Evidenza di un amore

Una misteriosa fotografia di sangue

20 - La Sindone è un tessuto di lino lungo 4 metri e 36 centimetri, largo 1 metro e 10 centimetri, piuttosto irregolare nel filato e nella tessitura, opaco e compatto, molto simile a quelli trovati in antiche sepolture egizie, a Pompei e in Siria.

Il termine Sindone si trova già nei Vangeli, significa semplicemente stoffa d'India, cioè tessuta al modo indiano.

Anche oggi si chiamano dal luogo di provenienza tessuti come cashemirè, jersey, calicoat, tulle.

Questa stoffa d'India poteva servire agli usi più diversi: vestiti, bende per fasciare, tela per avvolgere e per usi domestici, vele per imbarcazioni e teli funerari.

Il Vangèlo di Marco ad esempio ricorda che nel Getzemani c'era un giovinetto vestito soltanto d'un lenzuolo: in greco e in latino si dice sindone: lo fermarono, ma egli, lasciato il lenzuolo, o sindone, fuggì via nudo.

La tessitura della Sindone è detta di saia o sargia di quattro, cioè con tre fili di trama sotto e uno sopra, che formano le caratteristiche diagonali dette a spina di pesce oppure a spiga.

Nel museo Egizio di Torino c'è una stoffa analoga, di purissimo lino, lunga ben 7 metri, appartenuta alla XII Dinastia tra il 1966 e il 1784 a.C.

Al tempo di Gesù il centro di maggior produzione di questa stoffa era Palmira, presso Damasco, in Siria, regione collegata con Gerusalemme da una strada carovaniera e da fitti rapporti commerciali.

Tracce di cotone, scoperte recentemente tra le fibre del lino, fanno pensare che la stoffa sia stata tessuta su un telaio usato per il cotone; questo, come si sa, era coltivato in tutto l'Oriente Romano, ma non in Europa, dove fu portato dagli Arabi nel Medio Evo.

Anche la tessitura di sargia esclude che la Sindone sia di origine europea perché tale tecnica fu introdotta nell'Europa Occidentale soltanto verso la fine del secolo XIV.

La Sindone, così come appare oggi, reca purtroppo evidenti i segni del tempo, di innumerevoli peripezie, passaggi di mano in mano, pii spostamenti e trafugamenti sacrileghi, ostensioni frequenti in condizioni precarie e senza troppe cautele, incendi e bagni in acqua.

Vi si notano pieghe indurite dal plurisecolare invariato modo di riporla, graffi, polvere e usura del tessuto, macchie accidentali, tracce di inchiostro dovute forse all'imperizia di qualche notaio curiale, tracce di fumo, ditate e persino un bel colaticcio di cera eredità di un chierichetto sbadato di chissà quale secolo.

Pare manchino alcuni pezzi agli estremi e sui bordi, forse asportati da incoscienti devoti per farne reliquie.

Una banda di circa 8 cm. sul lato sinistro è stata ripiegata e ricucita probabilmente per infilarvi un'asta durante l'ostensione in pubblico.

21 - La prova del fuoco

La prima cosa che si vede nella Sindone è una doppia linea scura che la segna per tutta la lunghezza allargandosi in otto grandi macchie simmetriche con otto coppie di piccoli triangoli più chiari.

Si tratta delle bruciature prodotte da un incendio sviluppatesi nella notte del 5 dicembre 1532 nella Cappella di Chambery, in Savoia, dove la Sindone era conservata in un cofano d'argento ripiegata in 48 strati.

La preziosa reliquia fu salvata dall'intervento coraggioso di un consigliere del Duca di Savoia e da due francescani quando già l'argento dell'urna cominciava a fondere per il calore.

Il metallo fuso colò sulla tela ripiegata, producendo i quattro fori simmetrici visibili a metà del drappo, mentre il calore dell'incendio carbonizzò la tela lungo la linea delle piegature longitudinali, squarciandola e distruggendola dove ora appaiono le grandi macchie scure.

Fortunatamente la figura centrale dell'Uomo della Sindone fu rispettata dal fuoco, eccetto all'altezza degli omeri e in corrispondenza della ferita al costato.

L'acqua usata per domare le fiamme inzuppò il lenzuolo, formando 21 aloni simmetrici a forma di losanga intera nei punti alterni della piega centrale: sono molto visibili quelli sulle ginocchia, sul petto e sopra il capo nella figura frontale e a forma di losanga dimezzata, aperta verso l'esterno, lungo i bordi.

