"Questo Calice di nostro Signore Gesù"

N° 26 - Marzo 2003

Far carriera, far soldi, avere successo, occupare i primi posti sono i sogni immediati di tanta gente.

Anche tra i dodici amici di Gesù, c'era chi sognava di potersi sedere alla sua destra e alla sua sinistra, quando Lui, il Vincitore, sarebbe stato nella sua gloria.

Ma Gesù ha un altro progetto per Sé e per il suoi: Lui non è un liberatore sociale e politico, pronto a impugnare le armi per cacciare gli oppressori del suo popolo e restaurare il regno di Davide.

Egli cammina verso Gerusalemme, dove la Croce, accettata per amore, avrebbe fatto di Lui il salvatore dell'uomo dal peccato e dalla morte eterna, il Datore della vita sessa di Dio, il Promotore di un'umanità nuova, in intimità con Dio.

Con Sé, Gesù trascina anche i suoi.

C'è una pagina bella del Vangelo che narra di Gesù che ai suoi amici che vogliono primeggiare, domanda: "Potete bere il calice che io bevo e ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?".

Gli risposero: "Lo possiamo".

E Gesù disse: "Il calice che io bevo anche voi lo berrete e il battesimo che io ricevo, anche voi lo riceverete" ( Mc 10,35-45 ).

Il "calice" di Gesù, il "battesimo" di Gesù sono la sua passione e la sua morte: la gioia dell'uomo redento, in grazia di Dio, ritrovata attraverso il sacrificio di sé e il suo sangue.

Configurato a Gesù nel sacramento del Battesimo, nella Confessione e nell'Eucarestia, il cristiano è abilitato a bere fino in fondo questo calice del divino Redentore, a completare - come dice S. Paolo - ciò che manca alla passione d Gesù.

Ora noi sappiamo che la Passione di Gesù è completa, ma è pure vero che non possiamo restare indifferenti di fronte al suo sacrificio, come se non ci riguardasse.

Quello della Croce è il nostro posto, perché siamo noi i peccatori e i negatori di Dio, non certo Gesù, il Figlio di Dio, innocente e santo come Dio.

La passione di Gesù, dobbiamo farla nostra, dobbiamo riviverla in noi nella sua interezza e nel suo dramma, in un impegno continuo di offerta della nostra esistenza, delle nostre energie, della nostra sofferenza, al Padre, con Gesù Crocifisso, per la Chiesa e per il mondo.

È Gesù, carico della Croce, immolato, totalmente disponibile per amore, in adorazione al Padre e per la salvezza dell'uomo, che deve rivivere e continuare in noi il suo olocausto.

È Gesù che, già entrando nel mondo, dice: "Ecco, Padre, io vengo a compiere la tua volontà", che deve prolungarsi in ciascuno di noi.

Lì assume significato il dramma del dolore, del dolore innocente.

Lì, il cristiano che soffre diventa segno vivo della presenza di Dio e del suo amore per gli uomini: Gesù soffre, è crocifisso, salva il mondo oggi, in tutti coloro che accettano la sua Croce e con Lui ne bevono il calice amaro.

Nella pagina già citata del Vangelo, è ancora Gesù che afferma: "Il Figlio dell'uomo ( cioè Lui stesso ) non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti".

Chi è più innocente, più santo, più limpido di Gesù?

Eppure, nel piano di Dio Egli è l'Uomo dei dolori: "Il castigo salutare per noi - profetizzava Isaia, 700 anni prima della sua venuta - si abbatté su di Lui e le sue Piaghe ci hanno guariti" ( Is 53 ).

Nel mondo di oggi, invaso dal peccato senza fine, ci sono tante anime di innocenti che soffrono, non con rancore o con rabbia, mai maledicendo il dolore, ma accogliendolo, come Gesù sulla Croce, come mezzo di adorazione a Dio, al posto di chi lo rifiutava, in espiazione dei peccati altrui, per chi continua a offendere Dio.

Sono - questi innocenti sazi di dolore - i continuatori di Gesù nell'opera della redenzione.

Sono l'aristocrazia del dolore, o meglio, della redenzione del mondo.

Soltanto Gesù, con il calice amaro ma traboccante di salvezza e di gioia, con la sua vita offerta per amore, "in riscatto", può compiere questi miracoli.

