Lettera N° 7
Torino, 1 novembre 2012
Carissimi,
spesse volte ci si chiede il perché, soprattutto in Occidente, siano così scarse, anche tra i cristiani, le risposte alla chiamata del Signore ad un cammino di santità nei diversi stati di vita in cui si è inseriti; forse Dio non chiama più?
Non è che Dio non chiami più ma la sua chiamata spesso non è recepita, perché l’orecchio interiore di molti si è fatto così duro che non ode più la sua voce.
Molti catechisti e operatori pastorali delle nostre comunità, e talvolta anche qualche sacerdote, pensano che la difficoltà di poter effettuare efficacemente un percorso formativo nelle parrocchie e negli oratori sia dovuta, in buona parte, ad una carenza di organizzazione, di strutture e di risorse economiche, che rende l’ambiente poco accogliente, secondo le moderne esigenze.
É vero che occorre una certa organizzazione e che è importante una certa disponibilità di denaro, ma tutto questo viene dopo: prima occorre essere innamorati di Dio e affidare la riuscita del nostro apostolato allo Spirito Santo con una totale docilità a Lui senza condizioni.
Questo ce lo ha chiaramente ricordato il futuro Papa Benedetto XVI, il Card. Ratzinger, in un suo intervento al Convegno dei Catechisti e Docenti di Religione il 10 dicembre 2000, in cui disse:
“Solo quando nella nostra anima brucerà il desiderio appassionato di portare gli uomini a Cristo, incontreremo coloro che avranno bisogno del nostro aiuto e lo accetteranno.
Solo le lezioni e le parole che sgorgano dalla passione ardente di aiutare gli uomini trovano delle occasioni per influenzare delle vite.
Lo Spirito Santo lavora solo in collaborazione con i cristiani che hanno tale desiderio nel loro cuore.
E senza di Lui siamo impotenti, sia a trovare coloro che sono pronti, sia, dopo averli trovati, ad aiutarli.
Non ci resta che chiedere nella preghiera che la passione delle anime nasca in ciascuno di noi …”.
Quando manca il desiderio appassionato di annunciare Cristo, ardentemente amato e posto al centro dei propri pensieri e affetti, la nostra azione apostolica è solo apparenza, con il rischio di fare la fine del fico sterile, ricco di foglie, ma senza frutti.
Sullo stesso tema Enrico Drummond dice: “Faremo conoscere il Vangelo se noi stessi ne saremo irradiati; lo faremo amare se noi ne saremo innamorati”.
“L’evangelizzazione non è una attività, è testimonianza: personale e comunitaria … ogni sforzo è un seme sepolto nel solco. Può germogliare”.
* * *
Il sincero desiderio di amare Gesù e di portarlo agli uomini non potrà nascere nel cuore di quanti non lo conoscono, né di quanti non sanno dare una risposta ai grandi interrogativi che riguardano la vita di ogni persona, che sono: perché esisto; che cosa faccio qui; a quale tipo di vita mi sto preparando.
Solo con una approfondita catechesi potremo, dare a quanti verranno ai nostri cenacoli, una esauriente risposta a queste domande.
Con il nostro costante impegno missionario, consoleremo Gesù nel suo lamento per quanti non vogliono accoglierlo, come ci indica lo schema riportato a lato.
Impegnati a continuare con rinnovato slancio la nostra missione di adoratori-evangelizzatori, stiamo attenti a verificare da quale spirito siamo mossi, se cioè siamo mossi dall’amore a Gesù e per Gesù o da altri motivi.
Occorre respingere l’insidia di agire prevalentemente per apparire, perché l’unico motivo che deve stimolarci ad agire, deve essere il desiderio di portare noi e i fratelli a Gesù, così che innestati in Lui, possiamo produrre frutti di vita.
Molti non sanno che la vita terrena ci è data per preparare i nostri i cuori all’incontro con Gesù sulla terra e in Cielo, dove potremo contemplare, nel giorno senza tramonto, l’Agnello immolato per la nostra salvezza.
Molti non sanno che l’unica condizione richiesta per entrare in Paradiso è quella di indossare la veste nuziale e l’aver prodotto frutti di carità.
Un fatto evangelico, riportato in Mt 21,19 ci richiama alla necessità di portare frutto e di portarlo non solo saltuariamente, ma in ogni stagione della nostra vita.
Un giorno, all’ingresso in Gerusalemme, Gesù vede un fico al quale si avvicina per cercarvi i frutti, anche se quella non era la stagione dei fichi, annota il Vangelo.