Queste macchie romboidali corrispondono alle parti non raggiunte dall'acqua dello spegnimento e raccolgono, nella loro geometrica fioritura, residui di polvere, pollini microscopici, impurità del tessuto, fibre carbonizzate dal fuoco recente e persino tracce infinitesimali dei minerali del sangue asportato dalle macchie vicine.

Per questo sono visibili nelle lastre a raggi X eseguite durante i recenti esami di laboratorio.

IL tessuto così seriamente danneggiato venne rappezzato dalle Clarisse di Chambery nel 1564 con 6 doppi triangolini di rinforzo, ricavati, per devozione, da lino bianco di corporali da altare.

Altri rappezzi vennero applicati sul rovescio, con doppi rammendi e successivamente vennero applicate analoghe rappezzature con toppe sovrapposte di diversa tonalità.

Nel 1694 il Beato Sebastiano Valfrè, devotissimo della Sindone, ricucì con filo nero, in modo piuttosto maldestro, alcuni rappezzi, specialmente nella zona della ferita al costato.

In occasione dell'estensione del 1868 la Principessa Clotilde, figlia di Vittorio Emanuele II, ripassò le cuciture esterne, applicando sotto l'intera Sindone una nuova stoffa di rinforzo, per meglio garantirne la conservazione.

Soltanto nel 1978, dopo l'ultima estensione pubblica, gli scienziati poterono osservare la faccia nascosta della Sindone, scucendo in parte quella fodera e introducendo particolari strumenti di osservazione.

Sul retro della Sindone non c'è traccia della figura, ma soltanto alcune macchie di sangue che hanno impregnato la stoffa.

L'incendio di Chambery non fu l'unico nella tormentata storia della Sindone.

Già nel 1394 essa era stata seriamente danneggiata da un incendio della Cattedrale di Besancon provocato da un fulmine.

Ne resta traccia nei fori simmetrici che si vedono ancora all'altezza delle mani e delle coscie dell'Uomo della Sindone e che il Durer, in una copia del 1516, aveva riprodotto come macchie di sangue, ingannato forse dalla stoffa rossa applicata come rappezzo sul rovescio.

Anche recentemente un incosciente piromane, calandosi acrobaticamente dalla cupola del Guarini il 1° e il 21 ottobre 1972, tentò inutilmente di incendiare la Sindone, oggi fortunatamente ben protetta da un rivestimento di amianto.

Queste ripetute prove del fuoco, pur così pericolose, si dimostrarono provvidenziali come esami di laboratorio che nessuno avrebbe mai osato tentare.

La reazione del tessuto e dell'impronta al fuoco e all'acqua ha dimostrato infatti in modo inequivocabile che non può trattarsi di un dipinto e che non c'è traccia di pigmenti organici, polvere colorante o vernice, cose tutte che alle altissime temperature che hanno ripetutamente carbonizzato la tela avrebbero subito trasformazioni evidenti.

22 - Un'impressionante fotografia di sangue

Superate finalmente tutte queste macchie di disturbo nella parte mediana della Sindone, si vede la doppia impronta d'un uomo composto nella solennità della morte, colle braccia incrociate e le mani sovrapposte.

Le due immagini, anteriore e posteriore, sono capovolte l'una rispetto all'altra.

Il bellissimo disegno del corpo, anatomicamente perfetto, si presenta sfumato, evanescente, e si vede bene soltanto da una certa distanza.

La tinta dell'immagine è tra il giallo, il carminio e il sepia.

Ma nella misteriosa incongruenza del negativo presenta invertiti i valori di chiaroscuro, come avviene nel moderni processi fotografici.

All'opposto di come vediamo normalmente, le parti chiare sono in ombra e le ombre sono chiare.

Su tutto il corpo dell'Uomo della Sindone risultano numerose tracce di sangue di color bruno-carminio: sono macchie di due tipi, di colore uniforme e con contorni netti le tracce di sangue vivo, più irregolari e con alone chiaro quelle di siero ematico defluito dopo la morte.

Le tracce di sangue sono positive, cioè appaiono scure come nella realtà, non in negativo come la figura del corpo.

Più evidenti appaiono le piaghe maggiori ai polsi, ai piedi, al costato e le colature più copiose, come quelle sulla nuca, sulla fronte, sul volto e sugli avambracci.

Un po' più sfumate appaiono le altre ferite dovute a colpi di flagello, a cadute, a percosse, che segnano tutto il corpo.

