Lettera N° 24
Torino, 15 maggio 2015
I Cenacoli, che riuniscono persone impegnate a riconoscere e a ricambiare l’amore di Gesù, costituiscono un gruppo missionario proteso a testimoniare, a partire dalla propria famiglia e dall’ambiente in cui vivono, l’amore misericordioso del Signore.
L’ Ostensione della S. Sindone, riproponendoci i segni della passione e morte di Gesù, ci offre la possibilità di crescere nella conoscenza del suo amore per poterlo meglio comprendere e ricambiare.
Per questo ho pensato di presentarvi alcune riflessioni sulla Sindone stralciate da alcuni opuscoli, antichi e recenti, che possono arricchire le nostre conoscenze e scaldare ancora di più i nostri cuori.
L'umanità, pur tra notevoli conquiste scientifiche, tecniche e a conclamati progressi economici e sociali, continua a vivere travagliata dalle discordie e dalle lotte spesso crudeli e sanguinose, sempre sotto la minaccia di un terrificante avvenire di distruzione e di morte.
Il contrasto, la contrapposizione, la contraddizione sembrano diventate le caratteristiche dell'umanità di oggi.
Infatti, all'aumentato benessere di molti fanno contrasto la fame di moltissimi altri e le moltitudine dei bisognosi e degli oppressi;
- ai progressi delle scienze psicologiche e sociali si oppone la sempre minore comprensione di che cosa sia l'uomo nel suo profondo e nel suo fine;
- alle conquiste della medicina fanno contrasto le orrende carneficine e le mostruose mutilazioni operate dalle guerre;
- al diffondersi dei mezzi di comunicazione si accompagna nel cuore di molti l'aumento del senso dell'incomunicabilità e dell'isolamento;
- al miraggio di una società doviziosa e opulenta si oppone l'aumento degli insoddisfatti e degli inquieti;
- al diffondersi degli ideali di libertà e democrazia propagandati dappertutto si contrappongono il crescente strapotere di pochi e i pesanti condizionamenti determinati da strutture sempre più complicate e accentratrici.
La verità è che l'egoismo, il nostro antico male, continua a insidiare e a corrompere i rapporti tra i singoli, trai gruppi e tra i popoli, continua a ottenebrare le menti e a isterilire i cuori, nonostante che, oggi, appaia più chiaramente come lo sviluppo integrale di ogni uomo possa trovarsi soltanto nell'unione concorde e operosa di tutto il genere umano.
Così che la fede s'è fatta più incerta e vacillante e anche s'è spenta, soffocata da mostruose ideologie e abitudini di vita propugnanti l'ateismo.
Con siffatti prodotti della superbia e dell'egoismo si vorrebbe ad ogni costo rinserrare l'uomo nell'orizzonte della vita presente.
Ma, senza Dio tale orizzonte diventa ogni giorno più angusto e tormentoso.
Senza Dio, infatti, si cade nel "non senso" e nel "non valore" della vita terrena, la qual cosa gli uni scatena a farsi più violenti e rapaci e gli altri opprime ed avvilisce soffocando in essi ogni speranza e slancio di vita.
L'amore, soprattutto, appare sempre più scarso e raro, anche dove, come nelle famiglie, dovrebbe trovare custodia e alimento.
La nostra Torino poi, pur viva di fermenti e di possibilità, non ha ancora trovato l'accordo armonioso, la sintesi vitalizzante tra le molteplici sue energie e i suoi multiformi talenti.
La nostra città si presenta come divisa in tante "città" più o meno coesistenti: "città" di importanti tradizioni civiche e politiche, la "città" di pensatori, scienziati e artisti eminenti, la "città" di grandi iniziative tecniche e industriali, la "città" di forti e valenti masse di lavoratori, la "città" di tante opere religiose, caritative, educative di risonanza mondiale e di numerosi santi e servi di Dio.
Torino, come delusa e scettica, più non ricerca il suo compito a servizio del Piemonte, dell'Italia, dell'Europa e del mondo.
