La Divozione a Gesù Crocifisso nella spiritualità lasalliana |
B153-A1
( Continuazione )
Certo, l'opera del de La Salle - che non ha scritto, come un Quesnel ( 1634-1719 ) -, Méditations sur la Passion de Jésus-Christ, né come il Benvelet ( 1607-1656 ) che ebbe certo fra mano Méditations de la vie ecclesiastique prises sur le modèle de Jésus-Crist souverain preste ( 1646 ) - non appare costantemente ed unicamente rivolta all'esemplarità del Cristo nella vita cristiana e religiosa.
La sua dottrina dà l'impressione d'una maggiore varietà: le realtà umane, ad es., sono difatti così presenti in lui, da far pensare che ne ricerchi un valore provvidenziale come per una salvezza del mondo con il mondo stesso rigenerato nel Cristo.
« Non fate - scrive per i suoi discepoli - veruna differenza tra gli affari propri del vostro stato ed il negozio della vostra eterna salute e perfezione ( Racc., p. 175 ).
Ora, « questi affari » sono la scuola, lo studio, le attività pratiche del maestro carico di ragazzi, di registri, di compiti …
E sa, il Santo, che i nostri pensieri prendono, in qualche modo, qualcosa dell'oggetto su cui si posano di continuo ( Méth., pag. 4 ).
Ciononostante, né potrebbe 'essere altrimenti, è saldamente ancorato a N. S. G. C., e a Gesù Crocifisso.
Si pensi solo a quello che di « mortificante » per la natura, rappresentino i suoi Mezzi per diventare interiori, uno dei trattatelli più compendiati e completi della Raccolta ( pp. 97, 116 ), ordinato esso stesso al comma regolare delle azioni quotidiane: « … si studieranno di non fare, se loro è possibile, cosa alcuna naturalmente, per abitudine, o per qualche umano motivo, ma procureranno di compiere ogni loro azione secondo Dio, mossi dal suo Spirito e con l'intenzione di piacergli … » ( Reg. com., 11,6 ); condizioni cui mira l'orazione del mattino e della sera - ma, in un certo senso di tutta la giornata - con i suoi atti metodici di « unione », di « applicazione », di « invocazione » dello Spirito di Gesù Cristo, riassunti nella preghiera: « … che io non viva più in me e per me, ma in voi e per voi, in maniera che voi viviate ed agiate in me … » ( Méth., p. 86 ) le quali parole, quando risuonino veramente sul « fondo dell'anima » suppongono una voluta adesione, un'operata immedesimazione dei sentimenti, delle disposizioni, dello « spirito » di N. S. G. C., nella sua vita terrena, quella di cui « l'Imitazione di Cristo, ( altro testo di uso quotidiano, per i suoi discepoli ) in cui con il Nuovo Testamento ha potuto dire « … tota crux fuit et martyrium … » ( op. cit., 11, 12, 7 ).
Del resto, san Giovanni Battista de La Salle, « l'uomo più crocifisso del suo secolo » non ha ignorato che « … fundamentum aliud nemo potest ponere praeter quod ( a Deo ) positum est, quod est Christus Jesus » ( 1 Cor 3,11 ).
Può sorprendere, chi accosti i testi delle meditazioni lasalliane senza conoscere l'Explication de la Méthode d'Oraison, la scarna brevità del dettato, l'accenno, anziché la descrizione del « mistero » preso in esame, l'assenza di elaborazione, diremo ( filosofica o discorsiva almeno ) nello studio di una virtù e nella proposizione d'una massima.
Gli è che il Cristo « opera il mistero » ( p. 60 ), « pratica quella determinata virtù » ( pag. 95 ), « insegna quella massima » ( p. 110 ): non occorre l'indugio della memoria, che ricrei fantasticamente il fatto, ne lo sforzo raziocinativo che induca dagli schemi fallosi dell'utile e del danno, il valore della virtù, o cerchi l'argomentazione storica o dialettica per un precetto che non si rifà alla saggezza dell'uomo, sì al comando di Dio.
San Giovanni Battista de La Salle, come tutte le anime che posseggono Dio, è tratto all'interno di sé ed all'interiore delle cose, su quel « fondo dell'anima » dove tutto ciò che esiste non ha valore che per quello che si riferisce a Dio: « Les choses ne sont rien qu'autant qui se rapportent a Dieu, qu'autant que Dieu réside en elles » ( Méth., p. 15 ).
