La pagina dei Catechisti |
B15-A5
Abbiamo ottenuto, riconoscenti, dalla Ill.ma e Gent.ma Prof.ssa Ida Belloni, Direttrice dell'Educatorio Principessa Isabella di Torino, per pubblicarla nel nostro Bollettino, la, sua magnifica relazione al Congresso Eucaristico di Torino, 6-13 novembre 1921, sul Tema ( 10 novembre ): "Nobiltà, Responsabilità, Azione dell'apostolato catechistico".
Si sono levati e collegati insieme contro il Signore e contro il suo Cristo: Rompiamo i loro lacci e rigettiamo lungi da noi il loro giogo. ( Sal 2,3 ).
L'azione religiosa che dobbiamo esercitare nel mondo è tale, che non è superfluo, nella fervorosa dimostrazione cattolica che ci unisce in questi giorni, raccogliere la nostra mente sulla « nobiltà » dell'apostolato catechistico e sulle « responsabilità » che ne derivano ai semplici fedeli, che, cedendo docilmente e fervidamente all'invito del Signore, promettono di consacrare una parte del loro tempo, e le migliori facoltà del loro spirito al Regno di Dio su questa, terra.
Cristo ci ha redenti e, nella onnipotenza sua, avrebbe potuto devolvere a sé solo l'opera redentrice nel mondo, ossia, abbandonare ogni uomo alle illustrazioni interiori della Grazia sua e in tal modo perpetuare nel tempo l'azione sua evangelizzatrice.
Viceversa: pur riserbandosi di lavorare direttamente sulle anime, mediante la sua Grazia, ha voluto « Cooperatori della sua grande missione » tutti gli uomini, a cui ha messo sulle labbra la invocazione « Venga il Regno tuo », quasi a richiamarli tutti indistintamente al dovere di collaborazione ch'Egli da tutti, nella misura delle proprie forze, reclama.
La Chiesa primitiva, tanto vicina alla persona divina di Gesù, aveva compreso la universalità di tale dovere per tutti i fedeli che si raccoglievano intorno a Lei: infatti, si legge negli Atti degli Apostoli che nelle prime adunanze si lasciava libertà di parola a tutti i fedeli, rispettando lo « Spirito » che « soffiava » sui cuori meglio preparati e sceglieva, « nella comunità laica », i suoi « profeti » o « ispirati ».
Si inizia, così quasi per un'azione soprannaturale, il compito apostolico dei semplici fedeli nella « Vigna del Signore »: sono operai più modesti che dovranno essere sempre subordinati, ubbidienti, devoti ai dirigenti, ma sono anche loro « privilegiati operai » designati e desiderati da Dio nei suoi mistici campi.
La collaborazione attiva dell'elemento laico nella, cristianizzazione del mondo, così evidente nei primi venticinque anni della Chiesa, va lentamente, diminuendo in seguito, e questo per ragioni tecniche e pratiche facili a comprendersi, e che si spiegano nel momento in cui la Chiesa si costituiva nel suo « Verbo teologico » e nel suo « Corpo ecclesiastico ».
Ciò che nel primo secolo era in potenza: fervore, effluvio divino, doveva svolgersi poi col tempo nei vari suoi elementi e concretarsi in forme ben determinate e nei cardini principali ben fisse: dovevano sorgere cioè la « Teologia », l' « Etica cristiana » e doveva completarsi la « Gerarchia ecclesiastica: per tutto questo, il Sacerdozio dovette riunirsi, appartarsi, concentrarsi, liberandosi, in parte e per un tempo transitorio, dell'elemento laico, non adatto ad aiutarlo nella sua prima opera costruttiva.
In tal modo, durante tutto il Medioevo la cooperazione dei fedeli laici nell'apostolato ecclesiastico rimane nell'ombra; dico così, poiché, se mancava quell'elemento esteriore che è l'« Apostolo », il quale esercita un'azione sociale ben chiara, e distinta, strumento dei tempi e dei luoghi in cui il Cristianesimo langue, non mancava nella famiglia, e quindi nella società, la modesta fiaccola che facesse luce sul cammino di tutti e li guidasse in complesso per le vie del Cielo.