Ed ecco un interrogativo: come mai Gesù cerca frutti in una stagione che non è quella dei fichi?
E perché nel vedere che quel fico non porta frutti si indispettisce a tal punto da sgridarlo e maledirlo: “Che nessuno possa più cibarsi di te”?
Il giorno dopo gli Apostoli con Gesù passano di nuovo davanti a quel fico e scoprono che era diventato completamente secco.
Questo evento, sotto un certo aspetto, può anche turbare le coscienze …, ma le ragioni per cui Gesù ha agito così sono simboliche.
Quel povero fico non aveva ovviamente nessuna colpa per non aver prodotto frutti, però Gesù con quel segno ha compiuto un gesto significativo perché i suoi uditori capissero che Lui, da ogni persona, si aspetta frutti, e se li aspetta in ogni stagione.
Con questo fatto, Gesù ha dato un insegnamento a quelli che lo osservavano e lo ascoltavano perché capissero che quel fico simboleggiava Israele.
Quindi alla parola fico sostituiamo Israele e tutto il suo popolo.
Ma chi è Israele?
É un popolo privilegiato, perché ha ricevuto da Dio tutte le rivelazioni, tutti gli insegnamenti, tutti i profeti, tutti i miracoli, tutti i giudici, una terra promessa, la liberazione dalla schiavitù.
In più ha anche ricevuto la promessa della venuta del Messia.
Allora è chiaro che dal punto di vista di Dio, Egli dice: tu per me sei come un fico prezioso, ti ho posto nella mia vigna - dicevano i profeti - ho zappato intorno a te, ho messo una cinta di riparo intorno a te, perché tu potessi crescere e fruttificare; che cosa potevo fare di più per te?
Mi aspettavo frutti da te, perché non me li hai dati?
Trasponendo questo insegnamento di Gesù, Egli potrebbe dire a molti cristiani: “Ti ho piantato nella mia vigna, ti ho circondato di attenzioni, ti ho protetto, ho zappato intorno a te, ti ho nutrito … e tu non mi dai i frutti?”
Oltretutto questo discorso del fico fa riferimento anche al profeta Ezechiele ( Ez 47 ), quando parla dell’acqua che esce dal Tempio: prima è poco alta, poi giunge fino al ginocchio, poi diventa un fiume talmente grande che nessuno poteva attraversarlo a piedi.
Cosa dice Dio di quel fiume attraverso il profeta Ezechiele?
Dice che sulle sue sponde crescono alberi fruttiferi, che producono frutti dodici mesi l’anno, che è un modo per dire: sempre.
Dice ancora Ezechiele che i frutti cresciuti sulle sponde di quel fiume sono nutrienti e che le foglie di quelle piante sono medicamentose, perché crescono rigogliose a contatto con quelle acque che escono dal Tempio di Dio.
Tenendo presente queste citazioni bibliche è chiaro che Gesù parla profeticamente al popolo di Israele e gli dice: “Tu sei stato piantato lungo corsi di acque, e abiti addirittura in Gerusalemme dove c’è il Tempio, ( cioè la presenza reale di Dio ).
Quindi tu, popolo di Dio, a maggior ragione sapevi che Dio si aspettava da te dei frutti di vita per nutrire altri.
Come il fico produce frutti perché chi se ne ciba non muoia di fame e abbia il sostentamento, così tu Israele, piantato lungo i corsi delle acque, cioè alla Mia presenza, dovevi portare frutto.
Non hai portato frutto? Nessuno possa più cibarsi di te.”
Carissimi, che da oltre un anno state percorrendo, nei Cenacoli un cammino al seguito di Gesù, con più intenso amore, ringraziamolo per averci nutriti con la sua parola, per averci donato la sua vita e per gli insegnamenti ricevuti.
Ringraziamolo per averci fatto meglio capire che tocca anche a noi scuotere l’indifferenza all’amore di Gesù di molti cristiani, diventati come quel fico, tanto belli e rigogliosi, ma che però producevano solo foglie e non i frutti che il padrone della vigna si aspettava.
In questo anno trascorso Dio ci ha arricchito di ogni bene spirituale, ci ha circondato di ogni attenzione perché portassimo frutto …
Chiediamogli che tutto quello che abbiamo immagazzinato in questo anno di partecipazione ai Cenacoli si tramuti in cibo spirituale non solo per noi, ma anche per gli altri, perché il fico non mangia i suoi stessi frutti, ma li produce perché altri se ne cibino.
