Il Papa Giovanni Paolo II a Torino |
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La cronaca dell'intensa giornata del pellegrinaggio apostolico di Papa Giovanni Paolo II a Torino il 13 aprile è ormai nota a tutti.
Per i lettori del nostro Bollettino pensiamo di fare cosa gradita e utile riportando dai discorsi del Papa alcuni brani che più strettamente si riferiscono alla spiritualità e all'attività apostolica dell'Unione Catechisti.
Essi sono: Gesù Crocifisso-Risorto e Maria Santissima.
E inoltre: il lavoro, la famiglia, i giovani, i poveri.
Il tema della sofferenza è trattato nella lettera della Crociata della Sofferenza riportata in questo stesso numero.
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, essendo gli Apostoli dietro le porte chiuse « per timore dei Giudei », venne a loro Gesù.
Entrò, si fermò in mezzo a loro e disse: « Pace a Voi » ( Gv 20,19 ).
Allora Egli vive! La tomba vuota non significava niente altro, se non che Egli era risorto, come aveva predetto.
Vive - ed ecco viene a loro, nello stesso luogo che aveva lasciato insieme con loro la sera del giovedì dopo la cena pasquale.
Vive - nel suo proprio corpo.
Infatti, dopo averli salutati, « mostrò loro le mani e il costato » ( Gv 20,20 ).
Perché? Certamente perché vi erano rimasti i segni della crocifissione.
È quindi lo stesso Cristo che fu crocifisso e morì sulla croce - e adesso vive.
È Cristo Risorto. La mattina dello stesso giorno non si è lasciato trattenere da Maddalena; e adesso « mostra loro - agli apostoli - le mani e il costato ».
« E i discepoli gioivano al vedere il Signore » ( Gv 20,20 ).
Gioivano!
Questa parola è semplice e insieme profonda.
Non parla direttamente della profondità e della potenza della gioia, di cui i testimoni del Risorto sono diventati partecipi - ma ci permette di intuire.
Se il loro timore aveva le radici più profonde nel fatto della morte del Figlio di Dio - allora la gioia dell'incontro con il Risorto doveva essere sulla misura di quel timore.
Doveva essere più grande del timore.
Questa gioia era tanto più grande, in quanto, umanamente, era più difficile da accettare.
È questa la gioia degli Apostoli congregati nel cenacolo di Gerusalemme.
È la gioia pasquale della Chiesa, che in questo cenacolo ha il suo inizio.
Essa ha il suo inizio nella tomba deserta sotto il Golgota - e nei cuori di quegli uomini semplici, che « la sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato » vedono il Risorto e sentono dalla Sua bocca il saluto « Pace a Voi! ».
La Chiesa canta in questo tempo: « Regina caeli, laetare, alleluia! »; ossia, in un certo senso, invita Maria ad una specialissima partecipazione alla gioia della Risurrezione di Cristo.
Infatti, Maria che era stata immersa nel dolore più profondo durante la passione, l'agonia e la morte in Croce del Suo divin Figlio Gesù, si sentì « consolata » ben più di tutti gli altri dalla sua gloriosa Risurrezione.
Immenso e indicibile fu il suo dolore; ma poi immensa fu pure la sua consolazione!
La pienezza della gioia e della consolazione scorre da tutto il Mistero Pasquale per il fatto che il Cristo crocifisso e morto per noi, è poi risuscitato e ha vinto la morte come aveva predetto, e tale pienezza si trova particolarmente nel cuore di Maria, ed è così sovrabbondante da diventare la fonte della consolazione per tutti coloro che a Lei si rivolgono.
Si tratta di una consolazione nel più profondo significato della parola: essa restituisce la forza allo spirito umano, illumina, conforta e rafforza la fede e la trasforma in fiducioso abbandono alla Provvidenza e in letizia spirituale.
Maria Santissima continua ad essere l'amorevole consolatrice nei tanti dolori fisici e morali che affliggono e tormentano l'umanità.
Essa conosce i nostri dolori e le nostre pene, perché anche Lei ha sofferto, da Betlemme al Calvario: « E anche a te una spada trafiggerà l'anima » ( Lc 2,35 ).
Maria è nostra Madre Spirituale, e la madre comprende sempre i propri figli e li consola nei loro affanni.
Ella poi ha avuto da Gesù sulla Croce quella specifica missione di amarci, e solo e sempre amarci per salvarci! Maria ci consola soprattutto additandoci il Crocifisso e il Paradiso.
Il lavoro umano è una realtà che esalta e celebra le capacità creative dell'uomo.