Erano secoli di tenebre, di ignoranza, di povertà spirituale in genere, è vero: periodi di barbarie, in cui lo spirito delle masse era ancora avvolto nella materia e in cui la Chiesa doveva lavorare, con fatica, sulla parte bruta, violenta dell'umanità: ma erano secoli in cui l'orgoglio non aveva ancora accecato e indurito il cuore del popolo e in cui la Misericordia divina doveva, paternamente, chinarsi intenerita dinanzi alle coscienze ancora tanto involute e tanto povere di responsabilità …
Attraverso i secoli, così, la Chiesa, unica luce del mondo, si afferma nel suo « Verbo » e nella sua « Morale » e mediante i suoi Sacerdoti fa proseliti sinceri e devoti su tutta la terra.
Gli uomini, è bensì vero, trascinano sempre sulla loro strada le miserie della loro natura inferiore decaduta, sono sempre molto lontani dalla mèta che la Madre addita loro, ma sono, in gran parte, polveri pellegrini che non sanno congiungere la « forza » colla « buona volontà », anime desiderose di « bene » per quanto incapaci di camminare dietro la « luce » che al « bene » le invita: insomma il Cristianesimo, è nel cuore di tutti e il male - che l'umanità offre in mille espressioni - è indizio di « debolezza », ma non di « pervertimento nelle idee », né di « corruzione del cuore ».
La scienza umana, che ha già i suoi cultori geniali e luminosi, vive tranquilla nell'ambito in cui natura l'ha posta: sente che il campo delle sue speculazioni non è quello che è riservato alla Chiesa e per secoli svolge l'azione sua di incivilimento, elevando il popolo, senza, metterlo, in conflitto col sistema, divino che ne illumina la mente, ne muove il cuore e ne feconda di opere buone la vita.
Le due scienze la « divina » e la « umana » camminano di conserva, senza urti, senza discordie, senza che l'armonia si rompa fra le due finalità ben distinte: La « naturale » e la « sovrannaturale ».
Il mondo ha le sue lotte, i suoi dolori, le sue miserie, ma lo spirito vive calmo, sereno, irradiato dalla luce della fede, consolato dalle dolci speranze dell'al di là, guidato dalla, materna voce della Chiesa che lo conduce alla eterna salvezza.
In tale coordinamento di forze e per l'equilibrio conseguente, si capisce come per secoli il compito ufficiale di lavoro nella Chiesa resti ben distinto: Il « Sacerdozio » da una parte « Maestro riverito »: i « fedeli » dall'altra « Discepoli rispettosi ».
Siamo nell'età aurea del mondo cristiano, nell'epoca in cui la « Luce di Dio » si diffonde per la terra e in cui i « Ministri dell'Altare » seminano e mietono nella gioia del cuore, nell'esultanza del successo.
Ma … non è sempre così: lo « spirito del male » penetra la società colla passione che « creò l'inferno »: l'« orgoglio » si allaccia alla « scienza umana », filtra il « dubbio » nella, coscienza, taglia alle radici la « Fede nel Cristo Dio » e per prima conseguenza tenta di abbattere la « Chiesa » e i suoi « Ministri ».
Fa lucere nel popolo un ideale di felicità terrestre, pone a mèta degli sforzi umani il « piacere » e con tale esca trascina per le proprie strade le masse allettate, lusingate, sedotte.
Il « Sacerdote » è allontanato, guardato con sospetto, ritenuto il principale ostacolo per la « pienezza di vita » cui il mondo tende: e la comunità dei fedeli si assottiglia, si disperde, si stacca dai naturali suoi Maestri, dai consacrati e Unti del Signore.
Siamo a questo punto, oggi, sopra tutto dopo la immane guerra che ha sconvolto il mondo, nelle coscienze e nelle istituzioni.
Prima della guerra, la maggior parte delle masse popolari - specie le agricole - erano colla Chiesa e attingevano alle sorgenti sue: ora esse, inasprite dai sacrifici di un martirio, di cui non hanno potuto capire il valore sociale e ideale, sobillate dai mestatori che il demonio ha scatenato nel mondo per perderlo, esse, nell'ora che volge, si sono staccate, dalla Chiesa di Cristo e ne sono diventate i nemici più brutali e più ostinati.
Tuttavia, e provvidenzialmente, ciò che la Chiesa ha perduto da un lato « nella quantità », sta ora acquistandolo dall'altro « nella qualità ».