Così nei « misteri della Passione » la sua attenzione è volta a penetrarsi del loro spirito, più che non alla ricostruzione storica od alla fondazione dottrinale ( che in altra sede durante lo studio della religione, cioè, e la « lettura spirituale » hanno già avuto la loro documentazione e la loro concretezza dialettica e sentimentale ).
Uno sguardo alle meditazioni sulla Passione ce ne persuaderà.
Quella del lunedì santo svolge in maniera insolitamente drammatica, le mene dei giudei per far morire Gesù.
« Notate, scrive il santo, l'odio verso di lui e la sua opposizione specialmente ai farisei e pensate a quali eccessi possano giungere l'invidia e la rabbia dei malvagi, dal momento che vediamo costoro apprestarsi a dar morte ad un innocente … ».
Ma contro, anzi, sopra il precipitare degli eventi, sta la calma del Cristo, il quale sa a ch'è sufficiente perché egli sia giudicato colpevole l'aver ripreso i vizi dei giudei », donde le sue disposizioni interiori « dans tous ces dessins de la cabale pharisienne », che si compiano i disegni di Dio.
Quei disegni che sconvolgono ogni calcolo umano, poiché proprio perché i giudei respinsero da sé il Cristo, nota il de La Salle, con riferimento agostiniano ( P. L., vol. XLII, adv. Jud., col. 61 ), si comprarono quell'eccidio e quella distruzione, da cui avevano voluto premunirsi: monito a non presumere della saggezza umana, specie quando appena sembri far a meno di Dio, o peggio, contrastarvi ( Med. XXIII,3 ).
La meditazione seguente, per il martedì santo, tratta dell'abbandono di Gesù Cristo alle sofferenze e alla morte.
Dal fatto che il Cristo s'era più d'una volta sottratto agli ebrei, mentre, all'ora voluta dal Padre, si presenta egli stesso ai suoi nemici, il S. deduce il precetto di « non volere se non quello che Dio vuole, quando e come egli lo vuole ».
La meditazione del mercoledì santo, intorno al desiderio di Gesù Cristo di soffrire e di morire, ripropone le prospettive trinitario dell'Incarnazione, ma poi si serra più dappresso all'uomo cui diede il medesimo desiderio del Cristo, di partecipare ora alle sofferenze di lui, a quel modo ch'egli volle ed ardentemente amò di soffrire per noi.
Il giovedì santo è naturalmente consacrato all'istituzione dell'Eucaristia: il Cristo venendo in noi a deve distruggere intieramente la nostre inclinazioni al peccato », sostituire le sue inclinazioni alle nostre, il suo al nostro spirito …
Nella meditazione per il venerdì santo, il de La Salle quasi si limita ad un'elencazione dei dolori che N. ,S. Gesù Cristo ha sofferto nella sua anima e nel suo corpo, cui appone un semplice: « È questo lo stato in cui hanno tratto, i nostri peccati, Colui che merita ogni sorta di stima, d'onore, di rispetto ».
È un freddo glaciale. Seguita enumerando le persone da parte delle quali ha sofferto: da tutti …
Conclude: « Nous le crucifions de nouveau » anzi « gli procuriamo un'altra specie di morte, che gli è ancor più sensibile e dura di quella prima ». ( Med. XXVIII,3 ).
C'è da fermarsi sgomenti. Qual è questa seconda morte?
È figurata l'espressione di san Paolo: « … rursum crucifigentes sibimetipsis Filium Dei … » ( Eb 6,6 )?
Oppure il peccato arreca veramente un nuovo e più cocente dolore alla Chiesa, in quanto cioè, Lui che non ha abbandonato la nostra umanità ( « … non relinquam vos … » Gv 14,18, « … vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi », Mt 28,19 ), può ancora, in qualche modo, morire nelle membra del suo Corpo Mistico?
E un dinamismo complesso: ogni peccato è in fondo un rifiuto metafisico dell'essere.
L'essere affetto dal peccato non può non gemere ed affliggersi ( « Scimus enim quod omnis creatura ingemiscit … usque adhuc », Rm 8,22 ), e per conseguenza, ogni creatura, ma specie la spirituale, non può esprimersi che nel dolore.