Eppure la vera prosperità di questa città, più che per tante altre, non potrà essere conseguita senza che, raccolte e coordinate tutte le energie e i talenti, Torino si orienti e si sviluppi per rapporto a una vocazione che oltrepassi i confini regionali e nazionali.
Ma non ci sarà vittoria sull'egoismo, né certezza di verità, né fondamento di speranza, né unione concorde di sforzi e affratellamento di concittadini e di popoli se non nella luce e nell'amore di Colui che ha espiato in se stesso le nostre colpe, le nostre divisioni e contraddizioni.
Uno solo - Gesù Cristo e Gesù Cristo crocifisso - ci è stato dato affinché fosse "luce del mondo" e nostra "via, verità e vita"; non altri che Lui dobbiamo ricevere come nostro "maestro" e "pastore", come nostra "pace" e "resurrezione": Lui che è "il primo e l'ultimo", "il principio e la fine" di tutto e di tutti.
Dobbiamo perciò, con la massima urgenza, ritornare a guardare rapiti e fiduciosi a Gesù che dall'alto della croce ci invita e ci attrae per riscattarci dalla nostra contraddizione di peccato e di morte, per fare di noi tutti, vivificati della sua stessa vita, una cosa sola con Lui nella gloria del Padre.
Occorre che ritorniamo a imparare da Gesù Crocifisso l'infinito e meraviglioso amore che è Dio, occorre che riscopriamo in Lui l'autentico valore di ognuno di noi, ognuno per il quale Egli si è immolato.
Occorre che ritorniamo ad attingere alle sue piaghe sanguinanti e gloriose la vita piena e perfetta, la vita eterna che è la vita della nostra vita.
Ma chi più dei Torinesi è chiamato ad approfondire il mistero della Passione e Morte del Signore e a manifestare al mondo la sublime realtà proclamata dal profeta: "Per le sue piaghe siamo stati sanati", e a ripetere a tutti gli uomini l'annuncio dall'Apostolo Giovanni che "Dio ha talmente amato il mondo da dare il Figlio suo unigenito affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna"?
Non è forse Torino la custode della più insigne reliquia dell'Amore crocifisso per noi, vale a dire della Sindone nella quale fu avvolto Gesù per la sepoltura?
Su questo lino le impronte dei tormenti e delle piaghe del Signore, rese più manifeste ed eloquenti per mezzo della fotografia: uno dei ritrovati della tecnica moderna, una delle fondamentali realizzazioni del nostro lavoro.
Ciò quasi a dimostrarci la vocazione della tecnica e del lavoro ad essere strumenti ed espressioni del nostro conformarci a Cristo, della ricapitolazione di tutte le cose in Lui.
Chi dunque più dei Torinesi dovrebbe, studiando e contemplando quanto è impresso sulla Sindone, conseguire la più devota e profonda comprensione dell'umanità di Cristo, mediante la quale abbiamo accesso a Dio e si stabilisce la nostra comunione con Lui?
Chi più dei Torinesi dovrebbe ricavare da questa umanità del Verbo crocifisso il senso profondo di ogni uomo e del valore di ogni vita; chi più di essi dovrebbe comprendere il mistero di morte che è il peccato nel mistero d'amore e di risurrezione che scaturisce dalla passione, dal sangue e dalla morte di Cristo?
Chi più dei Torinesi dovrebbe manifestare al mondo, dopo averlo letto nella virile solennità del volto del Redentore martoriato e nelle impronte della sua tangibile e perfetta umanità fatta di carne e di sangue come la nostra, il destino di gloria che ci attende con la rinnovazione di tutto il creato, attraverso la nostra partecipazione a Lui Redentore crocifisso?
Gesù ha promesso che quando sarebbe stato innalzato da terra avrebbe attratto tutto a sé.
Ma gli uomini sono come dimentichi dell'opera e delle parole del Cristo e non guardano a Lui come all'unica sorgente di redenzione e di salvezza.