Prima del conflitto mondiale, le persone colte ed istruite seguivamo un « deismo » vago e indeterminato - secondo i sistemi dei filosofi più noti nelle teorie del pensiero umano -; camminavano dignitosamente nelle vie del bene, guidate dalla, sola luce della loro coscienza e ossequienti all'« impero categorico » del « bene per il bene »; schiera eletta, aristocratica, di anime nobili, illusa di potersi elevare e di poter elevare le masse coi semplici mezzi naturali e coll'unica luce della ragione: schiera traviata per un momento, ma in « buona fede » che, scossa dalle conseguenze disastrose del suo « verbo », in gran parte nella scuola e dalla cattedra diffuso, sente ora il dovere di ritornare sui suoi passi, di raccogliersi, di stringersi intorno alla Chiesa e di attingere dalle sue fonti la verità, che può condurre a salvezza quel popolo, che sta perdendosi nell'abborrimento del sacrificio e del lavoro, nei dedali del piacere e delle sole finalità economiche della vita.
Questa schiera è nel momento attuale la più adatta a ricondurre le « pecore smarrite » nell' « ovile del Signore ».
Essa forma, l'ultimo tratto della scala che il Cielo porge all'umanità per salire fino a Lui: senza di essa, oggi la scala sembra non poggi a terra, ma rimanga sospesa, mentre a metà della scala i diretti Mediatori fra il « Popolo » e « Cristo », i Sacerdoti, non riescono ad avvicinare i disertori del campo cristiano, né a porgere loro la mano che può aiutarli a salire.
Tale compito è del « laicato fedele e colto » che è guardato dal popolo con occhio sereno e che gode ora un vero prestigio, dato che costituisce la parte intellettuale e più considerata della società, quella che lavora tranquilla, composta, nella dignità di una vita modesta, attiva e piena di sacrifici: tanto lontana dalla boriosa allegria e dalla vita scapestrata dell'arricchito di guerra, quanto da, quella agitata, facile, ribelle dell'operaio che poco lavora, e molto gode, nell'ostentata provocazione di colui che vuole, ad ogni costo, rifarsi delle mille pressioni in addietro subite.
I novelli Apostoli.
Il lavoro nella Chiesa si offre, oggi, a due qualità di « laici »: ai « maturi » che debbono far opera di persuasione, di conciliazione, di bontà con gli adulti: ai « giovani » che debbono aiutare a dirigere l'educazione della generazione bambina, istruirla nella verità della fede, trascinarla coll'esempio e coll'edificazione nelle fiorite aiuole del giardino di Dio.
Gran privilegio e grazia non comune, di i cui bisogna che i « novelli apostoli » si rendano « degni », anche per non tradire, colla causa santa, la fiducia dei diretti « emissari del Cristo ».
E se ben si riflette alla nobiltà del compito che la Chiesa affida ai suoi devoti fedeli, e all'importanza dell'azione sociale che essi debbono svolgere, si comprende come i fedeli debbano avvertire le gravi responsabilità che la santa missione presenta, prima di assumere un dovere che li impegna nelle più profonde radici della coscienza.
E con questo, non vorrei scoraggiare coloro che già fossero nell' « apostolato » e coloro che, guidati oggi da Dio, fossero qui presenti, col cuore pieno di fervore e col desiderio di offrire alla Chiesa il contributo dell'opera propria.
Intanto: noi siamo i « Servi » di un « Padrone » che scruta i cuori e che, essendo Padre insieme, non chiede mai al di là di quanto i propri figli possano dare.
A « Lui » bastano le disposizioni del cuore, le intenzioni rette e il desiderio del bene: mettiamoci nella sua casa, al suo servizio, con « buona volontà »: le manchevolezze del nostro ministero, dovute alla nostra imperizia, saranno colmate dalla sua grazia e dall'intervento suo, pur che non faccia in noi difetto la « volontà ».
I « giovani », così, che m'ascoltano prendano lena e vigore dalla mia parola, e in quest'ora solenne offrano a Dio un cuore disposto ad aprirsi alla sua luce, al suo amore, alla sua volontà e vogliano meditare sui mezzi che sono necessari per essere davvero « apostoli di Cristo ».
Sarò schematica, poiché il tempo stringe, ma non sarà difficile a chi mi ascolta svolgere in seguito, con un po' di raccoglimento spirituale, i punti che tratterò.
