La fede annunciata: dialogo, missionarietà e …

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L'annuncio della fede è essenziale per ogni fedele cristiano di oggi, per trasmetterla nella cultura secolarizzata del nostro tempo.

Trarremo lo spunto dalla guarigione miracolosa narrata negli Atti degli Apostoli, di un uomo storpio dalla nascita, che mendicava presso la porta " bella" del tempio di Gerusalemme: "Pietro fissò lo sguardo su di lui e disse: 'guarda verso di noi … non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Nazzareno, cammina!" ( At 3,1-12 ).

La cultura contemporanea

In quel pover'uomo è facile vedere raffigurata l'umanità, bisognosa di aiuto, inquieta ed incerta, anche oggi, come una seria analisi del presente suggerisce.

La realtà del nostro tempo risulta estremamente articolata e complessa, evitando tuttavia di banalizzare le cose è facile individuare nel mondo di oggi clamorosi aspetti di palese contraddizione, specie in relazione ai problemi fondamentali dell'uomo, non escluso l'aspetto religioso insito nella stessa natura umana.

Si esalta la qualità della vita umana e del pianeta, ma al tempo stesso la si affossa con logiche di morte ispirate al peggiore egoismo edonistico; si vorrebbe estendere la durata della vita anche ricorrendo all'accanimento terapeutico, ma la si sopprime volontariamente sul nascere o quando diventa gravosa per la comunità.

Si percepisce, specialmente negli strati più umili della popolazione, la presenza misteriosa del trascendente, non senza devianze sorprendenti nell'ambito della magia e delle sette, ma si vive come se Dio non ci fosse, plaudendo ad una folle esaltazione delle creature, libere da ogni normativa.

Il Magistero della Chiesa evidenzia la crescita dell'indifferenza religiosa, l'abbandono della vera fede per altre forme evanescenti di religiosità, la caduta della pratica cristiana, il ritorno a forme di politeismo precristiano che divinizzano, come accadeva nell'antica religiosità pagana, il denaro, il sesso e il potere, senza ignorare la presenza di ostilità e persecuzioni nei confronti della Chiesa.

Si potrebbe continuare a lungo in queste considerazioni, ma la figura paradigmatica dello storpio guarito dagli Apostoli resta l'immagine di un'umanità in certo senso paga dei successi ottenuti, ma inquieta ed insicura, l'umanità, come sottolinea Papa Giovanni Paolo II ( cfr. Lett. Enc. Dives in misericordia ) "che si vede rivolgere contro le energie che lei stessa ha saputo suscitare e che non è più in grado di dominare", richiamando senza citarlo l' apologo dell'apprendista stregone.

L'attesa dell'umanità e il dono della fede.

Lo storpio si rivolge agli Apostoli convinto di poter ricevere qualcosa: una elemosina, un aiuto.

Ma essi anzitutto fissano lo sguardo su di lui con amore, e chiedono la sua fiduciosa collaborazione per ricevere quanto possono dargli, non oro né argento o un qualsiasi aiuto materiale, ma la guarigione nel nome di Cristo.

Qui sorge spontanea una correlazione con il sorprendente atteggiarsi del nostro Papa Francesco, che invita i giovani cresimandi riuniti in piazza S. Pietro il 27 aprile 2013, ad "andare contro corrente", aggiungendo che per questo "ci vuole coraggio".

E di conseguenza sorge una domanda: avremo noi altrettanta libertà interiore da poter dire all'umanità: "guarda a noi, che siamo la Chiesa di Cristo"?

La guarigione, ecco quello che la Chiesa può dare all'umanità dilaniata di oggi e di sempre.

Ecco l'annuncio della fede: Gesù Cristo, che opera tale guarigione.

Il dono della guarigione spirituale suppone la fede, ed è quanto la Chiesa deve annunciare e può offrire in maniera esclusiva all'umanità.