Il prof. Luigi Baima Bollone, Ordinario di Medicina Legale nell'Università di Torino e direttore del Centro Internazionale di Sindono logia, ha dimostrato che il sangue sindonico è vero sangue umano, in composizione con aloè e mirra e recentemente ha rilevato il gruppo sanguigno dell'Uomo della Sindone, così chiarisce l'importante scoperta: "Da sempre la tradizione popolare ha ritenuto di vedere nelle macchie della Sindone delle tracce di sangue.

È stato il Barbet, nel 1939, che ha dimostrato che quelle macchie corrispondono, nei loro contorni, a macchie sperimentali di sangue.

In altre parole, che il liquido che ha lasciato le macchie sulla Sindone aveva lo stesso comportamento fisico del sangue.

Sono stati fatti diversi tentativi negli anni successivi per accertare la presenza di sangue con degli esami di laboratorio.

Ricordo qui le prove eseguite da Frachet, Mari Rizzatti e Marit nel 1969, che però hanno avuto un esito negativo.

Successivamente, all'atto degli esami dell'ottobre del 1978, è stato concesso ad alcuni ricercatori di applicare dei nastri autoadesivi sulla superficie della Sindone.

A me, che avevo avuto l'idea di richiederlo, venne concesso di distaccare alcuni fili.

Sono stati portati avanti gli esami, sia sui nastri, sia sui fili.

Debbo dire che la quantità di questi ultimi era molto modesta; si trattava di dodici campioni di trama e di ordito della lunghezza media di due millimetri.

Le indagini sono andate avanti, sui nastri sull'altra sponda dell'Atlantico e invece sui fili in Europa, e precisamente in Italia.

Nel 1980 Heller e Adler hanno riferito di avere ottenuto la trasformazione di un eme in una porfirina su di un prelievo eseguito alla superficie della Sindone con nastro autoadesivo.

Contemporaneamente le prove ematologiche da me eseguite sui fili mi consentivano di dimostrare che su di questi vi erano delle tracce di sangue, e questo con i metodi della ematologia forense.

In una tappa successiva riuscivo a dimostrare in collaborazione con le professoresse lorio e Massaro dell'Avis di Torino, che si trattava di sangue umano.

Intanto dall'America veniva la conferma che le tracce erano effettivamente di sangue.

Finalmente, sempre con la collaborazione delle professoresse lorio e Massaro, sono riuscito a dimostrare il gruppo di sangue rispetto al Bistema ABO.

Si tratta di sangue di gruppo AB.

Un piccolo campione dato in esame a Samuel Adler, microchimico della Western Connecticut University, rivelò tracce di sangue.

Il ricercatore pensava di trovarsi davanti a un normale problema di medicina legale e soltanto quando dichiarò che esso conteneva inequivocabilmente sangue un collega gli rivelò che si trattava della Sindone di Torino.

Adler, ebreo di nascita e credente piuttosto tiepido, si lasciò sfuggire un significativo: "Mio Dio!" e dichiarò: "È altrettanto certo che ci sia sangue nella Sindone come nelle vostre vene".

Nel 1978, scucendo in parte la stoffa di rinforzo ed esaminando la faccia nascosta della Sindone, che nessuno aveva osservato negli ultimi secoli, si è notato che alcune macchie di sangue con colatura più copiosa hanno impregnato i fili della trama e sono visibili anche nel retro della stoffa.

Il fenomeno è particolarmente evidente in corrispondenza delle trafitture al costato, anche se la bruciatura e i diversi successivi rattoppi non hanno consentito di staccare completamente la fodera in quel punto.

Visibile sul retro della Sindone è anche il curioso coagulo a forma di epsilon greco o di 3 rovesciato che documenta drammaticamente sulla fronte dell'Uomo della Sindone gli spasimi dell'agonia.

23 - Un'immagine inspiegabile che sfida la scienza

Come si sono formate le impronte della Sindone rimane un mistero.

La scienza non sa dircelo, nonostante i decenni di studio e infinite prove di laboratorio.

La prima ipotesi proposta dai ricercatori fin dall'inizio del secolo fu quella detta vaporigrafica.

L'impronta si sarebbe formata sulla tela per effetto di vapori.

In un luogo fresco e umido l'urea del sudore potrebbe trasformarsi in ammoniaca e ossidare la soluzione di mirra e di aloe presente sulla tela, scurendola.

Così spiegava il primo grande studioso della Sindone, Paul Vignon, e le prove di laboratorio confermarono in parte l'ipotesi, anche se le immagini ottenute con questi vapori erano di penosa imprecisione, ben diverse da quella dettagliatissima e precisa della Sindone.