L'« Apostolo » viva il proprio ministero nell' « umiltà del cuore »: si disponga al « massimo » e anche « cieco ossequio » alla Chiesa, di cui egli deve considerarsi semplice « portavoce », « strumento » sotto un certo aspetto « passivo ».
L'« Apostolo » è maestro di verità alla infanzia e alla gioventù, ed è Maestro di « una verità » che non può non avere espressioni « precise », « esatte », « ben definite »: ne consegue che la coltura religiosa dell' « Apostolo » deve essere « soda », « sicura », « profonda ».
Il primo « dovere », dunque, del giovane catechista è quello dello « studio »: potrà essere un sacrificio nei primi tempi, perché, sì capisce come la gioventù trovi nell'esuberanza dell'età sua felice un ostacolo grave al raccoglimento e allo sforzo che ogni applicazione esige: ma ho detto « nei primi tempi », poiché è un fatto che la scienza religiosa, i problemi della vita prospettati alla luce del cristianesimo sanno offrire agli studiosi, anche se giovani, un interesse tutto speciale, una luce interiore ricca di tinte, un fervore ripieno di gaudio e, come automatica, conseguenza di tanta pienezza di spirito, un bisogno irresistibile di effondersi nel bene.
Sarebbe ottima cosa il discutere come acquistare la scienza religiosa: io accennerò a un mezzo che è nella possibilità di tutti.
Le persone raccolte qui oggi appartengono in gran parte alla città: perché i giovani, le giovani non potrebbero unirsi a gruppi di 15 o 20 e prendere delle lezioni, per esempio, al giovedì e alla domenica, da professori teologi, se per un motivo qualsiasi non possono prendere parte alle lezioni dei « Circoli cattolici » o desiderano un corso tutto speciale, diretto più particolarmente allo scopo dell'apostolato?
Con una spesa assai modesta, potrebbero ottemperare al dovere che hanno « di istruirsi » per istruire.
Ma le disposizioni umili del cuore e la preparazione adeguata, delle cognizioni religiose necessarie sarebbero di poco momento, se l'operaio evangelico non unisse - all'azione esteriore di propagandista o di catechista - « la vita interiore ».
Parlo ai giovami e so che l'argomento è un po' ostico e difficile: parlare a loro di raccoglimento, di controllo interiore, di introspezione, mentre la giovinezza canta nella loro anima, la bellezza, del mondo, colle sue attrattive, colle seduzioni più magicamente colorite della vita, parlare ai giovani, il linguaggio severo dello spirito e del ritiro, può parere un controsenso.
Ma no: nel mondo dello « spirito », come in quello della « materia » ci sono le soddisfazioni, le gioie.
I più, educati superficialmente, attratti da quanto li circonda nella vita del senso, non sanno immaginare che quelle gioie ch'esso può dare: ma se per un momento chiudessero gli occhi e si raccogliessero in se stessi, nel mondo spirituale che ogni cuore ha in potenza e che attende solo un risveglio e un alimento per aprirsi e per svolgersi, se per un momento i giovani si guardassero dentro e si chiedessero il perché della vita, essi, stupiti della ricchezza loro interiore e della bellezza che i problemi dello spirito presentano, farebbero meno conto dei piaceri del secolo e si ritirerebbero nel cantuccio fortunato del loro: cuore, dove Iddio li aspetta, per colmarli di gioie spirituali, di delizie celesti: e tutto questo senza il bisogno di lasciare il mondo e quelle, legittime soddisfazioni che Iddio permette, e benedice.
Per chi sa vivere, anzi, nel secolo con una doppia visione e sa parlare a Dio nel frastuono delle cose esteriori, di cui va perdendo l'incanto, ha in sé una sorgente inesauribile di luce, di serenità, di sicurezza: egli sente che Dio è onnipotente, che nulla sfugge al suo occhio, al suo cuore, alla sua potenza: si abbandona, quindi, alla sua sapienza, alla sua bontà, alla sua, volontà: e sa vedere, anche nelle più lievi circostanze della vita, il « governo suo » che la fede gli assicura paterno e diretto sempre al bene ultimo del servo suo fedele.
