Lavoro Formazione Vangelo

Educare formando al lavoro

Abbiamo esaminato in precedenza, nel capitolo di apertura, i lineamenti salienti della proposta formativa della Casa di Carità, direttamente espressi e dedotti dalla stessa denominazione dell'Opera ed essenzialmente miranti alla formazione professionale, umana e cristiana attraverso l'insegnamento del lavoro.

Dobbiamo ora riprendere questi elementi sotto l'aspetto didattico per far emergere le modalità di metodo più indicate per conseguire l'obiettivo di formare i giovani e i lavoratori che seguono i nostri corsi.

3.1 - Formazione professionale per apprendere competenze professionali

Questo punto è basilare per tracciare la fisionomia della Casa di Carità e della sua proposta formativa, poiché attiene proprio alla natura del servizio impartito: formare gli allievi ad un lavoro.

Esso costituisce l'aspetto materiale - nel senso di elemento primo e sostanziale - della nostra attività.

Su tale elemento si innesta il progetto educativo specifico del nostro Ente, che rappresenta il termine formale, ossia il carisma spirituale che lo anima e qualifica.

La trattazione dell'aspetto materiale della formazione professionale dovrebbe riguardare tutte le sue componenti, dai settori di addestramento tecnico-professionale alle competenze di base ( cioè ai percorsi culturali e operativi generali, connessi alle varie attività lavorative ), dalla metodologia di apprendimento agli strumenti tecnologici impiegati, dai sistemi di valutazione a quelli di certificazione, dall'equipe dei formatori ai collegamenti con l'esterno, e così via.

Non è questa la sede per tale esame, dato che esso dovrebbe comprendere le varie nozioni della formazione professionale, per cui ci limitiamo solo a pochi cenni introduttivi sui percorsi formativi, che d'altra parte ogni formatore, per la stessa sua qualifica di docente, teorico o pratico, già conosce.

In precedenza ci siamo intrattenuti sulla definizione di formazione professionale ( § 1.1 ), abbiamo evidenziato alcune sue caratteristiche, come l'aspetto educativo e culturale, che la distinguono dall'apprendistato ( § 1.5.1 ), e ci siamo soffermati sulla sua rilevanza culturale, con una specifica articolazione sulla cultura del lavoro ( § 1.5.2 )

Approfondendo il discorso sotto l'aspetto più strettamente tecnico, la formazione professionale è costituita da processi e funzioni lavorative, concernenti un dato mestiere, un' arte, una professione, un settore merceologico o industriale.

Tali processi riguardano l'addestramento personale, per l'apprendimento della manualità e dell'abilità, nonché le nozioni conoscitive del percorso lavorativo, degli strumenti di produzione, e del prodotto o dei servizi realizzati.

Ma essi concernono, altresì, l'operazione di gruppo, per i necessari collegamenti, le relazioni e le comunicazioni.

Con riguardo al taglio conoscitivo, e non solo operativo dell'apprendimento, rileviamo ancora come esso sia qualificante della stessa nozione di formazione professionale, non solo, ma si rende di tanto più necessario per consentire la flessibilità della professionalità che si deve conferire all'allievo, flessibilità che consente il miglioramento e la trasferibilità di tale professionalità in specifici ambiti artigianali, industriali o di servizi.

Ciò è conseguente alla variabilità delle attività produttive, commerciali e terziarie, sempre più proiettate all'automazione, come caratteristica del nostro tempo, e ancor più dei tempi futuri.

Stante questa situazione di fatto per lo sviluppo tecnologico, informatico, commerciale e di globalizzazione, appare chiaro come l'obiettivo della professionalità debba essere inquadrato nello scenario più ampio delle competenze professionali, scenario peraltro che va costantemente verificato e arricchito in un continuo aggiornamento.

È un traguardo non facile, ma certamente suggestivo, che richiede da parte degli insegnanti una ricerca e una sperimentazione senza sosta.

La strutturazione del processo formativo si pone con modalità proprie a seconda dello specifico settore professionale.

Ad ogni modo una traccia base da tenere presente è quella che incentra l'apprendimento su base operativa, con la metodologia del "problema da risolvere", che passa attraverso varie fasi quali, di massima:

1. l'accertamento della situazione di fatto;

2. il programma progettuale degli interventi;

3. il compimento dell'opera o del servizio;

4. il controllo e l'eventuale modifica.

Le suddette fasi vanno inquadrate in un processo formativo che ha come premessa l'enunciato di un principio o di una procedura operativa da fare apprendere, e come conclusione l'acquisizione da parte dell'allievo della conoscenza e della capacità di esecuzione del principio o della procedura.

Altro momento importante e caratterizzante del processo formativo è lo stage operativo in ambienti esterni di lavoro, a conoscenze e capacità acquisite, per l'impatto di verifica e di esecuzione nel luogo effettivo di lavoro.

Vi sono altri aspetti qualificanti che ci limitiamo a indicare non potendo, come già detto, ulteriormente soffermarci su questioni tecniche che richiederebbero una trattazione adeguata di più ampio respiro, da sviluppare nelle sedi idonee.