L'annuncio della fede è infatti diventato negli ultimi decenni il tema costante e preminente nelle preoccupazioni della Chiesa, e attorno a tale tema si sono consolidate tre grandi idee: del dialogo, della missionarietà e della nuova evangelizzazione.

La catechesi: annuncio della fede

Il dialogo

Senza dubbio il Pontefice che, dopo le ispirate intuizioni di Papa Giovanni XXIII, ( cfr. Lettere Encicliche: Mater et magistra e Pacem in terris ) ha fatto del dialogo un'idea centrale della pastorale della Chiesa fu Paolo VI ( cfr. Lett. Enc. Ecclesiam Suam, 6 agosto 1964, festa liturgica della Trasfigurazione del Signore, molto cara al compianto Pontefice, che in quello stesso giorno del 1978 entrava nel gaudio della vita eterna! ).

Il tema del dialogo contenuto nella Enciclica Ecclesiam Suam, richiama immediatamente il problema dell'annuncio della fede, sul quale stiamo riflettendo.

La premessa inderogabile per Paolo VI, che fa del dialogo un concetto "teologico" e non soltanto un'espressione di tolleranza in senso illuministico, o di buona educazione, che consenta a due persone che s'incontrano di parlare entrambe e di ascoltarsi vicendevolmente, è l'origine trascendente del dialogo, cioè a dire che il primo dialogo è quello dell'uomo con Dio. ( n. 41 ).

Altro grande principio da cui bisogna partire, è che il dialogo deve sempre avvenire in funzione della salvezza: "il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all'impegno verso la fede" ( n. 51 ).

Indubbiamente il pensiero di Paolo VI si discosta da quello del filosofo laicista del dialogo Guido Calogero, secondo il quale dialogare significa mettersi in discussione di fronte alla propria fede.

Soltanto così sarebbe possibile dialogare, rinunciando ad ogni certezza.

Paolo VI lo esclude, asserendo che elementi essenziali del dialogo sono la sua origine trascendente, nel pieno rispetto del progetto di salvezza del Creatore, evitando ogni cedimento di fronte agli impegni della fede.

La Chiesa, come afferma il Vaticano II, realizza il dialogo attraverso a tre momenti fondamentali.

Anzitutto si interroga sul disegno di Dio su ciascuno e sulla Chiesa.

Si deve sempre partire dalla volontà di Dio: il dialogo ha origine trascendente, non esistenziale o antropologica.

Tale era per Paolo VI il significato del Concilio stesso, che ebbe il gravoso compito di portare a termine, succedendo a Papa Giovanni XXIII, che l'aveva indetto.

Il secondo momento è la conversione, necessaria dopo aver scrutato la volontà di Dio, che non è mai pienamente e adeguatamente realizzata in questo mondo.

In altri termini è il lasciarsi mettere in discussione, ma in relazione alla verità del pensiero di Dio, e non quanto ai contenuti della fede, in tal senso la Chiesa deve continuamente aggiornarsi ( ecclesia semper reformanda! ).

Quando si parla di annuncio della fede occorre sempre partire dalla meditazione del Mistero di Dio e dalla nostra continua conversione ad esso, senza queste due premesse ineludibili non c'è dialogo di salvezza con il mondo né annuncio del Vangelo, "mancando di rispetto verso la nostra fede" scrive Paolo VI.

Dialogo nella Chiesa e con il mondo

Nella visione di Paolo VI la tipologia del dialogo pone al centro la Chiesa che dialoga con tutto ciò che è umano, immaginando una serie di cerchi concentrici: il primo è quello dei cristiani non cattolici, poi quello dei credenti in Dio non cristiani, finalmente con tutti gli uomini, ivi compresi coloro che si professano senza Dio.

Resta comunque fondamentale il dialogo tra fratelli nella stessa fede ( intraecclesiale ) per rendere efficace, positivo e credibile il dialogo con gli altri.

Nel recente passato non sono mancate tensioni e problemi all'interno della Chiesa, ad esempio tra gruppi, movimenti e associazioni, da alcuni fedeli considerati come ostacoli all'unità della Chiesa, da altri come una ricchezza che lo Spirito Santo suggerisce e fa sorgere ( Ratzinger ).