I giovani, che qui mi ascoltano, non possono purtroppo capirmi come vorrei; ne possono prevedere, nella sua reale efficacia, quale conforto e quanta pace può derivare da una disposizione spirituale simile, perché il dolore, le delusioni, le bufere non sono ancora nella loro esperienza: ma se, come noi maturi, avessero dietro di sé un cumulo di sogni rovinati, di illusioni svanite, di vite spezzate, di affetti spenti, si afferrerebbero in modo disperato all'unica ancora che la vita offra, all'unica nave che per il suo timone non possa naufragare.
Gli è che se la vita dello spirito esige da parte nostra, sacrifici e rinunzie ( al meno negli inizi ) Iddio non lascia, impremiati ne gli uni ne le altre e compensa ad usura quanto per amor suo si compie.
Abbiamo da fare con « un buon pagatore » e beati i giovani, se crederanno sull'affermazione di chi ha già vissuto e se per giungere a questo punto non attenderanno che l'esperienza della vita ve li conduca.
Saranno tante pene risparmiate e tanto cammino fatto per le vie del bene e per quelle che oggi l'opera, sociale, a cui sono chiamati, apre loro luminosamente.
Insomma: l'Apostolo - per essere tale e perché l'azione propria sia feconda di buoni frutti - bisogna che viva nell' « abbondanza » la « vita dei Cristo » e a Lui si senta sensibilmente unito, nel fervore del cuore o, almeno, nella conformità al suo Volere.
« Bisogna ricevere e possedere, prima di comunicare », dice uno scrittore ecclesiastico: « Gli Angioli superiori non trasmettono agl'inferiori che i lumi di cui essi hanno ricevuto la pienezza ».
Il Creatore ha stabilito quest'ordine universale, relativamente alle cose divine: colui che ha ricevuto la missione di distribuirle deve partecipare per il primo e riempirsi, innanzi tutto e abbondantemente, delle grazie, che Dio vuole accordare alle anime per mezzo suo.
Allora, ma allora soltanto, gli sarà permesso di farne parte agli altri.
Ed eccoci, così, giunti al momento di esaminare i mezzi che valgano a far nascere e ad alimentare la vita interiore: essi sono molti e vari: si attingono tutti negl'inesauribili serbatoi che la Chiesa offre ai suoi figliuoli: lasciando i principali canali di grazia, che sono i Sacramenti, e quello centrale, la S.S. Eucaristia, che il nostro Congresso onora particolarmente nella testimonianza di fede di questi giorni e del quale tutti gli oratori hanno trattato, lasciando da, parte questo mezzo di perfezione e di unione intima, io ridurrei a « tre » gli aiuti che possono più efficacemente produrre una vita interna di fede, fatta di « luce » che « orienta », di « fervore » che « muove », di « volontà » che « opera »: cioè: la Meditazione ( luce che orienta ), la Preghiera ( fervore che muove ), la Lettura della vita, dei Santi ( volontà che opera ).
Tutto ciò costituisce, senza dubbio, la leva più potente per quella « pietà soda », dove l'« azione » trova il suo equilibrio col « pensiero » e il « pensiero » nell' « azione »; l'anima si persuade che per essere veramente fecondo il bene deve trovare le sue sorgenti in un sistema di idee perfetto e in una sensibilità che si volga alle cose superiori e delle medesime si nutra.
Cristo ha detto « che l'uomo dabbene, dal buon tesoro del cuor suo, cava fuori bene: poiché dell'abbondanza del cuore parla la bocca ».
Da tale premessa, la necessità di dirigere ogni nostro sforzo, ogni nostra cura, alla formazione dello spirito, prima di entrare nella vita attiva, che l'apostolato ci affida.
Poiché, se la vita del cuore sarà irradiata da tanta luce divina, è possibile che ad essa non corrisponda un sistema di vita edificante in tutti i suoi aspetti e tale da avvalorare il « verbo » e gl'« insegnamenti » dell'operaio evangelico?
« Così risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il vostro Padre che è nei Cieli ».
Oh, sì: mi ascoltino i giovani e mi seguano: se alla loro parola non si unirà la condotta integra e dignitosa, oserei affermare che nel campo cristiano faranno più male che bene; il loro lavoro darà frutti superficiali ed esteriori fra i più, mentre promuoverà delle diserzioni fra gli elementi migliori, quelli che, naturalmente, logici e coerenti, non sanno vivere che le loro idee e non sanno tollerare nessuna forma di ipocrisia, per quanto incosciente o non deliberatamente voluta.