Il dolore comincia la sua storia nell'Eden, dove Adamo ed Eva, perché non erano contenti, peccarono …
Da quel giorno « i torrenti del dolore invasero la terra ».
Ma fu miracolo di Dio far del dolore lo strumento della salvezza del mondo.
Non c'è nulla, di fatto, che Dio abbia divinizzato tanto come il dolore.
Ed il cristiano, con la Chiesa, « adora » la Croce.
La meditazione per il sabato santo ci chiama a considerare « le cinque piaghe di Gesù Cristo ».
Essa è, intanto, polemica, contro gli avversari e gli oppositori del Crocifisso - le piaghe, che il Signore ha conservato anche dopo la sua risurrezione, « sono i segni gloriosi della sua vittoria sull'inferno e sul peccato » ; ma per noi « sono bocche che gridano quanto il Cristo ha sofferto per i nostri peccati ».
Ora c'è un solo ricambio: « se Gesù Cristo ha portato nel suo Corpo i nostri peccati - un corpo ch'egli ha consegnato al dolore e alla morte - questo non fu se non perché noi morissimo al peccato e - poiché da quella morte è la nostra risurrezione - perché non vivessimo, ormai più che della sua giustizia, che « … a vulneribus eius sanati sumus » ( Ger 30,17 ).
Ma non basta : « … Queste piaghe devono indurci … a non vivere secondo le passioni dell'uomo, ma lasciato completamente il peccato, a non cercare che la volontà di Dio, mortificando le nostre passioni, contraddicendo alle nostre inclinazioni troppo umane e naturali … ».
Vi é di più: queste piaghe del Salvatore sono le fonti della nostra salvezza ( « … attingerete con gioia … alle fonti della salvezza … » Is 12,3 ), cui ricorrere « non tanto per fortificare la nostra fede, quanto per penetrare, s'è possibile, fino al Cuore di Gesù » ed attingervi i sentimenti d'una inalterabile cristiana pazienza, d'una intera e perfetta rassegnazione alla volontà di Dio, « per prendervi il coraggio necessario a far ricercare risolutamente le occasioni di patire » ( Med. XXVII,3 ).
Anche la santa Pasqua è veduta nel segno della Croce.
Con la Risurrezione, Gesù Cristo trionfa sulla morte, ma soprattutto la sua vittoria è insigne perché ha distrutto il peccato.
La grazia dunque specifica della Risurrezione « è di configgere il nostro corpo con tutte le sue sregolate passioni alla Croce di Cristo ».
L'avvenuta redenzione « renderà il nostro corpo partecipe fin d'ora della incorruttibilità » liberandolo da ogni peccato, fomite e causa di ogni corruzione, « e l'anima … entrerà in una vita tutta divina ».
Crocifisso venerato a S. Francesco d'Assisi in Torino,
davanti al quale il Fr. Teodoreto ebbe la ispirazione di recarsi da Fra Leopoldo
È la vita della grazia, questa misteriosa trasformazione dell'essere nostro naturale, che il peccato ha reso così opaco, da non poter trarre dalle cose neppure la consapevolezza, nonché la gratitudine, del dono fattogli da Dio.
Certo le cose sono ribelli all'uomo.
Egli usurpa un dominio, che non era concesso che subordinatamente a Dio.
Non c'è nulla nella vita che non ci rechi dolore.
Il bene, come il male. Ma fra tutte le cose, il piacere s'è fatto nostro carnefice, con la sua brama insoddisfatta.
E tra i piaceri, quello peccaminoso s'è fatto l'assassino d'ogni nostra gioia.
Solo il dolore ci salva. Il respiro doloroso dell'umanità, che soffre della mancanza di Dio.
Solo il dolore ci salva; che in qualche modo, s'appende alla Croce di Cristo.
Tutto il resto è perduto. Desolatamente perduto.
San Giovanni Battista de La Salle vuole che ogni giorno, ciascuno di noi sappia d'essere tramite di una divina liturgia per cui il dolore ai struttura nelle coordinate della salvezza del mondo.
Un dolore che è il prezzo della giustizia violata, ma nel tempo stesso sospiro ad una carità perfetta.