Eppure, se gli uomini conoscessero l'amore che si irradia sul mondo e sulla storia dall'alto della Croce, se gli uomini accettassero la sovranità di tale amore e, compenetrati da esso, con esso si amassero, allora soltanto diventerebbero davvero un cuore solo e un'anima sola, e conoscerebbero finalmente la gioia e la pace, sia pure tra le tribolazioni della vita presente.
Perciò, non è forse giusto e doveroso concorrere a rappresentare agli uomini il Redentore crocifisso affinché attingano la luce e l'amore, la forza e la vita che attraverso le sue piaghe sempre promanano?
Non è forse quanto mai indispensabile per lo stesso rinnovamento della vita liturgica aiutare gli uomini a comprendere la santissima Eucarestia e a prepararvisi, offrendo loro vie e modi tra i più efficaci per conoscere, affinché lo amino e lo ritrovino in essa, "tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini, i quali sono in tal modo invitati e indotti a offrire assieme a Lui stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create"?
( Conc. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita sacerdotale, 5 ).
Mossi da queste considerazioni i membri dell'Unione Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata, benché impegnati in opere, interamente gratuite e assai onerose, a favore dei giovani lavoratori e dei poveri, intendono realizzare in una località tranquilla e dominante, nei pressi di Baldissero Torinese, un centro di vita spirituale interamente orientato a Gesù Crocifisso.
Si tratta di un'Opera che vuol aprirsi a tutti e perciò, secondo che a Dio piacerà, tendendo verso ampliamenti e sviluppi successivi.
Un'Opera che favorendo al massimo l'elevazione e la comunione degli animi si articolerà per rapporto ai bisogni e alle esigenze dei vari gruppi: sacerdoti e religiosi, educatori e giovani, padri e madri, fidanzati e fidanzate, professionisti e specialisti nei vari campi della cultura, della scienza e delle comunicazioni sociali, ricchi e poveri: ogni persona e ogni gruppo con la fiducia di poter scoprire e ricevere in se stesso, "nella" e "dalla" propria condizione e situazione, qualcosa di più dell'incommensurabile ricchezza racchiusa dal Padre in Colui che per noi s'è fatto obbediente sino alla morte di croce, morte di resurrezione che viene celebrata, sino alla fine, nel sacrificio della Messa.
Ognuno, nella contemplazione del Crocifisso, potrà essere aiutato a ritrovare se stesso, il significato eterno e profetico della propria vita, il valore sacerdotale e regale del proprio lavoro in ordine al bene e all'unità di tutti.
Presso questo centro di vita spirituale chi lo vorrà potrà aiutare e essere aiutato a scoprire, nel volto di Cristo crocifisso, e perciò glorioso, il vero volto di Dio; potrà meglio comprendere, attraverso e per mezzo di Lui crocifisso, la sua realtà di uomo-Dio, la sua vita terrena, il significato e la portata del suo Sacrificio sulla croce e sull'altare, della sua Resurrezione e glorificazione alla destra del Padre, del suo primato su tutti e tutto e della sua salvifica regalità universale, e così o meglio disporsi a partecipare di Lui Redentore nell'attesa del suo regale ritorno alla fine dei tempi.
Ognuno potrà meglio prepararsi a perpetuare, in ogni tempo e in ogni attività della vita, l'omaggio di adorazione e di lode all'Agnello che è stato sgozzato per la nostra salvezza.
Soprattutto, ognuno potrà meglio attingere al Signore Crocifisso, dal sangue e dalla morte di Lui, annunciata dal Vangelo e dalla Chiesa e celebrata nella Messa, quel rinnovamento di cui tutti abbisogniamo, quella pienezza d'amore fecondo destinata a compiere e a suggellare la nostra salvezza.
• "Gesù, in piedi, disse ad alta voce: Se qualcuno ha sete venga a me e beva.