Messa in luce la formazione adeguata dell'apostolo catechista, vediamo qualche aspetto della « sua azione educativa sull'infanzia o sulla gioventù » che sarà a lui affidata.
Lascio il compito peculiare del catechista che insegna la dottrina cristiana, argomento più speciale dell'assistenza del Parroco; lascio la formazione eucaristica dei bambini, soggetto trattato in un tema a parte, e accenno piuttosto, a « tre » punti che mi sembrano molto importanti e che dovrebbero costituire alcuni fra gli scopi principali della « formazione religiosa », la quale deve preparare il ragazzo alla vita cristiana che un giorno, fatto adulto, egli eserciterà nel mondo.
I « tre » punti su cui deve spiegarsi l'azione del catechista, sono:
1. La visione religiosa della vita.
2. La conoscenza del Vangelo.
3. Il rispetto e l'amore alla Chiesa, Corpo del Cristo regnante nel mondo.
1. La « visione religiosa della vita » dà senso ad ogni fatto umano, abitua, l'anima, fin dalle prime sue luci, a vivere sotto lo « sguardo » e il « dominio » di un « Essere » sempre e in tutto presente, che non ci abbandona mai, che ci avvolge, ci segue, ci penetra, come l'aria in cui respiriamo, in cui siamo immersi e senza della quale non è possibile la vita.
Il catechista riuscirà a comunicare il senso religioso della vita, se, in ogni occasione, saprà richiamare la mente immaginosa, del bambino al dogma della « presenza di Dio » e a quello della sua « Provvidenza ».
Sono i due dogmi che più si prestano al « senso concreto » che l'infanzia e la giovinezza portano nel campo speculativo; quelli più atti a muoverne la sensibilità, nei suoi aspetti di « benefico timore » e di « serena confidenza ».
Da tali dogmi sbocceranno, un giorno, tutte le virtù cristiane che avranno il loro risveglio nelle varie contingenze della vita.
Così: nella « tentazione » il santo timor di Dio; nel « dolore », la rassegnazione, il sereno abbandono alla volontà divina; nelle « lotte spirituali e temporali », la preghiera, il raccoglimento, la speranza; nella « gioia », la, temperanza, la mortificazione, la lode, il ringraziamento a Dio.
Su tali dogmi come si vede s'incardina tutta la vita interiore e tutta la pietà cristiana di qui, la necessità di farli vivere « in modo suggestivo » nello spirito dei ragazzi, che porteranno nella vita l'impressione « fantastica, », « concreta », se così posso esprimermi, dei due attributi di Dio e la porteranno per il loro conforto e la loro salvezza.
La vita di Gesù che passò beneficando: il racconto dei tratti del suo Cuore divino, sempre pronto a commuoversi dinanzi alle sventure umane: la narrazione della sua vita povera, modesta, umile, raccolta: la descrizione, viva e colorita, della sua dolorosa Passione e della sua morte crudele per la salvezza degli uomini, sono le circostanze che, messe in luce con parola fervida, varrano ad alimentare nei ragazzi un amore sensibile verso il Divino Maestro.
In questo quadro d'amore tutte le parabole, gli insegnamenti di Gesù troveranno il loro posto e s'imprimeranno, se esposti anche con un po' d'arte drammatica, nella fantasia e nei cuore dei piccoli discepoli, i quali, adulti, rievocheranno le scene evangeliche vissute nell'infanzia e sapranno riviverle nel loro contenuto morale.
Cresciuto negli anni il giovane verrà travolto nella vita del piacere, della dissipazione? sentirà di aver toccato il fondo di ogni degradazione? …
Ripenserà con nostalgico rimpianto ai giorni beati dell'innocenza e vivido di luce e di speranza risorgerà in lui il ricordo del « figliuol prodigo », colla beata sicurezza del perdono e della riabilitazione.
Oppure nel febbrile lavoro della vita ogni suo desiderio mirerà alla ricchezza e agli onori?
Un lampo gli attraverserà la mente e gli ricorderà che a nulla valgono tutti i beni del mondo, se l'uomo perde l'anima sua; ovvero rivedrà nel pensiero la paradossale similitudine del « cammello », che passa più facilmente dalla « cruna di un ago », di quello che un ricco per la porta dei Cieli.