Quando Gesù ci chiama a condividere il suo "calice", la sua Croce, umanamente abbiamo una grande paura, ma preghiamolo - Lui che tutto può - che non ci lasci abbattere né disperare, e ci conceda di diventare capaci, per sua grazia, di innalzare sul mondo, accanto alla sua Croce, la nostra piccola croce.

"Il Pane che noi spezziamo non è forse comunione con il Corpo di Cristo?

E il calice che noi beviamo non è forse comunione al Sangue di Cristo?".

Paolo

L'importanza di un segno

Il 30 marzo di 60 anni fa, moriva a Vienna Suor Maria Restituta Kafka, al secolo Helene, poi beatificata nel 1998 da Giovanni Paolo II.

Perché vogliamo ricordarla?

In generale per sottolineare il contributo essenziale fornito dai martiri, in ogni tempo e luogo, alla fecondità e vitalità della Chiesa ( non dimentichiamo i fratelli nella fede uccisi e perseguitati in Sudan! ); ma il nostro intento è anche quello di mettere a fuoco l'oggetto di questa particolare "testimonianza" ( tale è il significato originario della parola greca martyrion ).

La Chiesa, infatti, ha proclamato Suor Restituta "martire per il Crocifisso" ( vedi "L'Osservatore Romano", 22-23 giugno 1998 ).

È un riconoscimento che può lasciare spiazzati.

Nella mentalità corrente "il Crocifisso" è cosa fin troppo marginale e peculiare per meritare il sacrificio della vita.

In verità, secondo il "pensiero debole" oggi dominante, non c'è nulla per cui valga la pena morire da eroi.

Qui ci soccorre l'ammonimento di Giovanni Paolo II, che, in ossequio al mandato di Cristo ( Lc 22,32 ), nel 1998, davanti a 50.000 austriaci riuniti nella Heldenplatz di Vienna - la "Piazza degli Eroi" - ha detto: "Grazie Suor Restituta per la tua resistenza alla moda del momento!".

Ci sarebbe molto da meditare su queste parole e sul luogo scelto per pronunciarle …

La vicenda di Suor Restituta è semplice, ma esemplare.

Helena Kafka ( questo era il suo nome secolare ) nasce a Hussowitz-Brunn ( Moravia ) nel 1894, sesta di sette figli, in una famiglia non certo benestante: il padre è calzolaio.

Nel 1896 i Kafka si trasferiscono a Vienna dove Helena studia per diventare infermiera.

Vuole farsi suora ma i genitori si oppongono.

Finalmente a vent'anni riesce ad entrare nella congregazione delle Francescane della Carità Cristiana col nome di Maria Restituta ( con riferimento ad una martire uccisa nel 304 d.C., al tempo di Diocleziano ), prestando la sua opera nell'ospedale di Modling, come infermiera di sala operatoria e anestesista.

In breve tempo i medici, le colleghe, ma soprattutto i pazienti, restano impressionati dai suoi modi cordiali e decisi, dalle sue spiccate capacità organizzative, affibbiandole il soprannome di Suor "Resoluta".

Diventa, insomma, un'istituzione, un punto di riferimento, un'interprete forte e fiera della condivisione della sofferenza, della vera carità cristiana.

Quando i nazisti nel 1938 invadono Vienna, inaspettatamente, trovano nell'ospedale di Modling, un'avversaria davvero indomita, più ferma e virile di tanti uomini.

Il nuovo regime ordina il ritiro dei Crocifissi da tutti i luoghi pubblici, ma la Kafka si ribella, riportando le Croci al loro posto.

Non solo: quando viene il momento di costruire la nuova ala dell'ospedale, si premura di appendervi personalmente altri Crocifissi, pronta ad accettare le conseguenze di un gesto che appare subito come una sfida alla falsa croce, la svastica, emblema del nazismo.

In seguito ad una perquisizione le viene requisito un libello satirico che prende di mira Hitler e le sue utopie totalitarie.

Basta questo fatto a procurarle l'accusa di alto tradimento.

Le autorità ordinano alla Gestapo ( la polizia politica ) di arrestare la francescana - è il mercoledì delle Ceneri del 1942 - la sottopongono ad un calvario lungo un anno nel carcere di Vienna, per poi farla decapitare il 30 marzo 1943.

Dunque il suo martirio, a parte un lungo intermezzo nel quale Suor Restituta si prodiga per sostenere spiritualmente i reclusi del "braccio della morte", ha principio e fine nel tempo della Quaresima.

