La parola del Papa |
B197-A2
Nell'udienza generale del 9 luglio u.s. il Papa ha richiamato il dovere di tutti gli uomini di tendere alla perfezione, secondo l'esortazione di Gesù stesso: « siate perfetti come il Padre vostro che è nei cieli » e ha identificato nella santità la vera perfezione dell'uomo.
L'esortazione alla santità trasuda, si può dire, da tutte le pagine della Sacra Scrittura, fin dal Vecchio Testamento: « Siate santi perché io sono santo » ( Lv 19,2 ).
Iddio non ha mai chiesto altra cosa agli uomini ed i santi sono effettivamente « una turba immensa che nessuno può contare ».
Ma c'è anche un'altra turba, non meno grande che ignora ed avversa la santità e c'è purtroppo una mentalità assai diffusa che non ha la minima idea del dovere di tendervi e che pretende quasi di giustificare i propri difetti dicendo: non sono mica un santo!
A tutti quanti presentiamo il discorso del Papa augurando che la sua lettura sia non solo una luce illuminante, ma una grazia efficace.
Particolarmente a coloro che professano di tendere alla perfezione con l'osservanza dei consigli evangelici e la cui vita è vero fallimento, nonostante le egregie cose cui possono attendere, se non coltivano un serio impegno per la loro santificazione personale.
« Chi accetta d'essere positivamente cristiano avverte, ad un dato momento di essere preso da una sempre più stringente esigenza.
Qual è questa esigenza? È la perfezione dell'uomo.
Notiamo subito che se il discorso riguarda la perfezione dell'uomo per se stessa, esso non è più respinto, ma accolto dalla naturale attrattiva della psicologia umana.
Se domandate ad un bambino chi e che cosa voglia essere nella vita, egli risponderà ingenuamente, ma francamente, proponendo un modello umano reputato eccellente e singolare; e dirà di voler essere un eroe, un astronauta, un campione sportivo, un ricco senza misura, un sapiente che supera tutti, un essere bello e felice, come un Adone classico, un tipo superiore insomma, un « superuomo »: l'ideale del superuomo veglia in fondo alla fantasia dell'« uomo che cresce ».
Cioè l'ideale della perfezione umana è molteplice, e non sempre rappresenta la vera interpretazione della possibile grandezza dell'uomo.
Anzi a questo riguardo notiamo che uno dei crocicchi, dove la moda del pensiero sceglie la sua via è proprio questo; si cerca l'umanesimo superlativo, quello a cui deve improntarsi la filosofia pratica della vita moderna, la perfezione umana da cercare e da preferire.
Noi, seguaci di Cristo, ci domandiamo: qual è la vera perfezione, quella che noi dobbiamo preferire?
Giunge subito a noi una di quelle parole, ad tempo sublimi e sconcertanti, che sono caratteristiche del Vangelo.
Dice infatti Gesù: « Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre, che sta nei cieli ».
Ci sentiamo esaltati: avere Dio come modello di perfezione!
Quale elevazione dell'uomo, quale stimolo ad essere simili nella realtà a quel Dio, del quale è impressa la ineffabile somiglianza sul nostro volto!
Ma poi subito un certo scoraggiamento ci deprime: come, come imitare Dio, tanto superiore, tanto misterioso?
Ecco, Fratelli e Figli carissimi, l'ostacolo da superare: non dobbiamo temere; è Cristo che ci propone questa vera statura dell'uomo, questo autentico tipo di superuomo; anzi è la Chiesa che ha tanta perfezione ci invita e che ci ricorda essere non facoltativa, ma obbligatoria, per ogni seguace di Cristo tale perfezione: ricordate il Concilio!
E sappiate che l'Anno Santo fa proprio questo programma evangelico, esortandoci a scoprire nel rinnovamento della nostra vita religiosa il grande impegno, la grande energia, la grande speranza della nostra perfezione umana e cristiana.
Ha un nome, noi ci domandiamo, questa paradossale perfezione?
Sì, ha un nome; e voi lo conoscete; e si chiama santità.
Santità, altro termine oceanico, che più incute a molti spavento che non attrattiva.
Quanti si rifugiano nella facile professione: io non sono un santo! per giustificare la propria mediocrità spirituale e morale, e per sottrarsi all'obbligo d'una professione cristiana integra e coerente.
Ma cotesto non vale per noi che vogliamo essere fedeli sinceri, e non soltanto nominali ed ipocriti.
Se non che la dottrina sulla santità è immensa!
Come è mai possibile applicare alla nostra vita vissuta una formula talmente impegnativa, e indubbiamente superiore alle nostre possibilità?
Vediamo. Prima di tutto non è vero che la santità sia impossibile; leggete le vite dei Santi, e vedrete come essi per primi abbiano sperimentato le nostre stesse difficoltà, le nostre debolezze; e come siano riusciti, miracoli e carismi straordinari a parte, a meritarsi il titolo di Santi.
Secondo: non a tutti i cristiani è fatto obbligo di impegnarsi nella esperienza di quei fenomeni straordinari, che caratterizzano alcune eccezionali figure di uomini e di donne, tra le tante che la Chiesa innalza agli onori degli altari.
Esiste una santità, che possiamo dire ordinaria mentre anch'essa è tutta tessuta in un duplice disegno straordinario, ma, per sé, a tutti accessibile.
La santità infatti, di cui ora parliamo, risulta da due coefficienti, disuguali per natura e per efficacia, ma concorrenti e disponibili ad ogni buon cristiano fedele alla propria vocazione alla santità.
Voi li conoscete questi due coefficienti, donde risulta la santità, che noi a tutti raccomandiamo.
Il primo è la grazia, lo stato di grazia, la vita di grazia, che la fede ed i sacramenti ci procurano, e che la preghiera alimenta ed esprime.
I primi cristiani, battezzati e in tal modo inseriti nella Chiesa, si chiamavano comunemente, per antonomasia, « santi ».
Santi voleva dire cristiani viventi di quel principio vitale nuovo e divino, ch'è la grazia, l'azione cioè dello Spirito Santo, l'inabitazione di Dio, Uno e Trino, nell'anima santa ( Gv 14,23 ).
Questo ineffabile rapporto soprannaturale della nostra anima col Dio vivo, col Dio-Amore, è la perfezione più alta, la fortuna più vera, la condizione più felice e indispensabile, a cui l'uomo possa e debba aspirare.
Vivere sempre in grazia di Dio è il proposito che ciascuno deve fare, e per sempre, se davvero ha celebrato in sé l'Anno Santo.
Il secondo coefficiente è la nostra volontà, cioè la nostra personale vita morale, alla quale la nostra religione non impone solo precetti e minaccia castighi, ma infonde lumi, energie, conforti, carismi, che rendono, in certa misura, facile e possibile una stupenda, anche se nascosta, perfezione umana.
Volontà: la santità, derivante dall'uomo, esige questo primissimo impegno: bisogna volerla.
Volere vuol dire amare.
L'amore umano, animato da quello divino, cioè la carità, possiede il segreto della perfezione, e riassume tutto il dovere dell'uomo e tutta l'onestà naturale; questo è il sommo e primo precetto di Cristo: amare il prossimo ( Mt 22,38; S. Th. II-II, 184,2 ).
Questa è la santità.
Quella che il Vangelo ci predica e che esso rende possibile.
Quella che sola salva l'uomo, edifica la Chiesa, rinnova il mondo ».