Gli Istituti secolari |
Tre motivi hanno richiamato nel c. 716 l'importanza della vita fraterna come comunione.
Il più plausibile è la mancanza di " vita comune " in questi istituti; i membri si incontrano di rado, per giornate di raccoglimento, convegni o ritiri, che normalmente non sono mai protratti, viste le esigenze del lavoro professionale, della vita familiare, e le distanze che separano i membri da un medesimo centro di riunione.
Di più, il riserbo da osservare, anche nelle case in cui ci si riunisce, non permette talvolta di far conoscere i nomi delle persone presenti.
Questo riserbo è del resto richiesto molte volte dalla situazione che occupano alcuni membri nella vita pubblica.
Un secondo motivo consiste nel mettere in rilievo il senso stesso della vita fraterna come comunione dei partecipanti ad uno stesso carisma.
Se sono riuniti in un medesimo istituto, lo devono prima di tutto al dono del Signore che ha fatto sorgere il carisma dell'istituto e vi ha fatto partecipare per grazia tutti quelli che egli sceglie nella chiamata di una vocazione divina il cui valore e la cui forza sono i fondamenti dell'istituto, della sua vita come della sua presenza al mondo.
Senza sostegno fraterno non vi sarebbe né unità, né vita fraterna; questa è del resto vissuta come bisogno reale in una vita secolare, che conosce una vera solitudine e impone nella vita personale un silenzio talvolta arduo da osservare.
Non ci si può sorprendere che molti membri di istituto secolare abbiano trovato sostegno e forza negli scritti spirituali di monaci certosini.
Un terzo motivo consiste nel far risaltare il carattere di " consiglio " che assume la vita fraterna.
Di fatto, se vi è un precetto del Signore sull'amore di Dio e del prossimo, è certo che il vangelo insiste sul dono di sé agli altri, sull'amore reciproco che conoscerà intensità diverse tra i cristiani, ma che il carisma proprio suscita come una vita fraterna che supera il semplice precetto, invitando a un dono agli altri più totale e più generoso.
Se questa vita fraterna è vissuta nell'istituto, non può essere un ripiegamento sui suoi membri, una riduzione della carità; sarà piuttosto una scuola di carità che estende la sua irradiazione e la sua azione all'ambiente di vita familiare, sociale, professionale ed ecclesiale.
Questi motivi sono importanti.
Ma v'è di più: la comunione fraterna è un segno di ecclesialità; la Chiesa è comunione di fede, di speranza e di carità, ma anche società organizzata, gerarchicamente ordinata.
Un istituto prende dunque la forma di chiesa in piccolo; come la famiglia cristiana è " chiesa domestica ", l'istituto sarà " chiesa fraterna " che conoscerà una forma di comunione tra i suoi membri, comunione che prende esempio ed ha fondamento nella comunione trinitaria, dalla quale tutta la Chiesa trae la sua unità come popolo radunato per volontà divina, secondo le intenzioni del Padre, attuate nel suo Figlio con la forza del loro Spirito.
Gli elementi maggiori di questa comunione fraterna saranno la preghiera comune, anche se praticata in solitudine, la carità, il servizio vicendevole e il reciproco aiuto spontaneo - anche se resta spesso occasionale -, l'unità in uno stesso spirito manifestata in ogni riunione, la fedeltà all'istituto, alla sua finalità propria, alla sua tradizione.
È certo che una simile comunione, che prima di tutto è grazia divina, può essere più forte in un istituto secolare di quanto lo sia nella vita comunitaria, dove gli scontri sono più facili e frequenti, e dove l'abitudinarietà della vita può far dimenticare il senso profondo della comunione.
Sarà necessario, d'altra parte, che l'unità dell'istituto sia favorita da preghiere per l'istituto; preghiere comuni, necessariamente brevi, ma che uniscono in Dio quelli che una vocazione specifica disperde necessariamente.
Sono questi i diversi punti che il c. 716 ha voluto mettere in evidenza.
Ci si può chiedere se la norma generale del c. 602 non sarebbe bastata; si può rispondere affermativamente per l'essenziale, negativamente per certi aspetti che bisogna rilevare qui.
Il c. 602 riunisce parecchi elementi fondamentali della comunione fraterna in un istituto.
Questa assume in ciascun istituto una fisionomia propria; essa raccoglie i suoi membri come in una famiglia riunita in Gesù Cristo e suppone un aiuto vicendevole che sorreggerà ogni membro nel vivere la propria vocazione.
Norma generale, essa mette in forte rilievo il carattere particolare che deve prendere la vita fraterna in ogni istituto, e chiarisce come essa deve aprirsi alle virtualità proprie di ciascuno di essi.
L'ultima frase dello stesso c. 602 non si applica agli istituti secolari: « i membri poi, con la comunione fraterna radicata e fondata nella carità, siano esempio della riconciliazione universale in Cristo ».
Una simile testimonianza è propria degli istituti religiosi, la cui vita comunitaria costituisce un esempio di riconciliazione universale in Cristo.
Così quest'ultima frase specifica il c. 607 § 2 dove, tra gli elementi essenziali della vita degli istituti religiosi, è messa in rilievo la vita fraterna vissuta in comune.
Tuttavia la presenza dei membri può avere, a un altro livello, una forza di testimonianza, se favorisce una maggiore carità nel mondo e incita così non solo i cristiani, ma tutti gli uomini a vivere la riconciliazione universale, possibile solo in Cristo e per mezzo di lui.
La riconciliazione così vissuta fa parte della consacrazione del mondo, di cui il Concilio ha chiarito l'importanza.
Riprendiamo ora i termini del c. 716.
Tutti i membri devono partecipare attivamente alla vita dell'istituto.
Nel c. 717 § 3 si chiarisce del resto l'importanza di questa partecipazione attiva di cui i responsabili devono avere grande cura.
Tale partecipazione sarà determinata dal diritto proprio: per i consigli evangelici, il c. 712 esige che ciò si faccia nelle costituzionÌ; sarebbe forse meno importante definire la partecipazione alla vita dell'istituto?
Noi non lo crediamo.
Il diritto proprio non può essere inteso qui come diritto accessorio, distinguendolo dalle costituzioni o statuti; esso comprende tutte le norme di vita dell'istituto, quelle degli statuti come quelle dei codici o testi accessori o complementari ( c. 587 ).
Del resto, se l'essenziale è da esprimere nel codice fondamentale, è impossibile che questo non sia specificato da applicazioni negli altri testi, che si possono sottomettere più facilmente a revisioni o adattamenti regolari.
La partecipazione attiva dei membri sarà soprattutto favorita, come si vedrà, dall'impulso che devono darle i responsabili dell'istituto, come stabilisce il c. 717 § 3.
I membri, per parte loro, conserveranno la comunione fraterna tra di loro vigilando sull'unità di spirito e su una autentica fraternità.
Il testo del c. 716 § 2 è stato purtroppo modificato, come il suo corrispondente, il c. 717 § 3.
Nel c. 716 § 2 era detto che i membri conserveranno la comunione fraterna curando con sollecitudine l'unità di spirito, la partecipazione al medesimo carisma e la vera fraternità.
Questa " partecipazione al medesimo carisma " è stata soppressa.
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