Al di là dell'offesa c'è Dio. Al di là del dolore, c'è la gioia di saperci perdonati.
Per questo San Giovanni Battista de La Salle, in un secolo in cui scorrevano a torrenti le parole e le regole « dell'amor puro ed estatico di Dio », non ne ha neppur fatto cenno.
Ai piedi del Crocifisso non c'è che la contrizione.
Vero è ch'essa include l'amore: non l'amore generico e quasi come velleità di amare Iddio e di preferirlo a tutte le cose, ma quello specifico ed attivo, che vuole assolutamente obbedirgli, che tiene i comandamenti come la riprova stretta di questa carità, le virtù cristiane come la testimonianza del suo buon volere ( S. Thom., Sum. theol., SuppL, q. 1-5 ).
Si comprende come la posizione fondamentale dell'uomo di fronte a Dio debba essere la contrizione dei suoi peccati.
Come appena si penetri nel « mistero di colpa » di cui siamo impastati « … non vi si possa pensare, senza sentirsi venir meno, dinnanzi a Dio », « il gemito profondo del cuore sia estremo », l'offerta alla divina giustizia immediata e totale: « … sono pronto, mio Dio, a tutte le pene che vi piacerà farmi soffrire per i miei peccati … », purché « non segua l'abbandono di Dio, l'allontanamento del suo Spirito … » ( p. 52 ).
Vero è che « ciò non può essere concepito che per grazia » ( p. 81 ), « una grazia agente ed operante » cui l'uomo si propone di cooperare con tutte le sue forze ( p. 85 ) e ch'è anche la sola che permetta di trarre il convincimento « che aprire davanti a Dio, il nostro peccato » vederlo, in qualche modo, nella luce stessa in cui egli lo vede « anziché attrarre su di noi il suo sdegno, attrae invece la sua misericordia » donde la « fiducia del perdono per i meriti di G. C. « quelli che egli ha meritati con la sua Passione e Morte … » ( p. 55 ).
Solo così, l'anima « può stare alla Presenza di Dio, mutata da quello ch'essa era » distrutto il peccato, « o coperto almeno » ( loc. cit. ) perché neppure i meriti della Passione di Cristo distruggono in noi il peccato, senza che noi soddisfaciamo pienamente alla pena loro dovuta e che Dio esige da noi ( ibidem ).
In questa disposizione, l'anima si penetra dello « spirito dei misteri di Cristo », cioè viene come permeata della grazia che ci dispone agli atti delle virtù « che ci spinge ad umiliarci senz'aver vergogna di servire gli altri, ad es. », non alla maniera d'un filosofo, che si determini all'azione per i suoi propri lumi, ma per Io spirito di Cristo, che si è fatto il principio attivo e dirigente della nostra vita morale, di cui costituisce tutta la sostanza ( p. 28 ) e ne esemplifica tutte le forme ( p. 104 ).
La contrizione pone anche fondamentalmente la stessa ragione della nostra crocifissione che già fu in N. S. : il peccato conficcò alla Croce Gesù Cristo; il peccato porterà noi a crocifiggerci, con questo però, che il Salvatore fu solo « e la sua tristezza fu tanta che più non poteva essere senza morire » ( Med. XXVII,1 ) mentre noi portiamo la nostra croce con lui, per lui, in lui ( Med. CLII,1 ).
Il dolore non perde con ciò l'asprezza del patire, ma assume quel volto sereno, quella calma consapevole ed invidiata, quella libertà dell'anima ch'è desiderio e speranza della sofferenza ( Med. CLXXXXIII,2 ) certezza della via del cielo ( Med. CXXIV,1 ) sicurezza del riscatto delle cose della terra ( Med. CXXXIV,2 ), che conosce l'utilità della stessa persecuzione e sul piano umano e su quello divino ( Med. XLI,1 ), dell'austerità, come lievito della vita ( Med. CV,2 ), il crisma d'elevatezza e di nobiltà conferito dall'amore alla sofferenza ( Med. CXLV,1 ), e da, soprattutto un senso non illusorio d'essere unito con il Redentore ( Med. CLXXVI,2 ), d'avere, anche quaggiù, il premio d'un apostolato efficiente, guarentito appunto dalla incomprensione, dal disprezzo, dall'odio dei nemici, dall'ingratitudine di quelli stessi per cui spendi la tua vita ( Med. CXX,3; passim ).