Tali tematiche in sintesi sono:

a) Un sistema di orientamento, per la scelta del percorso formativo, in base alle richieste del contesto lavorativo e alle attitudini ed aspirazioni dell'allievo.

b) Le aree di conoscenze teoriche, pur nel taglio operativo proprio della formazione professionale, incentrate sulla cultura e sull'etica del lavoro ( con tutte le implicazioni organizzative, sociali, politiche, storiche, di sicurezza, di qualità ecc … ), sulle nozioni logico-matematiche, scientifiche e sulle nozioni linguistiche.

È questo l'ambito nel quale la proposta formativa della Casa di Carità, con le sue componenti spirituali e religiose, può avere sistematica esposizione, al di là dell'annuncio evangelico intrinseco ad un particolare modo di erogare la formazione professionale, come sarà detto in seguito.

c) Le aree delle competenze comuni all'attività lavorativa in genere, o competenze trasversali ( con riferimento, ad esempio, all'abilità come dote personale, alle fasi proprie di ogni progetto, alle relazioni con gli altri, ecc … ).

d) I moduli di sostegno e quelli di approfondimento, a seconda delle qualità specifiche dei singoli allievi, di particolari obiettivi da raggiungere.

e) Il sistema di valutazione e di certificazione delle competenze, allo scopo di tenere sempre sotto controllo l'effettiva recezione da parte degli allievi della formazione erogata con tutte le applicazioni e gli adempimenti che ciò comporta, perché il controllo sia attendibile e non solo dovuto ad impressioni.

3.2 - Formazione professionale e sbocchi occupazionali

A rigore questo aspetto della formazione potrebbe essere un altro punto di quelli enunciati al paragrafo precedente, quale caratteristica qualificante.

Se lo evidenziamo a parte, è per sottolinearne l'importanza e l'indefettibilità.

Una formazione che non conduca all'esercizio effettivo di una attività lavorativa, non è autentica formazione, e ciò non solo per il riflesso negativo che porta sul giovane allievo, ma altresì per la ripercussione deleteria sul piano economico e sociale.

Basti pensare che non c'è programmazione di sviluppo che non consideri ( o per lo meno menzioni ) tra i fattori di crescita la formazione professionale.

Ma se a questa non seguono i risultati preventivati, può significare che in effetti la formazione erogata non era quella occorrente, o comunque che non è stata sufficientemente valida ( a parte le vicissitudini congiunturali o gli imprevisti, che possono alterare piani e progetti oculati ).

Per questo la formazione professionale necessita di uno stretto collegamento con il fabbisogno del contesto territoriale, attraverso contatti con il mondo del lavoro (le singole imprese, gli istituti di promozione economica e di ricerca, i sindacati ), oltre che, naturalmente, con gli Enti pubblici territoriali, segnatamente le Regioni, competenti in materia in via istituzionale, le Province e i Comuni.

Per sbocchi occupazionali non s'intende solo l'assunzione in imprese con rapporto di lavoro subordinato, anche se questo è, generalmente, il canale consueto e di naturale accesso.

Vi è anche l'attività in proprio, o in associazione con altri, magari in équipes scaturite da corsi di formazione.

La ricerca del lavoro, o la promozione di esso, è un altro dei settori in cui il Centro di formazione si vede coinvolto, e che costituisce un mezzo efficace per continuare a mantenere i contatti con gli allievi, nell'esercizio di quella promozione umana che non si esaurisce nel periodo formativo

3.3 - Formazione professionale ed educazione alla vita

La formazione professionale animata dalla carità, oltre a conferire e valorizzare le competenze professionali, ed essere mirata agli sbocchi occupazionali, è scuola di educazione di vita e di elevazione dello spirito.

3.3.1 - Superamento del lavoro come alienazione

Poiché, come abbiamo più volte sottolineato, la formazione professionale incide sulla persona, e non solo sulle sue capacità lavorative, essa è altresì una scuola di educazione, e in un modo specifico, peculiare e tutto suo proprio.

Come noto, è in atto un movimento di liberazione del lavoro, e perciò del lavoratore, dalle forme di oppressione, di insicurezza e talora di alienazione.

Ciò implica che il lavoro debba concorrere ad elevare il lavoratore, indipendentemente dalla natura e dalle caratteristiche dell'impegno e della fatica che esso richiede.

Le modalità dell'esecuzione del lavoro tendono a eliminare, o per lo meno a circoscrivere, non solo le condizioni di criticità per la sicurezza e per l'incolumità fisica, ma anche quelle incidenti sulla dignità e sul decoro della persona, e se determinate forme di avvilimento del lavoratore, strettamente connesse alla durezza e alla penosità di certe attività, purtroppo non sono del tutto superate, è tuttavia incontestabile come la cultura del lavoro, su scala nazionale ed internazionale, tenda a strutturare un'organizzazione del lavoro che salvaguardi la dignità del lavoratore.

