XIII stazione |
Dal Vangelo secondo Marco 15,42-43.46a
Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vi gilia del sabato, Giuseppe d'Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch'egli il Regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù.
Egli allora, comprato un lenzuolo lo depose dalla croce.
Giuseppe d'Arimatea accoglie Gesù prima ancora di aver visto la sua gloria.
Lo accoglie da sconfitto.
Da malfattore.
Da rifiutato.
Richiede il corpo a Pilalo per non permettere che venga gettato nella fossa comune.
Giuseppe mette a rischio la sua reputazione e forse, come Tobì, anche la sua vita ( cfr Tb 1,15-20 ).
Ma il coraggio di Giuseppe non è l'audacia degli eroi in battaglia.
Il coraggio di Giuseppe è la forza della fede.
Una fede che diventa accoglienza, gratuità e amore.
In una parola: carità.
Il silenzio, la semplicità e la sobrietà con cui Giuseppe si avvicina al corpo di Gesù contrasta con l'ostentazione, la banalizzazione e la fastosità dei funerali dei potenti di questo mondo.
La testimonianza di Giuseppe ricorda, invece, tutti quei cristiani che anche oggi per un funerale mettono a rischio la propria vita.
Chi poteva accogliere il corpo senza vita di Gesù se non colei che gli aveva dato la vita?
Possiamo immaginare i sentimenti di Maria che lo accoglie tra le sue hraccia, lei che ha creduto alle parole dell'Angelo e ha serbato tutto nel suo cuore.
Marla, mentre abbraccia il suo figlio esamine ripete ancora una volta il suo « fiat ».
È il dramma e la prova della fede.
Nessuna creatura l'ha sofferta come Maria, la madre che tutti ci ha generato alla fede ai piedi della croce.
Ripeteva la preghiera del mondo: « Padre, Abbà, se è possibile … ».
Solo un ramoscello d'olivo dondolava sopra il suo capo a un silenzioso vento …
Ma non una spina tu gli levasti dalla corona.
Trafitto anche il pensiero non può, non può lassù il pensiero non sanguinare!
E non una mano gli schiodasti dal legno: che si tergesse dagli occhi il sangue egli fosse dato di vedere almeno la Madre là, sola …
Perfino potenti e maestri di ferocia e gente, al vederlo si coprivav la faccia e Lui a fluttuare dentro una nuvola: dentro la nuvola del divino abbandono.
E dopo, solo dopo.
Tu e noi a ridargli la vita. ( Padre Turoldo )