« È la ricompensa, degli uomini apostolici, in questa vita, quella d'essere perseguitati e di morire per la difesa ed il sostegno della fede ch'essi hanno annunziata … ( Med. CLXV,3 ).
« Se voi vi applicate convenientemente al vostro ministero, se vi lavorate utilmente, con buon successo, cioè, alla salvezza delle anime, che vi sono affidate, la persecuzione, sia da parte dei demoni, sia dalla parte del mondo, sarà sempre la vostra sorte … » ( Med. CLXXXII,2 ).
« Aspettatevi di soffrir ingiurie, oltraggi, calunnie per tutto il bene che avrete cercato di fare al prossimo: è la ricompensa promessa da Dio in questo mondo e spesso la sola … » ( Med. CXX,3 ).
« Stimatevi felici e ben ripagati quando sarete saziati d'obbrobri, di soffrir ogni sorta d'oltraggi per amore di Gesù Cristo : se è un piacere per i libertini - realistico sempre il Santo, anche ai culmini della sua spiritualità - di darvi pena, per voi sia di grande soddisfazione - un contrapasso eroico, ma necessario - il sopportarla … » ( Med. CXLV,3 ).
« … Ne il vostro zelo può essere più sicuro né più solido, di quando s'esercita fra grandi sofferenze e tra le più rudi persecuzioni … » ( Med. CXL,3 ).
N. S. che santifica nella verità, i suoi adunati nel suo nome, nella preghiera, li santifica pure nell'attività poiché « … lo Spirito di Gesù Cristo che deve animare le nostre azioni, spirito di vita, fa sì ch'esse non siano in noi azioni morte, … ma secondo il nostro stato e professione … » ( Méth. pag. 12 ).
Qualcuno ha voluto sintetizzare tutta la spiritualità lasalliana, intorno alla pregnante espressione « d'esprit de martyre » ( cfr. Riv. Las., voi. XXIII, p. 60 ss. ).
Più semplicemente, e senza l'aureola del martirio: « Noi, che siamo nati nel peccato e che nel peccato siamo vissuti, dobbiamo renderci conformi a Gesù Cristo, nostra vittima e soffrire con Lui se vogliamo … distruggere in noi il peccato » ( Med. CLII,1 ).
D'altra parte, le cose non sono nulla « qu'autant quelles sont pénétrées de Dieu », attendono dall'uomo la loro riconsacrazione e il loro riscatto, che le riporti « selon ce qu'elles sont en Dieu »: l'umiliazione, la confusione, la contrizione di tutto ciò che « perdiamo », di quello non solo ch'è perduto per noi, ma che ancora perdiamo per gli altri, è altra spinta ad imprimere quel solo segno di salvezza che ci resta, il nostro dolore, la nostra fatica, il nostro zelo su di esse, ad aprirle a Dio, attraverso la via della Croce, perché « siano », compiano cioè la funzione della redenzione dell'uomo, redenzione che solo il Cristo compie « autant que Dieu réside en elles » ( Méth., p . 14 ) donde scaturiscono le dottrine ascetico-mistiche della liberazione spirituale, così ricche e feconde, del lasallianesimo.
Ma il primo suo aspetto è quello della Croce saldamente piantata sul Golgota.
Sulla terra, cioè. Sulla quale ancora scorre il sangue. Calpestato o amato.
Salvezza, comunque, nel dolore e nella crocifissione.
Ultima nota, ma che potrà, crediamo, assumersi a riprova caratteristica, dell'aspetto saliente d'una spiritualità: la prima creatura « spirituale » generatasi dal gran tronco lasalliano, fu l'Istituto Secolare del Santissimo Crocifisso, dovuto al Fratel Teodoreto ( 1871-1954 ) in quella Torino, da cui il vescovo spagnolo Claudio, nell'ottavo secolo, aveva ordinato la distruzione di tutte le croci ed ironizzato sul loro culto, al cui Apologeticum atque rescriptum … ( P. L., vol. CIV, coli. 615-928 ), s'appellavano calvinisti dell'epoca lasalliana e per essi quel Claude Jean ( 1619-1687 ), famoso per le sue controversie con Bossuet e con Nicok.
Fr. Emiliano