Tutto ciò si riflette sulla sua persona e pertanto sul suo modo di vivere e sul suo atteggiamento.

La formazione professionale deve quindi riguardare anche la buona educazione del giovane e del lavoratore, nel senso di buona creanza e di comportamento corretto e urbano nei rapporti sociali.

Dovremmo auspicare che sia definitivamente superato il tempo in cui per apostrofare la maleducazione o la poca urbanità e delicatezza di qualcuno, si usi come epiteto dispregiativo la denominazione di un dato mestiere, comportante una certa durezza o un qualche disagio, come ad esempio carrettiere.

3.3.2 - Il lavoro scuola di vita

Ora perché questa inversione di tendenza, che sotto certi aspetti è un'autentica rivoluzione culturale, si verifichi, occorre che proprio il lavoro sia considerato come scuola di vita, e pertanto anche di buone creanze.

È sufficiente porre mente alle caratteristiche del lavoro, cioè all'applicazione che esso comporta, all'attenzione che richiede, alla particolare esperienza e maestria necessarie per il suo svolgimento, alla creatività ad esso connessa, alla genialità e all'innovazione occorrenti per il suo miglioramento, alla precisione, alla costanza ed alla pazienza indispensabili in molte circostanze, all'inconciliabilità con esso della pigrizia, dell'inerzia e dell'indolenza, limitandoci solo ad alcuni requisiti, per evidenziare come il lavoro costituisca, o per lo meno possa costituire, un'autentica palestra per la formazione del carattere e perciò del modo di comportarsi del lavoratore.

In questi paragrafi intendiamo essenzialmente soffermarci sul comportamento corretto e urbano nei rapporti sociali, cioè in definitiva sulla buona educazione.

3.3.3 - Formazione alla buona educazione

L'interessamento dell'insegnante e, in genere, di tutto il personale di un centro di formazione, per l' educazione degli allievi risponde essenzialmente, come detto sopra, all'esigenza della crescita umana e spirituale di questi.

Non si tratta pertanto di volere affermare principi di comportamento solo per l'esigenza e il decoro dell'ambiente: anche per questo, ma sempre in vista della crescita e dell'elevazione dell'allievo.

Va pertanto subito eliminato un possibile equivoco, ossia che l'invito al giovane, e all'occorrenza anche all'adulto, a comportarsi in un certo modo, sia una sorta di imposizione e di interferenza nella sua libertà: è questo pregiudizio che in genere costituisce la remora e l'ostacolo per riprendere i giovani nei loro comportamenti inurbani.

Si tratta viceversa di aiutarli a perfezionarsi proprio in considerazione dell'alta stima, anzi dell'amore nutrito nei loro confronti, ed in vista di uno sviluppo più pieno e completo della loro libertà.

3.3.4 - Missione formativa dell'insegnante

Che un insegnante, oltre che maestro di dottrina e di professionalità, debba essere anche maestro di vita, è un auspicio radicato nei principi educativi dell'umanità, ed elevato a finalità apostolica dal cristianesimo che, ponendo in Gesù l'unico Maestro ( Mt 23,8 ) innesta ogni forma di educazione e di formazione nella sua luce e nella sua azione.

Il secolare proverbio: "Si deve imparare non per la scuola, ma per la vita", ha certamente come presupposto che l'insegnante sia soprattutto maestro di vita.

Ciò comporta che egli, docente teorico o istruttore, sia partecipe non solo delle aspettative professionali dell'allievo, ma altresì delle sue aspirazioni di vita, pertanto che lo conosca, che sia coinvolto nei suoi problemi - naturalmente nel rispetto della debita discrezione verso ogni persona - lo aiuti nelle necessità, gli sia di supporto nelle difficoltà, lo assecondi nei suoi progetti.

Divenire confidente e compagno di viaggio dell'allievo è l'obiettivo ideale cui tendere per un percorso formativo ispirato alla solidarietà, tenendo presente che l'insegnante, proprio per il bagaglio e la competenza dottrinale e professionale che lo contraddistingue, è soggetto privilegiato per incidere in profondità sull'allievo, per essere un sostegno sicuro, un riferimento ineludibile, un modello luminoso.

Le tematiche del nostro Istituto, incentrate sui concetti di casa, cioè di famiglia, e di carità, cioè di amore di Dio, come abbiamo più volte sottolineato, dovrebbero non solo facilitare, ma animare questa prospettiva.

In questa luce il discorso sull'educazione, intesa come buona creanza di comportamento, viene ad essere non solo valorizzato, ma in qualche modo superato dall'attenzione e dalla premura per l'allievo, inteso come figlio spirituale da elevare nella mente e nel cuore, per introdurlo nella vita con sicurezze sul piano psicologico e morale.

È una missione per la quale ogni insegnante non può non sentirsi profondamente affascinato.

3.3.5 - Educare i "figli di Dio", secondo S. G. B. de La Salle

Concludiamo queste considerazioni richiamando alla nostra attenzione una motivazione di fondo che ci deve guidare nella formazione del giovane alla sua educazione, cioè l'alta stima di lui come persona.