Si confronterà con i suoi simili e sentirà il proprio valore dovuto a tante grazie, a tanti privilegi?
Tremerà, certo, nel ricordo della parabola dei talenti.
Stenterà nella miseria, nelle disgrazie, nell'abbandono di tutti?
Il povero Lazzaro gli aprirà in una radiosa spera improvvisa i padiglioni del Cielo e gli mostrerà il premio preparato per colui che piange sulla terra e nulla possiede.
Carico di famiglia e con limitatissimi mezzi sarà colto dall'ambascia di un avvenire incerto, che non gli offre che preoccupazioni per sé e per i nati da lui?
Un raggio tenue, sereno, che si lascia penetrare dagli occhi, avvolgerà nella sua aureola una dolce e soave figura paterna che ha sua dimora in Cielo e che di lassù vigila, insinuandogli nel cuore le più dolci speranze e la più tranquilla confidenza per il domani.
Il Padre che è nei Cieli, « che veste il giglio del campo, che nutre l'uccello dell'aria », provvederà anche per lui e per i suoi cari.
I nemici insidiano la sua esistenza, la sua pace, il suo onore?
Lo sgomento s'impossessa dell'anima sua, lo invade una tristezza di morte, poiché egli non ha né la malizia, né i mezzi per salvarsi?
Oh! le parole udite niella sua lontana infanzia, fra i banchi del catechismo, dalle labbra fervorose e buone d'un giovane maestro, che animava i suoi ragazzi ad operare bene, a non temere le persecuzioni degli uomini, poiché, nelle occasioni difficili, avrebbe vegliato su di essi l'amorosa Provvidenza di Dio!
« Non temete: non è egli vero che due passerotti si vendono un asse?
Eppure, uno solo di questi non cascherà, senza il volere del Padre vostro; ora fino i capelli del vostro capo sono tutti numerati! »
Avverrà ch'egli professi la sua religione e non ne viva le norme?
In un'ora di raccoglimento, la « grazia » gli susciterà la visione di « due case avvolte nelle raffiche della bufera » e delle quali si salva solamente quella che aveva fondamenta profonde e scavate nel sasso.
E così si potrebbe continuare per tutte le suggestive parabole, uscite dalla bocca divina di Colui, che conosceva quale forza di vita si sprigionasse da un insegnamento il quale penetrando per le iridescenti luci della fantasia doveva, prima della mente, conquistare le regioni del cuore.
Ah, sì, ch'Egli era un perfetto catechista, un coloritore sovrano di ogni forma di bene! …
Fin che si parla di Cristo, del suo Vangelo, della sua vita santamente operosa, anche i nemici più aperti del cristianesimo, non osano contraddire, anzi, con una sfacciataggine che stupirebbe, se non si coordinasse a un'ignoranza e a una presunzione senza pari, si dichiarano « seguaci » del Maestro divino.
Ho sentito, con le mie orecchie, un comunista che in un comizio, nel contraddittorio contro un nazionalista, si professava fedele discepolo del Cristo, ch'egli ammirava con tutto lo slancio dell'anima sua appassionata per ogni bellezza morale! …
Dunque: l'insegnamento religioso durante i primi attacchi non viene mai demolito nei « principi » che in massima anzi vengono esaltati e riconosciuti perfetti.
È l'arte dei nemici della Chiesa per insinuarsi nell'animo dei giovani e penetrare, con un lievissimo cuneo cui si imprime un movimento di leva, l'edificio delle loro credenze: essi non negano il valore del Vangelo, libro di sapienza, e di amore, ma non possono credere al « Prete » che ha mistificato, dicono essi, lo spirito del Cristo, che ha architettato un sistema filosofico pieno di astruserie e di verità incompatibili e che, nella morale, ha stretto i freni, sorpassando la mite indulgenza del Maestro che amava i peccatori, che li compativa e che perdonava, giustificandole colle esigenze della natura umana, le debolezze, le miserie, che la Chiesa ora con evidente sopruso condanna inesorabilmente.
Questo linguaggio, che in un momento difficile della vita giovanile si farà ascoltare « allettatore e seduttore » all'orecchio incauto, sarà il linguaggio più pericoloso che attenderà il giovane fedele, già istruito fra i banchi del catechismo.
Di qui, la necessità di educare fin dai primi anni nel cuore dei ragazzi l'amore alla Chiesa, alla Madre che ne aduna sotto le sicure sue tende e ne raccoglie sotto il materno suo manto.