Secondo un'altra ipotesi l'immagine sindonica potrebbe essersi formata per contatto.

Prove di laboratorio hanno dimostrato che un corpo insanguinato e inumidito da sudorazione abbondante può lasciare una traccia sulla tela in cui è avvolto, reagendo con la mirra e l'aloe in un contatto di circa 35 ore.

Passate le 40 ore infatti la traccia si confonde e diventa una semplice macchia di sporco.

Quest'ipotesi corrisponderebbe cronologicamente con la sepoltura di Gesù, avvenuta secondo i Vangeli al tramonto del venerdì e cessata con la Risurrezione all'alba della domenica.

Ma le impronte di laboratorio, pur tentate con ogni riguardo, hanno evidenti deformazioni prospettiche, quando si distende la stoffa prima adagiata a contatto con le rotondità del corpo, inoltre tali impronte non hanno caratteristiche tridimensionali che mostra la Sindone.

Anche le macchie di sangue nei tentativi per contatto si deformano e si rovinano quando la stoffa si stacca dal corpo, mentre nella Sindone sono nitidissime e rifinite.

Per questo la Commissione di Studi nominata nel 1969 dichiarava che si deve scartare l'ipotesi che la figura sia stata prodotta per contatto, ma si deve supporre la concomitanza di qualche altro effetto.

Un altro particolare fa dubitare gli scienziati circa l'ipotesi vaporigrafica e del contatto: i capelli e la barba dell'Uomo della Sindone sono fluenti e soffici e ciò farebbe pensare che l'aloe e la mirra non siano stati usati in mistura oleosa, ma allo stato secco, come polvere antisettica, balsamica e deodorante, sparsa abbondantemente intorno alla salma e forse per tutta la tomba, come appare in alcune sepolture ebree riportate alla luce negli scavi di Villa Torlonia a Roma.

24 - Un'ipotesi affascinante: esplosione di energia o lenta ossidazione?

Sul fatto che le bruciature del 1532 hanno un colore analogo alla impronta del corpo e che questa non si è modificata neppure nelle immediate vicinanze del fili carbonizzati dal fuoco, si fonda l'ipotesi più moderna e fascinosa: la Sindone potrebbe essersi impressa per radiazione.

"Le macchie non stanno assolutamente come in rilievo sul tessuto, ma sono segnate a fuoco dentro di esso" scrive David Wellis.

La Sindone, secondo questa ipotesi, potrebbe essere nata da una esplosione di energia, perché, come spiegano gli scienziati, se scompare una porzione di materia, si trasforma in energia.

"La Sindone, scrive lo studioso spagnolo José Luìs Carreno, rivela il passaggio di uno scoppio di energia, il tessuto rimase come abbruciato e l'intensità dell'impronta è inversamente proporzionale alla distanza del telo dal corpo."

Per i credenti una simile ipotesi potrebbe rimandare al mistero della Risurrezione, ma secondo Baima Bollone la struttura delle impronte cadaveriche è ben diversa dalle parti bruciate, per cui non sembra accettabile l'ipotesi d'una loro genesi ad opera di una fonte di energia.

Recentemente è stata avanzata un'altra ipotesi secondo la quale l'immagine della Sindone potrebbe essersi formata per scolorimento della stoffa.

La cellulosa del lino avrebbe subito una trasformazione chimica nei punti di contatto con il corpo reagendo al sudore, all'aloe e alla mirra, che agirono come catalizzatori per la luce e il calore, producendo un'ossidazione, cioè una scolorazione della cellulosa stessa.

Esami di laboratorio in questo senso hanno richiesto un trattamento di invecchiamento chimico della stoffa, da cui deriva l'ulteriore ipotesi di una immagine rimasta latente per un certo periodo, finché luce e calore la svilupparono completamente col passare del tempo.

Che sia questa la ragione per cui nei primi tempi del Cristianesimo non si parla d'una Sindone coll'immagine di Gesù?

25 - Non è un dipinto, ma uno straordinario documento tridimensionale

Le analisi microchimiche e l'uso di ben diciotto solventi diversi non hanno rivelato traccia né di pittura, né di pigmenti, né di vernici, né di olii e non può trattarsi di dipinto, come dimostrano anche le foto tridimensionali.

L'immagine sindonica, diversamente dalle macchie di sangue, non è formata da nessun materiale colorante d'apporto, ma è provocata da un viraggio di colore, che segna le fibre del lino in modo superficiale, senza impregnarle, e senza alcun fenomeno di capillarità.