Chi crede in me, come ha detto la Scrittura: Fiumi d'acqua viva scorreranno dal suo seno" ( Gv 7,37-38 ).
• Poiché Gesù stesso ha voluto presentarsi al modo come la scaturigine di acqua viva, tutt'aperta sul Calvario, i Catechisti intendono denominare la nuova opera col titolo programmatico di "La Sorgente".
• "Chi beve l'acqua che io gli darò non avrà sete in eterno: l'acqua che io gli darò diverrà il lui sorgente d'acqua zampillante per la vita eterna" ( Gv 4,14 ).
( Tratto dall’opuscolo dell’Unione Catechisti, “La Sorgente”, anni ’60 )
Gli Evangelisti Matteo, Marco e Luca raccontano che, ottenuto ¡l permesso da Pilato, Giuseppe di Arimatea depose il corpo di Gesù dalla croce e lo avvolse in un bianco lenzuolo che egli aveva comprato.
Secondo una antica tradizione, la Sindone di Torino viene ritenuta il lenzuolo in cui fu avvolto il corpo di Cristo deposto dalla Croce.
La S. Sindone, custodita nella stupenda cappella barocca che il teatino Guarino Guarini innalzò presso il Duomo di Torino, è una tela di lino spigato, cioè tessuta a spina di pesce: misura metri 4,36 di lunghezza e metri 1,10 di larghezza.
L'occhio dell'osservatore però è subito attratto da due grosse linee scure con rappezzi triangolari che corrono simmetriche e parallele per tutta la tela, a breve distanza dai due bordi più lunghi del lenzuolo stesso.
Queste linee sono le tracce dell'incendio subito dalla Sindone a Chambéry ( Savoia ) nel 1532, con i rammendi eseguiti dalle suore Clarisse della medesima città.
Proprio inquadrata tra queste due linee nero-brunastre si scorge, sfumata sulla tela ormai ingiallita, la doppia impronta ( anteriore e dorsale ) di un corpo umano nudo e disteso a piedi uniti, con le braccia distese e le mani sovrapposte: la sinistra sopra la destra.
Su queste impronte si scorgono i segni tradizionali della passione di Cristo: flagellazione, coronazione di spine, i segni dei chiodi che trapassano i piedi e le mani al metacarpo, il colpo di lancia al costato.
Scrisse A. De Lalaing, testimone della ostensione del 14 aprile 1503 fatta a Bourg-en-Bresse ( Francia ): "Il lenzuolo è impregnato del preziosissimo sangue di Gesù, nostro Redentore, e questo si vede così chiaramente come se fosse stato macchiato tuttora.
Si vede l'impronta di tutto il suo santissimo corpo: testa, bocca, occhi, naso, mani, piedi e le cinque piaghe, specialmente quella del costato, lunga all'incirca un mezzo piede e molto insanguinata.
E dall'altra parte, siccome il Lenzuolo era stato disteso e rivoltato, l'impronta e la figura del dorso: testa, capigliatura, i segni della corona di spine, le spalle …
Il Lenzuolo è stato fatto bollire in olio, è stato provato al fuoco e lavato con liscivia, ma non si è potuto né cancellare né togliere l'impronta della figura".
Un accenno storico all'esistenza di una Sindone figurata esiste già nella testimonianza di un crociato francese, Roberto De Clary, prima della caduta di Costantinopoli ( 1204 ) che dice: "Tra gli antichi monasteri era vi quello di s. Maria di Blakerne, dove era la Sindone in cui fu avvolto il nostro Sire: la quale ogni venerdì si esponeva pendente diritta, sicché si poteva vedere bene la figura di Nostro Signore.
Nessuno però sa, né greco né francese, dove essa sia andata a finire quando la città fu presa ".
Nel 1356, con grande concorso di popolo, nella collegiata di Lirey in Francia viene esposta una Sindone riportante la doppia figura del Cristo: la tela è proprietà della nobile famiglia di Charny.
