino dia regolarmente le notizie utili sulla vita dell'istituto: riunioni del consiglio del responsabile generale, giornate di raccoglimento, ritiri annuali, scelta di libri e di articoli, testi spirituali che illuminano la vita consacrata secolare, partendo da alcune esperienze personali.
Più importante ancora è l'azione da promuovere in vista di una migliore formazione dottrinale.
Già durante il periodo della prova " iniziale " è quello che necessariamente lo precede, bollettini di formazione, secondo un piano didattico ben concepito, sono di una importanza capitale; sarà utile che bollettini di formazione o testi dottrinali siano previsti e anche redatti dai responsabili e inviati regolarmente a tutti i membri.
Una partecipazione attiva consisterà nel porre domande suscitate da queste esposizioni, nel proporle al lettore, nel rispondervi allo scopo di modificare e migliorare i testi di certe esposizioni secondo le risposte ricevute.
Una partecipazione è tanto più attiva quanto più prende atto dell'attuazione concreta che comporta la vita consacrata secolare, e chiarisce ciò che vi è di più delicato, l'unità di spirito dell'istituto e l'impregnazione possibile che esso suppone in una professione civile, in un ambiente sociale, in una azione politica.
Alcuni istituti del resto si sono " specializzati " e reclutano di preferenza, o anche esclusivamente, in un ambiente determinato: malati e infermieri, medici, insegnanti, uomini d'affari.
Un istituto laicale è tuttavia tanto più secolare quanto più si apre a tutte le situazioni di vita nel mondo.
Gli istituti secolari di chierici, sacerdoti o diaconi diocesani, non hanno da fare una simile scelta; essi sono aperti al clero, e approfondiscono, come abbiamo visto, sia la secolarità del chierico, sia la sua risposta personale alla vocazione, la fedeltà alla sua funzione ministeriale nella Chiesa e nel mondo.
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