Torna opportuna qui la citazione della denominazione che S. Giovanni Battista de La Salle usava per indicare i suoi allievi: "i figli di Dio".

Se questa espressione, in senso generale, è consueta per significare il rapporto di figliolanza di ogni uomo rispetto al Padre che è nei cieli, è indubbio che in un contesto riferito ai giovani da educare, quale è quello appunto in cui compare la suddetta dicitura negli scritti del de La Salle, assume una lucentezza e una valenza tutta particolare, intesa a far emergere la grande dignità di ogni allievo, e la delicatezza e l'importanza della missione  educativa affidata ai formatori, come direttamente proveniente da Dio, e afferente i suoi figli.

Ecco un breve saggio di come il de La Salle esortava i suoi Fratelli nella missione educativa: "La prima cosa che dovete ai vostri alunni è l'edificazione e il buon esempio.

Siete stati sempre virtuosi dinanzi ad essi, coll'intento di edificarli?

Avete pensato che dovete essere i modelli viventi di quelle virtù che chiedete loro di praticare?

Durante tutto l'anno siete stati buoni insegnanti?".

3.4 - Formazione professionale e formazione dello spirito

Per conseguire l'obiettivo della formazione spirituale dei nostri allievi attraverso il conferimento della formazione professionale, la linea di orientamento ci viene di nuovo offerta, e in modo del tutto particolare, dalla denominazione dell'Opera, che ne è anche il programma, cioè l'animazione dell'apprendimento del lavoro mediante il Vangelo della carità.

Si tratta di una proposta di conversione inferiore per una vita cristiana, caratterizzata dall'innesto in Gesù, vita dell'anima, che dovrebbe scaturire spontanea e intrinseca nello stesso insegnamento e addestramento al lavoro, condotti in modo tale da costituire un'autentica formazione.

A ciò concorrono l'ambiente della Casa di Carità, il corpo docenti, anzi il complesso del personale, la comunità degli allievi, se in essi scaturisce la coscienza di appartenere ad un'opera cristiana, le proposte religiose esplicite, come la S. Messa celebrata nell'istituto, le lezioni di religione, i momenti di preghiera e di attività religiosa, le conferenze.

È chiaro però che tutti questi elementi devono apparire agli allievi come naturale innesto nell'attività di formazione professionale, e non come momenti estrinseci e staccati, per quanto eccellenti e insostituibili.

Ritorniamo al punto focale, ad un tempo di partenza e di arrivo della proposta formativa della Casa di Carità, cioè l'annuncio evangelico insegnando il lavoro.

In tale orientamento le singole discipline mantengono la loro autonomia e la loro "laicità".

Imparare come far funzionare una fresa, o come operare al computer, restano pur sempre procedimenti tecnici compiuti in se stessi, al di là della fede e delle ideologie.

Ma è altrettanto pacifico che un conto è fare apprendere una tecnologia, o una data disciplina, prescindendo da un riferimento trascendente, come se Dio non esistesse, un altro conto è collocarsi nell'addestramento al lavoro e nello studio nella consapevolezza di essere figli del Padre che è nei cieli, redenti da Gesù, santificati dallo Spirito.

Questo è il sublime messaggio di cui la Casa di Carità deve farsi portatrice verso i suoi allievi, secondo le finalità della scuola cattolica e del suo carisma in particolare.

In questa missione educativa un ruolo determinante è svolto dall'insegnante e dall'istruttore, perché sono essi che con i loro insegnamenti e con il loro stesso modo di essere possono comunicare quei principi di formazione cristiana attraverso il lavoro, che stiamo cercando di mettere in rilievo.

Per facilitare questo compito, illustriamo alcuni punti che consentono il diretto collegamento tra l'addestramento educativo al lavoro e la crescita morale e spirituale dei nostri allievi, riprendendo ed ampliando tematiche già toccate, e introducendone di nuove.

3.4.1 - Dignità di chi apprende un lavoro e dignità dell'uomo

Formare professionalmente un giovane o un lavoratore sta ad attestare attenzione e cura della persona umana e pertanto riconoscimento della sua dignità.

E questo riconoscimento viene concretamente manifestato insegnando il lavoro.

Il lavoro viene quindi assunto come strumento di elevazione dell'uomo, in netta contrapposizione a quelle opinioni o a quelle prassi operative che nel lavoro scorgono un elemento di alienazione o addirittura - per lo meno in certi lavori - di imbrutimento a carico di chi li eserciti.

Oltre a quanto abbiamo esposto in precedenza al riguardo ( § 3.3.1 ), intendiamo qui sottolineare la rivalutazione della qualifica di prestatore di lavoro, con uno specifico riguardo alla condizione di operaio.

Si tratta di superare l'umiliazione sovente ancora collegata a tale stato, se lo si intende quale fase anonima e spersonalizzata di un processo produttivo.

Occorre vincere il disagio per il confronto con un impiego di più gratificanti mansioni o con la libera professione.