Non era questa l'unica Sindone che si trovasse in Francia, poiché nella drammatizzazione della liturgia pasquale, caratteristica del Medio Evo, era invalso l'uso di presentare alla venerazione dei fedeli raffigurazioni varie degli strumenti della Passione e quindi anche del Sudario e dei lini sepolcrali.
Vi fu allora una intricata vicenda di denunce alla autorità religiosa, di alterni processi canonici, di proibizioni vescovili del culto della Sindone di Lirey.
Nel 1452 o 1453 Margherita di Charny, ultima discendente della sua famiglia, cedette la proprietà della Sindone alla Casa dei Savoia, che costruì per essa una cappella a Chambéry, capitale del Ducato.
Dopo vari temporanei trasferimenti in Francia, in Piemonte e in Lombardia, nel 1578 la Sindone fu da Emanuele Filiberto trasportata a Torino per abbreviare il viaggio di s. Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, che intendeva pellegrinare a piedi fino a Chambéry per ringraziare il Signore della cessazione della peste che aveva colpito la sua diletta Milano.
( Riflessioni tratte da un
libretto del
1978: La S. Sindone,
a cura del comitato
per l’Ostensione della S. Sindone, 1978 )
Il celebre studioso della Sindone Bruno Barberis descrive le conclusioni della ricerca scientifica sulla Sindone.
La ricerca scientifica sulla Sindone, intesa in senso moderno, ha avuto inizio solo nel 1898, dopo che la prima fotografia, scattata da Secondo Pia, oltre che a rivelare la caratteristica negatività dell'immagine su di essa impressa, consentì un esame dettagliato sia del telo che dell'immagine stessa.
I medici furono i primi a mettere in evidenza le numerosissime ferite presenti sul corpo dell'uomo della Sindone che provano trattarsi dell'immagine lasciata dal cadavere di un uomo adulto dapprima flagellato e poi crocifisso, con caratteristiche e particolari che appaiono strettamente correlati con ciò che è descritto nei vangeli circa le torture e la crocifissione subite da Gesù di Nazareth.
Sulle modalità di formazione dell'immagine ( normalmente un cadavere non lascia alcuna traccia su un lenzuolo ) numerose sono le ipotesi finora proposte.
In nessun caso però i risultati sperimentali risultano veramente soddisfacenti ( cioè strettamente comparabili con l'immagine della Sindone ) e alcune caratteristiche appaiono fino ad oggi irriproducibili.
I risultati ottenuti da diverse équipe di studiosi consentono però di affermare che è altamente probabile che l'immagine sia stata prodotta dal cadavere di un essere umano e di escludere che sia dovuta all'opera di un artista tramite l'uso di una qualsivoglia tecnica di riproduzione.
Il cammino scientifico è stato caratterizzato dal sorgere in tutto il mondo, in particolare nell'ultimo cinquantennio, di centri e gruppi di ricerca tra i quali particolare rilievo ha il Centro Internazionale di Sindonologia ( fondato a Torino nel 1959 ) che ha il compito di coadiuvare l'Arcivescovo di Torino, nella sua qualità di Custode Pontificio della Sindone.
In tempi più recenti gli studi e le ricerche si sono estesi anche ad altri campi come la biologia, l'informatica, la chimica e la fisica.
Le conoscenze attuali si possono sostanzialmente così riassumere.
• l'immagine ha caratteristiche simili a quelle di un negativo fotografico ed è estremamente superficiale interessando le fibre del tessuto per uno spessore dell'ordine del millesimo di millimetro;
• l'immagine è stata prodotta dal cadavere di un essere umano che ha subìto numerose torture tra le quali i supplizi della flagellazione e della crocifissione i cui segni sono visibili su di essa in modo anatomicamente perfetto;
• sulla Sindone sono presenti numerose macchie di sangue umano di gruppo AB prodotte da ferite di origine traumatica;
• non si tratta di un dipinto, né di un'opera realizzata mediante tecniche riproduttive conosciute;
• i pollini ritrovati sulla Sindone consentono di ritenere molto probabile un suo soggiorno in Palestina e in Anatolia prima del XIV secolo;
• l'immagine possiede peculiari caratteristiche tridimensionali;
• esiste una stretta correlazione ( confermata con l'ausilio del computer ) tra il volto dell'uomo della Sindone e l'iconografia del volto di Gesù del primo millennio;
• sul retro della Sindone è assente l'immagine corporea, mentre sono ben visibili le macchie di sangue.