Il catechista, in questo suo compito, non deve tanto lavorare di dialettica, quanto di sentimento.
Presentare nella sua « regale santità » la figura del « Pontefice », il « Sacerdote » per eccellenza, il « Vicario di Cristo », il suo « Vero » e « solo » Rappresentante su questa terra; indicarlo come il « Sovrano unico », dinanzi al quale tutti i popoli del mondo si prostrano; il « Santo » che viene eletto per le sue virtù; il « Padre » di tutti gli uomini, che di tutti si occupa e per tutti prega; a Lui vicino i « Cardinali », Principi della Chiesa, gli Arcivescovi, i Vescovi, i Parroci, i Sacerdoti, tutta la Gerarchia ecclesiastica consacrata e unta dal Signore per condurre a salvezza il mondo.
Così inculcare la devozione, il rispetto che si deve al Corpo Sacerdotale in genere, rivestito di poteri spirituali grandissimi e di dignità che trae valore dal Cristo stesso: ingenerare la fede negl'insegnamenti della Chiesa, l'ubbidienza alle sue leggi, il dovere di sovvenirla materialmente nella misura, delle nostre forze; ricordare alla gioventù l'obbligo che abbiamo di pregare per le necessità della Chiesa, per le intenzioni del Sommo Pontefice, per la diffusione del Cristianesimo nel mondo: ecco un apostolato degno del perfetto catechista, il quale altresì non si lascerà sfuggire l'occasione di parlare dei « Seminari » che sono il « vivaio » dei « campi » del Signore, le case da Lui predilette, le modeste dimore dei giovanetti che consacrano a Dio l' alba della loro vita, gli anni della loro innocenza e del loro fervore.
E il catechista che sa in quali strettezze vivano oggi, per circostanze che sarebbe l'ungo e inutile esporre, i Seminari, può trarre occasione per fare verso di essi opera di carità, che è poi di giustizia.
Fra i piccoli discepoli ce ne saranno di poveri e di ricchi: tutti ad ogni modo in condizione di porgere un tenue obolo alla istituzione che deve stare tanto a cuore dei veri fedeli: il valore di tale apostolato non sarà tanto nella modesta elemosina che il catechista raccoglierà e consegnerà al Parroco, il quale a sua volta la passerà al Capo della Diocesi, non sarà tanto nella modesta elemosina, quanto nel richiamo al dovere che ogni buon cristiano ha di soccorrere l'opera più importante della Chiesa.
I giovanetti, fatti uomini, nella vita ricorderanno il soldino offerto con qualche sacrificio durante la lezione di catechismo e in ricorrenze fauste di nozze, di affari andati bene, di nascite desiderate, di pericoli scampati, ecc., si sentiranno spinti a fare un'offerta cospicua all'istituzione, cui li legheranno le care memorie dell'infanzia lontana, la vivida poesia degli anni innocenti e ricchi di santi entusiasmi.
E ciò perché noi portiamo nella vita molte, molte, impressioni del passato più remoto: benedetti coloro che ne sapranno suscitare di sante nell'animo del bambino!
Si aggiunga poi che il richiamo alla santità delle vocazioni sacerdotali potrà produrne fra i piccoli discenti anime aperte al bacio della Grazia e ai suoi doni divini: non trascurabile effetto, poiché ricordiamo tutti che la « messe è molta e gli operai sono pochi »; adoperiamoci dunque e « preghiamo il padrone della Messe che mandi operai per la sua Messe » …
Se il catechista avrà saputo inculcare nell'animo dei bambini e dei giovani l'amore alla Chiesa, di cui distribuisce il verbo con abito che non è quello della classe, si potrà dire che la lotta, è per metà vinta e che il Regno di Dio si avvia con passi da gigante per le sue conquiste gloriose e redentrici.
E gli apostoli del Cristo per loro incoraggiamento e conforto ricordino la promessa dello Spirito Santo: Quelli che erudiranno molti a giustizia, risplenderanno, fulgidi astri, nel fulgore eterno.
Svegli Iddio la sua potenza nel regno della sua Grazia e ci soccorra del suo aiuto, per rendere fecondi tutti i nostri sforzi.
Questo che è il mio augurio, diventi la nostra preghiera.