Il racconto di questo fico, del quale il Vangelo ci parla, può rappresentare ognuno di noi, chiamati a produrre frutti per la salvezza e per la vita spirituale degli altri.
Quello che abbiamo imparato non serve per vantarci, ma per avere la gioia di dare la vita, con la ‘V’ maiuscola, a quelli che incontriamo.
É questo che Dio si aspetta da noi?
Sì è questo, e si attua con la trasmissione della fede, con la testimonianza.
L’evangelizzazione, che è testimonianza e trasmissione della fede, non è un evento frutto di una mega organizzazione … é il frutto di un cuore convinto, di un cuore innamorato, di un cuore entusiasta di Dio.
In un cuore pieno di Dio sgorga il desiderio di dire agli altri la grandezza del suo amore.
Se non sentiamo dentro di noi il desiderio che quanti sono indifferenti all’amore di Gesù, possano giungere anch’essi a conoscerlo e ad amarlo, vuol dire che non siamo ancora profondamente radicati e innestati in Lui e che non abitiamo ancora costantemente nel suo cuore trafitto e che possiamo amarlo di più.
Se andiamo a fare una gita da soli, in un posto meraviglioso, con paesaggi stupendi, siamo felici, ma ci manca qualche cosa, ci manca qualcuno a cui dirlo, perché la gioia piena si ha quando, avendo trovato qualcosa di bello, possiamo comunicarlo a qualcuno, a qualche persona perché possa essere felice come lo siamo noi.
Il problema di troppi cristiani è quello di affermare di essere felici per aver incontrato Gesù; ma lo hanno davvero incontrato?
Vi può essere qualche dubbio al riguardo se permane in essi l’indifferenza verso la salvezza di tanti fratelli lontani.
Forse hanno incontrato tante realtà ecclesiali, forse hanno la testa piena di insegnamenti, conoscono il parere di tutti gli esegeti o di tutti i teologi di grido, ma Lui, personalmente, forse non l’hanno ancora veramente conosciuto.
Quello che noi vogliamo fare nei nostri incontri è proprio questo: stare con Gesù, per parlare con Lui e di Lui, per fare esperienza di Lui per poterla comunicare agli altri.
Allo scopo di migliorare la realtà dei nostri Cenacoli e favorirne lo sviluppo ho pensato di suddividere i Cenacoli in zone territoriali coordinate da un Coordinatore di zona.
Compito di questo coordinatore è quello di riunire, orientativamente, tre volte all’anno i Referenti di una determinata zona per analizzare insieme il modo migliore di procedere e sulla base dei suggerimenti di tutti trovare le soluzioni per il superamento di eventuali difficoltà e, mettendo a frutto l’esperienza fatta, suggerire quali passi intraprendere per l’avvio di altri Cenacoli.
Il mio fraterno e affettuoso saluto.
Leandro Pierbattisti
Con l’adorazione a Gesù Crocifisso nelle famiglie, intendiamo rispondere ai ripetuti inviti di Gesù, che ci chiede di adorarlo nella più alta testimonianza del suo amore, come ci ha riportato fra Leopoldo nel suo Diario:
"Si faccia devotamente l'Adorazione come nel Venerdì Santo, e molte grazie e favori concederò a tutti quelli che in grazia dì Dio si prostreranno ad adorarmi". ( Gesù Crocifisso 2 agosto 1906 )
"Parla sempre di Me con tutti, parla della mia passione".
"Se tu sapessi il tesoro inestimabile che è fare l'Adorazione come nei Venerdì Santo in compagnia della mia Divina Madre, perché Essa è adorna di potenza celeste da convertire il mondo intero!". ( Gesù Crocifisso 23 gennaio 1914 )
"Leopoldo la tua missione è quella di far penetrare la Devozione-Adorazione a SS. Crocifisso in tutte le famiglie cristiane, sotto il comando del Santo Padre" ( Maria SS. 21 novembre 1908 )
"La Devozione a Gesù Crocifisso sia estesa in tutto il mondo.
Tutto quello che hai segnato s'avvererà: è volontà di Dio.
Quando il Santo Padre avrà stabilito la santa Devozione al SS. Crocifisso in tutte le parti del mondo io le prospererò.
Non voglio più essere strapazzata orribilmente da ogni forma di malvagità". ( Maria SS. 23 novembre 1908 )
"Un numero incalcolabile di anime andranno salve per questa Devozione e tu Leopoldo ne avrai il merito". ( Maria SS. 28 novembre 1908 )