L'età del lino: gli studi teorici e sperimentali successivi alla datazione medievale ( 1260-1390 d.C. ) stabilita dagli esami effettuati nel 1988 con il metodo del C14 consentono di ritenere molto probabili alterazioni di vario genere ( tessili, ambientali, biologiche, chimiche, ecc. ) che, nel loro insieme, possono aver modificato considerevolmente il risultato della datazione, "ringiovanendo" il telo; inoltre varie critiche sono state sollevate sulla correttezza dell'analisi statistica dei dati e sulla rappresentatività dei campioni prelevati.
Come si è formata l'immagine corporea sul lenzuolo? …
Tutte le teorie proposte fino ad oggi sono sempre risultate carenti o perché non sono state corredate da verifiche sperimentali serie o perché tali verifiche hanno evidenziato sulle immagini ottenute caratteristiche fisico-chimiche molto diverse da quelle possedute dall'immagine sindonica o al più solo parzialmente simili; il processo che ha causato la formazione dell'immagine sindonica rimane pertanto ancora non noto e per giungere alla sua identificazione saranno necessari ulteriori studi sia teorici sia sperimentali.
( Stralciato dal Bollettino Salesiano dell’aprile 2015 )
« E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore » ( 2 Cor 3,18 )
Sì, questo io cerco perché il Padre ha fatto di Me la tua perfezione.
Io sono l’Icona dell’uomo che entrerà nella gloria.
Non temere di somigliarmi.
I santi lo hanno desiderato.
Ti ringrazio della tua pietà verso di Me ma non mi basta.
Ti ringrazio della tua devozione verso di Me ma non mi basta.
Ti prego di guardarmi bene.
Oltre la mia morte.
Oltre il mio dolore.
Ti prego di ricordare che stai fissando il Volto dell’Umiltà.
Tu sai.
Il Padre celeste mi ha chiesto di essere umiltà per salvarvi.
Io l’ho fatto e sono entrato nel mondo con un solo programma: umiliarmi essendo uomo, Io il Verbo creatore, e nell’essere uomo umiliarmi fino alla morte di croce, destinata ai peggiori degli schiavi.
Ti prego di guardarmi per comprendermi, e per capire così te stessa, creatura tanto sfigurata dalla presunzione, dalla prepotenza, dalla permalosità, da cui Io ho voluto e voglio salvarti a qualunque costo.
Io ho desiderato ardentemente trovare nel mondo la verità che rende umili: il Padre celeste me l’ha riservata in Maria: ma neanche la sua umiltà mi basta.
Voglio anche la tua, come quella di tutte le creature.
Io trovo oggi troppo poca umiltà sulla terra.
Solo l’umiltà trova grazia: Io aspetto l’umiltà per inondare il mondo di salvezza.
Ti prego di guardarmi attentamente per imprimere anche nel tuo cuore il programma dell’umiltà.
Ti prego di non dimenticarmi.
Se me lo chiedi con Maria, ti donerò di amare l’umiltà per la salvezza degli uomini.
La quarta Domenica di Pasqua ci presenta l’icona del Buon Pastore che conosce le sue pecore, le chiama, le nutre e le conduce.
In questa Domenica, da oltre 50 anni, viviamo la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni.
Ogni volta essa ci richiama l’importanza di pregare perché, come disse Gesù ai suoi discepoli, « il signore della messe … mandi operai nella sua messe » ( Lc 10,2 ).