Il Magistero ha offerto validi criteri di discernimento a tal proposito ( cfr. Esortazione Ap. Christifideles Laici ), sui quali non ci soffermeremo, attesa anche la provvisorietà storica di queste esperienze, certamente positive, ma di cui lo Spirito Santo non ha bisogno, potendo "suscitare i suoi figli anche dalle pietre!" ( Mt 3,9 ).

L'appartenenza ad un gruppo non è lo scopo della vita cristiana, ma che i fedeli incontrino Gesù Cristo e si convertano a Lui.

Anche in queste cose occorre un senso di maturità umana e di comprensione, per sostenerci a vicenda nel combattimento della fede.

La missionarietà

Il concetto di missionarietà è antico quanto la Chiesa, ma il Vaticano II ( cfr. Lumen gentium, e Ad gentes, n. 5 ) l'ha presentata non tanto come un compito o una caratteristica della Chiesa, quanto una sua proprietà intrinseca: la Chiesa è sempre missionaria e dovunque, connessa com'è ad un impianto teologico "trinitario".

In quest'ottica la missionarietà si è poi arricchita con l'Enciclica di Giovanni Paolo II Redemptoris Missio, dove si affronta la problematica più recente a fronte di una profonda crisi del concetto di missione e di conseguenza di crisi personali di tanti missionari: vivere la missionarietà della Chiesa è come vivere un aspetto irrinunciabile della cattolicità, cioè con un respiro universale, sentendo nostri i problemi di tutti: soffrire con la Chiesa dove soffre persecuzione, gioire per l'impianto di nuove comunità e del loro progresso; accettare con umiltà e senza perdere la speranza il declino della Chiesa nel mondo cristiano secolarizzato.

La nuova evangelizzazione

La nozione di nuova evangelizzazione, che ha suscitato grande interesse e animate discussioni entro e fuori della Chiesa, è stata un'idea di Giovanni Paolo II, dettata dalla Sua sollecitudine per le nuove generazioni.

É ovvio che essa non consiste in un nuovo Vangelo, adattato ai tempi moderni o qualcosa di analogo, ma consiste nell'affrontare i problemi nuovi alla luce del Vangelo: le nuove frontiere dell'ingegneria genetica, della bioetica, dell'informatica, che toccano i così detti "valori non negoziabili" del passato, come la vita, la famiglia, la dignità della persona, ed altri valori apparentemente condivisibili da tutti, come la libertà, la giustizia, la pace, ma in realtà visti sotto angolature diametralmente opposte a seconda delle ideologie professate.

Non è assolutamente vero che andiamo tutti d'accordo su questi valori: basta ascoltare il dibattito pubblico che se ne fa per rendersi conto delle insanabili divergenze esistenti.

Di fronte alla proposta di una nuova evangelizzazione non manca poi chi intravede nuove forme di proselitismo religioso, di ingerenze politiche nell'orientamento dei paesi, di affari economici e connivenze con i potenti del mondo.

Si tratta indubbiamente di problemi delicati e difficili, ma c'è un fatto che ha determinato il recente orientamento della Chiesa, ed è che nella civiltà cui noi apparteniamo e nella quale viviamo il Vangelo di Gesù Cristo ha perso il sapore, il gusto, il fascino della novità.

L'odierna comunicazione in tempo " reale", grazie ai prodigi della telematica, ha cancellato l'originalità e la novità del Vangelo: occorre riproporre il messaggio di Cristo mediante la testimonianza gioiosa della nostra fede, non esiste altro mezzo per annunciare efficacemente Gesù Cristo, il vivente ieri, oggi e nei secoli!

Can. Valerio Andriano

( Estratto da sue lezioni nell'Unità Pastorale 22, raccolte in un opuscolo. Chi lo desiderasse, ne faccia richiesta )

Don Valerio Andriano con il Card. Bertone