È il suo retaggio, fin dall'inizio.
Il libro della Genesi presenta l'uomo come incaricato direttamente da Dio di far progredire la terra e di dominare su tutte le creature inferiori ( Gen 1,28 ).
Il lavoro è anche la dimensione fondamentale dell'esistenza dell'uomo sulla terra.
Per l'uomo il lavoro non ha soltanto un significato tecnico, ma anche etico.
Si può dire che l'uomo « assoggetta » a sé la terra quando egli stesso, col suo comportamento, ne diventi signore, non schiavo, ed anche signore e non schiavo del lavoro.
Il lavoro deve aiutare l'uomo a diventare migliore, spiritualmente più maturo, più responsabile, perché egli possa realizzare la sua vocazione sulla terra ».
Il lavoro deve aiutare l'uomo ad essere più uomo.
Il lavoro, pur nelle sue componenti di fatica, di monotonia, di costrizione - nelle quali sono avvertibili le conseguenze del peccato originale - è stato dato all'uomo da Dio, prima del peccato, proprio come strumento di elevazione e di perfezionamento del cosmo, come completamento della personalità, come collaborazione all'opera creatrice di Dio.
La fatica, ad esso connessa, associa l'uomo al valore della Croce redentrice del Cristo; e, nella visuale totalizzante del Vangelo, diventa strumento per la socialità tra fratelli, per la mutua collaborazione, per il reciproco perfezionamento, già nel piano della vita terrestre: in una parola, diventa espressione di carità, nell'unico amore del Cristo, che deve sospingerci a cercare gli uni il bene degli altri, e portare gli uni il peso degli altri.
La realtà positiva del lavoro e del mondo operaio sta qui.
È grande.
È bella.
Perciò il lavoro non sia mai a scapito dell'uomo.
Da tante parti ormai si riconosce che il progresso tecnico non si è accompagnato con un adeguato rispetto dell'uomo.
La tecnica, pur mirabile nelle sue continue conquiste, ha spesso impoverito l'uomo nel suo umano, privandolo della sua dimensione interiore, spirituale, soffocando in lui il senso dei valori veri, superiori.
Occorre ridare il primato allo spirituale!
La Chiesa invita a conservare la giusta gerarchia dei valori.
Il celebre binomio benedettino « Ora et labora » sia per voi, miei fratelli e sorelle, fonte inscindibile di vera saggezza, di sicuro equilibrio, di umana perfezione: la preghiera dia ali al lavoro, purifichi le intenzioni, lo difenda dai pericoli dell'ottusità e della trasandatezza; e il lavoro faccia riscoprire, dopo la fatica, la forza tonificante dell'incontro con Dio, nel quale l'uomo ritrova tutta la sua vera grande statura.
Che il lavoro non disgreghi la famiglia!
Il pensiero non può non andare a quella Sacra Famiglia di Nazareth, Famiglia Sacra nella quale il Verbo, Figlio di Dio e di Maria, si esercitò nel lavoro umano, sotto la guida vigile e affettuosa di colui che fungeva da padre.
San Giuseppe - patrono dei lavoratori! -, sotto gli occhi della Madre Vergine Immacolata, anch'essa impegnata nelle umilissime incombenze che le arretrate condizioni del tempo lasciavano alle donne.
Il Cristo bambino fu accarezzato da ruvide mani di fabbro!
Ed è stato anch'Egli operaio, in un mistero di abbassamento che riempie l'animo di stupore infinito.
Come non guardare a quella Famiglia, nella quale la Chiesa e la sua Liturgia vedono la protettrice di tutte le famiglie del mondo, specie delle più umili, delle più nascoste, di quelle che guadagnano nel sudore e nella fatica senza nome il pane quotidiano?
Sia essa, a custodire infatti i grandi valori del vostro attaccamento, del vostro amore, della vostra stima alla famiglia.
Questa è non solo la « prima e vitale cellula della società » ma soprattutto « santuario domestico della Chiesa », addirittura « Chiesa domestica » come ci dice Lumen Gentium; così l'ha definita il Concilio; e così rimanga per voi, fucina di virtù, scuola di sapienza e di pazienza, primo santuario ove si impara ad amar Dio e a conoscere il Cristo, forte difesa contro l'edonismo e l'individualismo, calda e amorevole apertura agli altri.
Non sia, al contrario, un deserto d'anime, un casuale incontro di vie che divergono, un albergo o - Dio non voglia - un bivacco per prendere i pasti o il riposo, e poi lasciarsi ciascuno per la propria sorte.