Gesù esprime questo comando nel contesto di un invio missionario: ha chiamato, oltre ai dodici apostoli, altri settantadue discepoli e li invia a due a due per la missione ( Lc 10,1-16 ).
In effetti, se la Chiesa « è per sua natura missionaria » ( Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Ad gentes, 2 ), la vocazione cristiana non può che nascere all’interno di un’esperienza di missione.
Così, ascoltare e seguire la voce di Cristo Buon Pastore, lasciandosi attrarre e condurre da Lui e consacrando a Lui la propria vita, significa permettere che lo Spirito Santo ci introduca in questo dinamismo missionario, suscitando in noi il desiderio e il coraggio gioioso di offrire la nostra vita e di spenderla per la causa del Regno di Dio.
L’offerta della propria vita in questo atteggiamento missionario è possibile solo se siamo capaci di uscire da noi stessi.
Perciò, in questa 52ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, vorrei riflettere proprio su quel particolare “esodo” che è la vocazione, o, meglio, la nostra risposta alla vocazione che Dio ci dona.
Quando sentiamo la parola “esodo”, il nostro pensiero va subito agli inizi della meravigliosa storia d’amore tra Dio e il popolo dei suoi figli, una storia che passa attraverso i giorni drammatici della schiavitù in Egitto, la chiamata di Mosè, la liberazione e il cammino verso la terra promessa.
Il libro dell’Esodo – il secondo libro della Bibbia –, che narra questa storia, rappresenta una parabola di tutta la storia della salvezza, e anche della dinamica fondamentale della fede cristiana.
Infatti, passare dalla schiavitù dell’uomo vecchio alla vita nuova in Cristo è l’opera redentrice che avviene in noi per mezzo della fede ( Ef 4,22-24 ).
Questo passaggio è un vero e proprio “esodo”, è il cammino dell’anima cristiana e della Chiesa intera, l’orientamento decisivo dell’esistenza rivolta al Padre.
Alla radice di ogni vocazione cristiana c’è questo movimento fondamentale dell’esperienza di fede: credere vuol dire lasciare sé stessi, uscire dalla comodità e rigidità del proprio io per centrare la nostra vita in Gesù Cristo; abbandonare come Abramo la propria terra mettendosi in cammino con fiducia, sapendo che Dio indicherà la strada verso la nuova terra.
Questa “uscita” non è da intendersi come un disprezzo della propria vita, del proprio sentire, della propria umanità; al contrario, chi si mette in cammino alla sequela del Cristo trova la vita in abbondanza, mettendo tutto sé stesso a disposizione di Dio e del suo Regno.
Dice Gesù: « Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna » ( Mt 19,29 ).
Tutto ciò ha la sua radice profonda nell’amore.
Infatti, la vocazione cristiana è anzitutto una chiamata d’amore che attrae e rimanda oltre sé stessi, decentra la persona, innesca « un esodo permanente dall’io chiuso in sé stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio » ( Benedetto XVI, Lett. Enc. Deus Caritas est, 6 ).
L’esperienza dell’esodo è paradigma della vita cristiana, in particolare di chi abbraccia una vocazione di speciale dedizione al servizio del Vangelo.
Consiste in un atteggiamento sempre rinnovato di conversione e trasformazione, in un restare sempre in cammino, in un passare dalla morte alla vita così come celebriamo in tutta la liturgia: è il dinamismo pasquale.
In fondo, dalla chiamata di Abramo a quella di Mosè, dal cammino peregrinante di Israele nel deserto alla conversione predicata dai profeti, fino al viaggio missionario di Gesù che culmina nella sua morte e risurrezione, la vocazione è sempre quell’azione di Dio che ci fa uscire dalla nostra situazione iniziale, ci libera da ogni forma di schiavitù, ci strappa dall’abitudine e dall’indifferenza e ci proietta verso la gioia della comunione con Dio e con i fratelli.