Soprattutto va rettificata l'erronea concezione che considera i lavoratori dipendenti di serie inferiore rispetto agli altri, concezione che talora si annida nell'intimo della coscienza dei nostri allievi e serpeggia nelle loro famiglie.

Questa mentalità va superata, dato che ne constatiamo residue resistenze nel modo di valutare e classificare le persone a seconda della loro posizione lavorativa.

Per contro il conferimento di competenze professionali che diano qualificazione e abilità, contribuisce ad elevare la dignità della persona.

La ragione per cui nei nostri corsi di formazione professionale si da adito anche alle materie culturali, come cultura, etica ed organizzazione del lavoro, educazione civica, lingue straniere, e simili, oltre alle nozioni teoriche nei settori tecnici, non è solo quella di trattare i multiformi aspetti che la professionalità riveste, sotto il profilo politico, economico, sociale, culturale e spirituale, ma altresì quella di concretamente assecondare l'allievo nella sua elevazione umana.

Torna opportuno al riguardo citare le parole del Papa nel discorso ai lavoratori del 19 marzo 1997: "La Chiesa, di fronte alle insidie presenti in certe manifestazioni della cultura e dell'economia con- temporanea, non cessa di annunciare la grandezza dell'uomo, immagine di Dio, e il suo primato nella creazione".

Il riconoscimento della dignità dell'uomo come lavoratore, conduce pertanto alla stima dell'uomo in sé, come persona e come creatura di Dio.

Sono facili e intuitive al riguardo le possibili applicazioni nei vari ambiti della vita morale e sociale su cui richiamare l'attenzione dei nostri allievi.

Al concetto di dignità dell'uomo, acquisito elaborando la nozione del lavoro, possono collegarsi vari corollari, quali ad esempio:

a) l'uomo non sia considerato strumento di piacere, come avviene nella nozione immorale della sessualità; all'opposto l'uomo e la donna vanno intesi come termine, come finalità di amore, avendo come obiettivo il loro bene, il che si realizza nella sua pienezza nel matrimonio;

b) nessun essere umano venga sfruttato, come può verificarsi in una concezione del lavoro che preveda un'anomala subordinazione di una persona ad un'altra, in cui il prestatore d'opera sia trattato alla stregua di uno strumento;

c) l'uomo non sia considerato come un antagonista da eliminare, un impedimento da abbattere, o peggio un nemico da vincere o da distruggere.

Il competitore va stimato e apprezzato nel suo intrinseco valore.

I contrasti e le reciproche interferenze che si riscontrano nella vita di relazione vanno affrontate e risolte rispettando la sfera dell'altrui libertà e soprattutto continuando ad amare l'altro come se stesso.

Potremmo continuare in questa rassegna, ma ai fini della presente trattazione è sufficiente avere rilevato il  collegamento della dignità propria di ogni lavoratore con quella che deriva dal concetto di persona umana.

3.4.2 - Dignità di ogni lavoro

La dignità di ogni essere umano porta alla conseguenza della dignità di ogni lavoro, al di là delle sue qualità intrinseche, quali la rilevanza economica, sociale, retributiva, e le modalità operative, se manuali o intellettuali.

Però deve trattarsi di un lavoro onesto.

Non tocchiamo qui la delicata questione della utilità di una specifica attività, perché ci porterebbe lontano.

Ci limitiamo ad accennare che, secondo alcuni, sarebbe comunque preferibile tenere occupate le persone ( come nel caso di operai adibiti a scavare delle buche e poi a riempirle, naturalmente dietro retribuzione, piuttosto che tenerli disoccupati ).

Sono casi limite, che destano non poche perplessità, anche se non mancano di aspetti di riflessione in merito al diritto al lavoro e al dovere per la società civile di procurarlo per ogni uomo.

Tornando al nostro tema, appare chiaro come la formazione professionale sia particolarmente indicata per inculcare la stima e l'apprezzamento per ogni lavoro, dato che la sua natura è appunto quella di addestrare razionalmente e metodicamente all'esercizio di un'arte, di un mestiere o di competenze professionali.

E proprio per la specificità della formazione professionale a mettere in risalto la dignità del lavoro, essa è il terreno privilegiato, per così dire, per fare maturare una spiritualità del lavoro negli allievi, presentandolo come scala per salire a Dio, nell'incontro con Gesù, come sarà detto in seguito, con espressi riferimenti biblici e al magistero della Chiesa.

3.4.3 - Il lavoro come solidarietà

Tra gli elementi che danno dignità al lavoro vi è indubbiamente quello di essere un servizio, una utilità per gli altri.

Occorre coltivare tale caratteristica, che il lavoro non è solo strumento per la propria sopravvivenza e realizzazione, ma altresì attività ed opera a vantaggio del prossimo e della società.

Questo concetto è talmente ovvio, che rischia di passare inosservato: infatti se si riceve una retribuzione, è perché un altro trae un'utilità dal risultato lavorativo.

Si tratta di evidenziare che il compenso non è tutto: ciò che è intrinseco al lavoro è l'opera di cui fruisce il destinatario, e tale fruizione va appunto evidenziata per il suo valore di servizio per gli altri.