No! Io affido ciascuna delle vostre famiglie a Gesù, a Maria, a Giuseppe, affinché, col loro sostegno, possiate custodire sempre quei valori che, nati e conservati appunto nelle vostre famiglie, hanno reso stabile, anzi invidiabile, la civile fioritura della vostra città!
Che il lavoro non degradi la gioventù, non la defraudi dei suoi tesori più autentici: dell'entusiasmo, del fervore, dell'impegno per un domani più giusto e più rispettoso dell'uomo.
L'entrata dei giovani nella fabbrica corrisponde talvolta a un processo, subdolamente facilitato dalla mentalità permissiva predominante, di perversione ideologica, quando non morale, di comportamento.
Sono devastazioni le cui ferite non si rimargineranno più, nei singoli come nella società, se non a fatica o col contributo delle persone e delle istituzioni più volenterose.
Torino è stata all'avanguardia della formazione professionale della gioventù, che è andata di pari passo con quella religiosa e morale: Che Torino prosegua su questa via! Resta sempre ancora molto da fare!
Nelle grandi città torme di ragazzi, di giovani, restano spesso senza assistenza per le condizioni di lavoro dei genitori, per le carenze di strutture sociali, e, forse, per una mancanza di adeguato interesse.
Quanti di essi sapranno resistere alle facili tentazioni della droga, alle forti seduzioni dell'amoralità e immoralità sfacciatamente esibita, ai tentacoli terribili della violenza e del terrorismo?
Giovani, non lasciatevi plagiare! Siate generosi e buoni!
La società, la Chiesa, la Patria, hanno bisogno di voi: « quid hic statis tota die otiosi? Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? », vi ripeterò con le parole del Vangelo ( Mt 20,6 ).
Opere sociali e di animazione giovanile, missionaria, culturale, sportiva, attendono anche il vostro contributo!
La Chiesa attende! La società attende. Cristo attende!
Non deludete questa nostra comune speranza! Non deludete questa mia speranza!
Come la civiltà sarebbe depauperata e monca senza la presenza della componente religiosa, della componente cristiana, così la vita del singolo uomo e, segnatamente, del giovane, sarebbe incompleta e carente senza una forte esperienza di fede, attinta da un contatto diretto con Cristo Crocifisso e Risorto.
Il Cristianesimo, la fede, credetemi giovani, da completezza e coronamento alla vostra personalità; esso, incentrato com'è nella figura di Cristo, vero Dio e vero Uomo e, come tale, redentore dell'uomo, vi apre alla considerazione, alla comprensione, al gusto di tutto ciò che di grande, di bello e di nobile è nel mondo e nell'uomo.
L'adesione a Cristo non comprime, ma dilata ed esalta le « spinte » che la sapienza di Dio Creatore ha deposto nelle vostre anime.
L'adesione a Cristo non mortifica, ma irrobustisce il senso del dovere morale, dandovi il desiderio e la soddisfazione di impegnarvi per « qualcosa che veramente vale », e premunendo lo spirito contro le tendenze, oggi non di rado affioranti nell'animo giovanile, a « lasciarsi andare » o nella direzione di una irresponsabile e neghittosa abdicazione, o nella via della violenza cieca ed omicida.
Soprattutto - ricordatelo sempre - l'adesione a Cristo sarà fonte di una gioia intima, di una gioia autentica, di una gioia intima.
Vi ripeto: l'adesione a Cristo sarà fonte di una gioia che il mondo non può dare e che - come Egli stesso preannunciò ai suoi discepoli - nessuno potrà mai togliervi.
Il lavoro non faccia poi dimenticare i poveri, i sofferenti.
La carità del Cottolengo ha creato qui a Torino la cittadella della carità: e ancora vi lodo per l'appoggio che sapete dare a quella istituzione.
Buon segno, questo!
Indica che, pur nell'acuirsi dei contrasti sociali, nell'incrociarsi delle tensioni di vario genere, il gran cuore di Torino non dimentica chi soffre.
Ma la sofferenza è in mezzo a noi, accanto a noi, negli stessi edifici ove abitiamo, forse nascosta da un velo di riserbo che si vergogna a chiedere.
Occorre che la fatica quotidiana non solo non ottunda l'occhio spirituale per scoprire le pene e le privazioni altrui, ma anzi lo acuisca, accresca la sensibilità, susciti la « simpatia », cioè il « soffrire con altro ».
Continui Torino, o torni, continui a essere la città della carità!
Perché non possiamo trovare una parola più piena che esprima il Cristianesimo che la parola carità.