L'ultima richiesta rivolta al cappellano, prima di porgere la testa al boia, è molto significativa: "Padre, mi faccia sulla fronte il segno della Croce".

Più volte abbiamo sottolineato l'importanza assunta dalla Croce nella simbologia francescana.

San Francesco si firmava con la Tau, l'ultima lettera dell'alfabeto ebraico, da lui trascritta nella forma greca che richiama la Croce, proprio perché, nell'antico Testamento, questa lettera è il segno di salvezza che viene tracciato sulla fronte degli eletti ( Ez 9,4 ); ma, nel caso della "martire del Crocifisso", la richiesta del "segno" rivolta al sacerdote, è un testamento spirituale, che suggella magnificamente l'ultimo messaggio inviato alle consorelle: "Per Cristo sono vissuta, per Cristo voglio morire".

Non è un caso che l'odio del carnefice nazista si sia avventato su quella sconosciuta suora morava.

Ella, del nazismo, aveva colto la satanica venatura anti-cristiana.

Il demonio, come è noto, più di tutto odia il Crocifisso, Colui che soffre per amore degli uomini, e, di conseguenza, odia coloro che per amore del Crocifisso si lasciano consumare dal fuoco della carità divina.

Questi soggetti privilegiati, infatti, sono così vicini e così intimi alla Passione di Cristo, alla vittoria sulla morte derivante dal peccato, che più di altri intendono le ragioni profonde del "non prevalebunt" promesso da Cristo.

Chi si assimila al Crocifisso - come San Francesco, Fra Leopoldo e Sorella Restituta - ha in pugno la vittoria sul Male: questo lo sa il demonio e lo sanno i suoi discepoli.

E i nazisti, come è provato dai legami di Hitler e di alcuni suoi gerarchi ( vedi Himmler ) con l'occultismo, erano esposti ad influenze malefiche.

Le preghiere di suor Restituta, per usare il linguaggio di Fra Leopoldo, hanno fatto tremare l'Inferno ( Diario I,176,2 ).

Perciò doveva morire.

Ed è morta come gli antichi martiri, sotto il peso di una lama sanguinaria.

Certo, la Kafka era una religiosa, dunque la sua spiritualità si discostava da quella dei laici consacrati.

Però è sempre vissuta in mezzo al mondo dei malati, misurandosi con una professione, quella di infermiera, che obbliga ad un confronto diretto col prossimo e coi problemi della società.

Il 21 giugno 1998, celebrando la sua memoria nella "Piazza degli Eroi" a Vienna ( 60 anni dopo la manifestazione tenuta da Hitler nel medesimo luogo ), insieme a quella dei beati Anton Schwartz e Jacob Kern, Papa Giovanni Paolo II ha scandito parole memorabili: "Tante cose possono essere tolte a noi cristiani.

Ma la croce come segno di salvezza non ce la faremo togliere.

Non permetteremo che essa venga esclusa dalla vita pubblica!

Ascolteremo la voce della coscienza che dice: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini!" ( At 5,29 ).

Cari giovani: … Piantate nella vostra vita la croce di Cristo! E' la croce il vero albero della vita".

Queste parole così intransigenti sembrano riecheggiare alcuni passi del Diario di Fra Leopoldo, eppure risalgono ad appena cinque anni fa!

Sono le esortazioni di un Pastore coraggioso che, pur umiliato dalla malattia, non si lascia condizionare dal luccichio della falsa modernità.

Nel "martirio bianco" del "terribile quotidiano" - sul quale si fonda la spiritualità di Fratel Teodoreto - gli adoratori del Crocifisso devono sopportare il raffronto con donne e uomini "di successo" che, pur vivendo immersi nel peccato e promuovendo valori e stili di vita apertamente anti-cristiani, raccolgono ampi riconoscimenti; i più ricchi tra loro, per amore della popolarità, non esitano a finanziare opere di beneficenza e, nella loro umana grandezza, tentano di farci sentire mediocri e stupidi ( pensiamo a certi personaggi delle riviste patinate ).

Il Papa, beatificando una donna che la vox populi non esitava a chiamare "Resoluta", ci ha mostrato la via della fermezza.

Tocca a noi resistere o meno alla tentazione della resa e dello scoraggiamento.

Come Suor Restituta dobbiamo trovare nella preghiera la forza per non lasciarci sedurre dalle mode del momento.

Stefano