Si prospetta a questo riguardo un vero itinerario spirituale, di cui la solidarietà cristiana e la stessa carità sono l'anima.

Anche il nostro tempo pullula di esempi mirabili di lavoratori che nella loro scala di valori pongono queste finalità, animati dallo zelo e dalla solerzia di soddisfare le aspettative del destinatario del loro servizio, sia questo il cliente, o l'acquirente, o il datore di lavoro, o l'allievo o più in generale la società.

Ma la solidarietà specifica del lavoro ha pure un altro versante delicatissimo verso cui esercitarsi, ed è quello della vicinanza e della comprensione per chi non ha lavoro e per i più deboli.

La formazione professionale, proprio perché facilita lo sbocco lavorativo, deve fare maturare negli allievi questa sensibilità per i disoccupati e per gli indigenti, il che è il primo passo per contribuire tutti insieme alla soluzione degli spinosi problemi della disoccupazione e della povertà, problemi che oggi si presentano con requisiti nuovi e diversi dal passato, ma non per questo meno gravi e drammatici.

Anche insegnando a lavorare dobbiamo ispirarci ad uno dei comandamenti fondamentali, di amare il prossimo come noi stessi ( Mt 22,39 ).

E poiché, come la storia della nostra scuola ce lo attesta, molti allievi possono diventare imprenditori, l'animazione dell'attività lavorativa e imprenditoriale con il Vangelo della carità sarà garanzia perché i rapporti con i dipendenti siano impostati in una solidale collaborazione.

La sensibilizzazione del giovane e dell'adulto alla solidarietà attraverso l'apprendimento del lavoro non si esaurisce certo percorrendo gli scarni filoni orientativi che abbiamo tracciato.

Sono molteplici gli altri aspetti di promozione umana e di giustizia sociale insiti nella formazione professionale, che sta alla nostra premura comunicare e far recepire dagli allievi come valori evangelici.

Limitandoci anche a questo riguardo a toccare solo le tematiche - d'altra parte alcuni spunti di queste sono già emersi nelle considerazioni sin qui esposte - possiamo raggruppare sistematicamente gli effetti benefici della formazione professionale, rilevando che essa si pone:

a) come prospettiva costante nello scenario della lotta contro la fame e la povertà;

b) quale strumento efficace contro la disoccupazione, specie giovanile, e contro il pericolo di una rapida obsolescenza professionale di chi lavora;

c) quale difesa dalle minacce di alienazione conseguenti ad uno sviluppo economico e tecnologico che si rivela di sempre più difficile comprensione;

d) quale mezzo valido perché nella società si operi sempre più in termini di valorizzazione delle risorse umane;

e) in definitiva perché in un futuro in cui si profila sempre più marcata la spersonalizzazione delle attività economiche, produttive e di scambio, per gli sviluppi dell'automazione e dell'informatica, il lavoro resti sempre umanizzato, e perciò suscettibile di un'autentica spiritualità, secondo quanto auspicato a più riprese dal Magistero e dai Vescovi.

3.4.4 - La formazione professionale rivelatrice di Dio

Come abbiamo già richiamato ( § 1.2 ), nel "detto" del diario di fra Leopoldo istitutivo della Casa di Carità Arti e Mestieri, è dichiarato in modo esplicito che la finalità dell'Opera è "formare nuove generazioni", non solo, ma in via primaria "salvare le anime".

Questa finalità specifica, e l'espresso riferimento alla Carità, postulano in modo inequivocabile che la formazione impartita nei nostri centri abbia come elemento intrinseco l'annuncio evangelico e, pertanto, costituisca per gli allievi una proposta di vita cristiana.

Si tratta, particolarmente a questo riguardo, di sapere ricavare, dalle nozioni e dalle esercitazioni proprie della formazione professionale, spunti per tale annuncio e per tale proposta.

3.4.4.1 - Dal laboratorio all'esistenza di Dio

Che la scienza, e perciò la tecnica, possano costituire occasione per dimostrare l'esistenza di Dio, è elemento noto ed acquisito.

Anche se alcuni scienziati dichiarano che l'esistenza di Dio non sarebbe dimostrabile: ma è chiaro come in queste prese di posizione non c'entri per nulla la scienza, quanto piuttosto il libero arbitrio dell'uomo.

Vediamo come i processi tecnologici propri della formazione professionale consentano di innestare tale discorso, e diamo un esempio su come un addestramento usuale nei nostri corsi possa portare ad una prova dell'esistenza di Dio; questo esercizio è di tanto valido e opportuno, considerando che alcuni giovani si dichiarano atei, non so con quanta consapevolezza, comunque come risultato del clima culturale in cui viviamo.

Consideriamo le esercitazioni al computer.

Per chi vi opera è lampante che senza un programma predeterminato il computer, o la macchina a controllo numerico, non può funzionare. Il programma invece può considerarsi come l'idea del progettista, che viene tradotta in termini numerici nel floppy disk, e in tal modo consente al computer di dare i risultati che ci si attende.