L'immagine consiste semplicemente in una tenue ossidazione monocroma della cellulosa del lino, come dicono gli esperti, cioè in un cambiamento di colore delle fibre in superficie, dovuto a un'alterazione chimica della cellulosa che per ora non si sa spiegare.

In altre parole, la cellulosa della stoffa avrebbe subito una misteriosa trasformazione chimica che neppure la scienza moderna sa imitare.

Elaborazioni recenti hanno dimostrato che l'immagine sindonica è tridimensionale, cioè ha una costante corrispondenza tra luminosità dell'immagine e rilievo del corpo: quanto più il corpo era vicino alla tela, tanto più l'immagine appare scura.

Questa caratteristica, rivelata la prima volta dai laboratori di Los Alamos in America, non si riscontra nelle normali fotografie, né nei dipinti, esclude assolutamente possa trattarsi di un falso e rende assai dubbia l'ipotesi di una impronta per contatto.

In quest'ultimo caso infatti tutti i punti a contatto con la tela dovrebbero avere identica intensità luminosa, gli strumenti di analisi tridimensionale rivelano invece che la Sindone doveva trovarsi relativamente piatta e ad una qualche pur piccola distanza dal corpo dell'uomo riprodotto.

Anche l'ipotesi più volte avanzata di un'impronta ottenuta per riscaldamento di una statua o d'un rilievo metallico si è dimostrata insostenibile perché le bruciature delle fibre tessili non potrebbero essere così tenui e così superficiali.

E soprattutto perché, come risuta da misurazioni recentissime, sotto le macchie di sangue la stoffa è perfettamente pulita e non segnata dal colore del corpo.

Ciò significa che un eventuale falsario avrebbe dovuto prima tracciare le macchie di sangue, e con autentico sangue umano, e poi disporre la Sindone sul rilievo riscaldato, facendo combaciare le ferite con le parti anatomiche corrispondenti.

Sarebbe impossibile anche per chi disponesse delle più sofisticate tecnologie di oggi, e sarebbe davvero un mostro di intelligenza e di perfidia chi avesse lavorato con tale abilità, rimanendo anonimo, per il solo piacere di mettere in crisi i ricercatori del secolo XX.

Secondo il prof. Luigi Gonella, assistente dell'equipe scientifica del 1978, gli scienziati possono dimostrare soltanto che nulla si può per ora concludere sul meccanismo di formazione dell'immagine, perché nessuno dei tanti esami riesce a render conto di tutte le caratteristiche dell'immagine sindonica.

Sappiamo cos'è, ma non sappiamo come s'è fatta.

Concludendo una sua relazione il medesimo docente affermava: "La scienza non potrà dimostrare che l'Uomo della Sindone sia Gesù Cristo, perché non esiste in archivio un riferimento che possa confermarne i'identità.

La scienza dice soltanto che ciò è estremamente probabile, dato il numero impressionante di coincidenze e di conferme.

Per parte mia posso affermare che se la Sindone è un falso, si dovrà riscrivere tutta la storia della tecnologia, perché, per farla così mille e più anni fa, avrebbero dovuto conoscere delle tecniche che noi oggi ignoriamo.

26 - Resta la domanda: "E voi, chi dite che io sia?"

Per questo la Sindone continua ad appassionare l'opinione pubblica, sfidando la scienza e provocando credenti e non credenti con il fascino d'un mistero che ciascuno vorrebbe definitivamente svelato.

Nel silenzio della morte l'Uomo della Sindone interpella l'umanità come il Cristo 2000 anni fa: "E voi, chi dite che io sia?".

La risposta non è facile perché riconoscere il Cristo morto e risorto vorrebbe dire sconvolgere l'esistenza.

La Sindone, come il Cristo, non ha fretta, pare non temere il tempo.

Il segno di Giona non si impone, pazienta e aspetta, ma non si può cancellare, come scriveva Domenico Giuliotti: "Cristo è l'inabolibile povero, bimillenario pellegrino presente al tempo stesso su tutte le strade del mondo, a tutte le porte si ferma, a tutte le porte bussa, a tutte le porte domanda umilmente ricovero per la salute di chi dovrebbe ospitarlo, e l'uomo, sentendo bussare, corre alla porta ed apre, ma non appena travede nel mendicante un giudice gli sputa addosso con ira e chiude la porta e inchiavaccia.

Allora, il Redentore del mondo, malinconicamente, si pone a sedere sullo scalino e prega; "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno".

Ciascuno ha sullo scalino della propria porta questo terribile povero non ricevuto che prega."

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