Rispondere alla chiamata di Dio, dunque, è lasciare che Egli ci faccia uscire dalla nostra falsa stabilità per metterci in cammino verso Gesù Cristo, termine primo e ultimo della nostra vita e della nostra felicità.
Questa dinamica dell’esodo non riguarda solo il singolo chiamato, ma l’azione missionaria ed evangelizzatrice di tutta la Chiesa.
La Chiesa è davvero fedele al suo Maestro nella misura in cui è una Chiesa “in uscita”, non preoccupata di sé stessa, delle proprie strutture e delle proprie conquiste, quanto piuttosto capace di andare, di muoversi, di incontrare i figli di Dio nella loro situazione reale e di compatire per le loro ferite.
Dio esce da sé stesso in una dinamica trinitaria di amore, ascolta la miseria del suo popolo e interviene per liberarlo ( Es 3,7 ).
A questo modo di essere e di agire è chiamata anche la Chiesa: la Chiesa che evangelizza esce incontro all’uomo, annuncia la parola liberante del Vangelo, cura con la grazia di Dio le ferite delle anime e dei corpi, solleva i poveri e i bisognosi.
Cari fratelli e sorelle, questo esodo liberante verso Cristo e verso i fratelli rappresenta anche la via per la piena comprensione dell’uomo e per la crescita umana e sociale nella storia.
Ascoltare e accogliere la chiamata del Signore non è una questione privata e intimista che possa confondersi con l’emozione del momento; è un impegno concreto, reale e totale che abbraccia la nostra esistenza e la pone al servizio della costruzione del Regno di Dio sulla terra.
Perciò la vocazione cristiana, radicata nella contemplazione del cuore del Padre, spinge al tempo stesso all’impegno solidale a favore della liberazione dei fratelli, soprattutto dei più poveri.
Il discepolo di Gesù ha il cuore aperto al suo orizzonte sconfinato, e la sua intimità con il Signore non è mai una fuga dalla vita e dal mondo ma, al contrario, « si configura essenzialmente come comunione missionaria » ( Esort. ap. Evangelii gaudium, 23 ).
Questa dinamica esodale, verso Dio e verso l’uomo, riempie la vita di gioia e di significato.
Vorrei dirlo soprattutto ai più giovani che, anche per la loro età e per la visione del futuro che si spalanca davanti ai loro occhi, sanno essere disponibili e generosi.
A volte le incognite e le preoccupazioni per il futuro e l’incertezza che intacca la quotidianità rischiano di paralizzare questi loro slanci, di frenare i loro sogni, fino al punto di pensare che non valga la pena impegnarsi e che il Dio della fede cristiana limiti la loro libertà.
Invece, cari giovani, non ci sia in voi la paura di uscire da voi stessi e di mettervi in cammino!
Il Vangelo è la Parola che libera, trasforma e rende più bella la nostra vita.
Quanto è bello lasciarsi sorprendere dalla chiamata di Dio, accogliere la sua Parola, mettere i passi della vostra esistenza sulle orme di Gesù, nell’adorazione del mistero divino e nella dedizione generosa agli altri!
La vostra vita diventerà ogni giorno più ricca e più gioiosa!
La Vergine Maria, modello di ogni vocazione, non ha temuto di pronunciare il proprio “fiat” alla chiamata del Signore.
Lei ci accompagna e ci guida.
Con il coraggio generoso della fede, Maria ha cantato la gioia di uscire da sé stessa e affidare a Dio i suoi progetti di vita.
A lei ci rivolgiamo per essere pienamente disponibili al disegno che Dio ha su ciascuno di noi; perché cresca in noi il desiderio di uscire e di andare, con sollecitudine, verso gli altri ( cfr Lc 1,39 ).
La Vergine Madre ci protegga e interceda per tutti noi.
( Dal Vaticano, 29 marzo 2015 - Domenica delle Palme )
Vi giungano con fraterno affetto i miei migliori saluti.
Leandro Pierbattisti