Alla base di tutto pertanto vi è il pensiero, l'idea del programmatore, per cui quando si afferma che i computer "ragionano", o si usa questa espressione in senso metaforico, o si dice un'inesattezza.

Il computer ci conferma il principio che "senza una mente il mondo è inconcepibile".

Infatti se le cose materiali, per quanto perfette, non solo non sanno agire senza una traccia e una guida prestabilita, ma non sanno neppure di esistere a se stesse, bisogna pure che esistano rispetto ad altri.

Questo altro non può essere che Dio, poiché non basta asserire che la materia esiste rispetto all'uomo, poiché l'uomo oggi c'è, ma una volta non c'era.

Quindi se non si vuole cadere nell'assurdo di affermare che le cose esistenti, per non esistere a se stesse, in quanto inconsapevoli, non esistono del tutto, occorre riconoscere l'esistenza di una Mente assoluta, che conosca tutto l'universo, non solo, ma che l'abbia creato.

3.4.4.2 - Riferimenti biblici del lavoro

I riferimenti biblici al lavoro possono costituire l'anima della nostra missione formativa, oltre che rappresentare un efficace sussidio sotto l'aspetto didattico.

Nel lavoro vi è la componente della fatica e del dovere da assolvere.

A questo riguardo torna opportuno richiamare il versetto delle prime pagine della Genesi: "Ti procurerai il pane con il sudore del tuo volto" ( Gen 3,19 ), ad attestare la situazione in cui si trova l'uomo dopo la ribellione a Dio con il peccato originale.

Alla luce della redenzione operata da Gesù, che ci ha rivelato che Dio è Padre, e ci ama più di quanto possiamo immaginare, certamente più di quanto ognuno di noi ami se stesso, queste parole, che suonano come castigo, contengono un anelito e una prospettiva di emendazione e di elevazione: siamo noi che dobbiamo realizzarci il nostro spazio nella vita, che dobbiamo perfezionarci, crescendo non solo fisicamente, ma moralmente nello spirito, e per ottenere ciò occorre sforzo e fatica.

È quanto viene dichiarato, in altri termini, da S. Paolo: "Chi non vuoi lavorare, non deve neanche mangiare" ( 2 Ts 3,10 ).

La formazione professionale è un'ottima scuola per considerare l'importanza, direi la sacralità del dovere di lavorare, disponendo l'allievo a riconoscerlo, ad accettarlo e a compierlo con buona inclinazione d'animo, con umiltà, all'occorrenza con sacrificio, ma nella certezza che adempiendolo si assolve ad uno dei principali doveri della vita.

In tal modo educhiamo l'allievo a considerare la vita come un impegno morale.

Ma vi è l'altro aspetto del lavoro nella Sacra Scrittura, non meno importante del precedente, anzi costituente come il suo completamento, quello della realizzazione di se stesso, in adempimento della volontà di Dio: "Governate la terra e dominate sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su tutti gli animali che si muovono sulla terra" ( Gen 1,28 ).

Con il lavoro pertanto l'uomo adempie le sue aspirazioni sul piano esistenziale, o per lo meno ha la possibilità di adempirle.

Lo sa bene chi non ha lavoro perché purtroppo lo sperimenta sopra la propria pelle, non solo in ordine al proprio mantenimento, ma altresì per quanto concerne lo sviluppo della propria personalità ( ma Iddio, ricco di misericordia, dona anche in questi casi occasioni di sviluppo e di crescita: la nostra solidarietà deve però affiancare questi fratelli disagiati, come abbiamo già in precedenza affermato ).

La Bibbia quindi ci dice che questa realizzazione di sé attraverso il lavoro è adempimento del comando di Dio e pertanto è, o può essere, preghiera, quale continuazione, in certo senso, della sua opera creatrice.

Vi è quindi tutto un orientamento spirituale da valorizzare, ed al quale indirizzare gli allievi, purché si presti attenzione alla ricchezza dell'insegnamento biblico e alla profondità del messaggio della Casa di Carità, il cui carisma è in grado di illuminare e di animare tutti gli aspetti dell'attività formativa, sempreché non gli si oppongano ostacoli e difficoltà.

3.4.4.3 - Santificazione del lavoro in Gesù

"Ora si compie il disegno del Padre: fare di Cristo il cuore del mondo": così canta la Chiesa in un'antifona dell'Ufficio liturgico.

"Il mondo è stato fatto per mezzo di Lui ( cioè del Verbo )", leggiamo nell'introduzione al Vangelo di S. Giovanni ( Gv 1,10 ).

Quindi anche il lavoro trova la sua ultima ragione e il suo compimento in Gesù, il Verbo fatto uomo.

La formazione professionale deve condurre gli allievi a tale traguardo, e il messaggio della Casa di Carità è particolarmente idoneo per tale prospettiva.

Indichiamo anche a questo riguardo specifici spunti di riflessione e di approfondimento.

Gesù, prima di intraprendere la sua missione di predicazione e di redenzione, ha lavorato come fabbro nella bottega di Giuseppe.

Anzi, anche questi anni nascosti, che sono stati come durata la maggior parte della sua vita terrena, rientrano nel piano della salvezza.

Teniamo presente, secondo l'insegnamento del Papa Giovanni Paolo II, che "Gesù stesso era l'uomo del lavoro, del lavoro artigiano, come Giuseppe da Nazareth.

Egli appartiene al mondo del lavoro, ha per il lavoro umano riconoscimento e rispetto: si può dire di più, guarda con amore questo lavoro e le sue diverse manifestazioni" ( discorso ai lavoratori del 19 marzo 1997 ).

Occorre educare i nostri allievi a sentire la presenza di Gesù accanto ad essi mentre apprendono il lavoro.

Sono pie aspirazioni o velleità spirituali queste?

Certo per comunicare questi atteggiamenti inferiori è necessario esserne profondamente convinti.

Che non siano fantasie ce lo attesta la parola di Gesù: "Quando due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" ( Mt 18,20 ).

3.4.4.4 - La Casa di Carità e l'Adorazione a Gesù Crocifisso Risorto

Queste ultime considerazioni sul lavoro incentrato in Gesù ci inducono a ulteriormente indicare la connessione della Casa di Carità con il sacrificio salvifico di Cristo.

La salvezza di tale sacrificio è di carattere universale, per cui per rilevare una particolare connessione con la Casa di Carità occorre considerare la storia dell'Opera, e le caratteristiche della spiritualità che la contraddistinguono.

Come abbiamo già visto ( § 2.5.1 ) fra Leopoldo Maria Musso, oltreché destinatario delle ispirazioni sulla Casa di Carità, è altresì l'autore dell'Adorazione a Gesù Crocifisso, la devozione basata nella meditazione sulle piaghe sanguinanti e gloriose del Redentore.

Questa preghiera è stata diffusa dal ven. fr. Teodoreto, dai suoi confratelli e dall'Unione Catechisti di Gesù Crocifisso e di Maria Immacolata da lui fondata. Anzi la spiritualità dell'Unione Catechisti è incentrata sull'amore a Gesù Crocifisso, quale viene espresso in modo peculiare in questa devozione.

Anche la Casa di Carità è basata su questa spiritualità, per ragioni storiche e teologiche, che brevemente sintetizziamo:

a) come più volte richiamato, dal diario di fra Leopoldo risulta che l'ispirazione a istituire Case di Carità è avvenuta mentre egli adorava Gesù Crocifisso, secondo la preghiera da lui formulata.

In altri passi del diario, le ispirazioni e i suggerimenti sull'Opera sono generalmente attribuiti al Crocifisso;

b) la storia della Casa di Carità è contrassegnata dalla costante preghiera impetratoria al Crocifisso Risorto, specialmente nei momenti di prova e di difficoltà;

c) nel Crocifisso il dolore e la morte, il male e il peccato sono trasfigurati nella risurrezione e nella vita, nella gioia e nel bene.

Così anche il lavoro, che può essere inficiato da strutture di peccato, viene ad essere rigenerato e santificato in questa offerta divina, e la formazione professionale, che ad esso conduce, va vivificata in questo orientamento vitale;

d) il Crocifisso ci rivela il volto di Dio ( Gv 8,28 ), e pertanto la realtà profonda delle cose. tra cui il lavoro;

e) il Crocifisso attrae tutto e tutti a sé ( Gv 12,32 ), quindi anche il lavoro e i suoi artefici.

L'adorazione al Crocifisso Risorto, ispirandosi alla formula della devozione di fra Leopoldo, costituisce pertanto il contrassegno della Casa di Carità, la garanzia per restare fedeli all'animazione delle Arti e dei Mestieri secondo il Vangelo della Carità.

3.4.4.5 - Maria Immacolata, "protettrice e direttrice"

In una casa è essenziale la presenza e la figura della madre.

La Casa di Carità ha come madre Maria Immacolata.

Questo non solo per aspirazione e offerta dei suoi fondatori e del suoi membri.

Ma per diretta elezione della Santissima Vergine, Madre di Dio e della Chiesa.

Attingendo sempre alla fonte dell'Opera, il diario di fra Leopoldo, troviamo in data 6 gennaio 1920 questo consolante detto, attribuito a "Maria SS. Nostra Signora": "Anch'io voglio essere la protettrice della grande opera Casa di Carità Arti e Mestieri".

In altri passi, la Madonna è indicata anche come "direttrice".

In quanto è "direttrice", spetta a Maria la conduzione e la direzione dell'Opera, per cui tutte le incombenze e le cariche formali attribuite ai dirigenti vanno considerate vicarie, e inquadrate nell'orientamento di una spiritualità e devozione mariana.

In quanto è "protettrice", Maria accoglie e rifugia sotto la sua tutela la nostra Opera, offrendoci la garanzia del suo Cuore materno sull'efficacia della nostra missione formativa, purché ci lasciamo ricolmare del suo amore.

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