Venite e vedrete |
CCC nn. 1716-1729 CdA nn. 127-135; 852-865 CdG1 pp. 128-130
Non si può riflettere sul regno di Dio e sulle sue esigenze senza leggere la pagina evangelica delle beatitudini ( Mt 5,1-12 ).
Non c'è pagina più affascinante, ma anche più sconcertante di questa.
Non capiremmo nulla di Gesù né del regno di Dio né dell'esistenza cristiana, se non ci confrontassimo con questo testo.
E neppure capiremmo molto di noi stessi.
Le beatitudini riportate dal Vangelo di Matteo sono otto, ma descrivono un'unica personalità: Gesù, che non soltanto ha proclamato le beatitudini, ma le ha vissute.
Al tempo stesso, le beatitudini descrivono il cristiano.
Le beatitudini sono la fotografia dell'uomo che ha accolto il regno di Dio; di Gesù e del suo discepolo.
È facile leggere le beatitudini in una prospettiva sbagliata.
C'è chi pensa abbiano un valore reale non per il cristiano comune, costretto a vivere nel mondo in situazioni che le rendono impraticabili, ma per vocazioni speciali, chiamate a esemplificare la paradossalità evangelica.
E invece no: le beatitudini sono un ideale proposto a ogni cristiano, qualsiasi vocazione abbia e in qualsiasi situazione si trovi.
C'è una sfida nelle beatitudini, evocata dalla parola stessa.
È la nota della gioia: "Beati!". Ma quale gioia?
La gioia delle beatitudini è diversa dalla gioia comune, che pone il proprio fondamento nel possesso dei beni o nel successo o in altre cose simili.
Le beatitudini del Regno proclamano invece la gioia della fiducia in Dio e insieme la gioia del dono di sé.
Le beatitudini esprimono la convinzione che l'uomo è fatto per donarsi, non per chiudersi in se stesso.
La gioia che le beatitudini promettono è la medesima gioia di Gesù: una gioia cercata e trovata nell'obbedienza al Padre e nel dono di sé ai fratelli.
In ciascuna beatitudine è visibile una tensione fra la situazione presente e il futuro.
Il presente è caratterizzato da situazioni negative: povertà, sofferenza, persecuzione; il futuro da situazioni positive: possesso del Regno, consolazione, visione di Dio.
Questa tensione fra il presente e il futuro mostra che le beatitudini non sono la promessa di interventi miracolosi allo scopo di cambiare le situazioni.
Le situazioni restano nell'immediato quelle che sono.
Le beatitudini offrono piuttosto un significato nuovo, suggeriscono criteri diversi di valutazione e di lettura.
La reazione di fronte alle situazioni è radicalmente diversa.
La certezza di un futuro positivo già trasforma il presente: nuovo e diverso è il modo di affrontare la povertà, la sofferenza e la persecuzione.
La prima beatitudine è quella dei "poveri in spirito", ma preferiamo iniziare da quella dei "puri di cuore", ai quali è promessa la visione di Dio.
La purezza di cuore è la totalità della ricerca di Dio.
Il puro di cuore è un uomo che cerca Dio con tutto se stesso, con cuore indiviso, tutto orientato in una sola direzione.
Gesù è tutto proteso nella ricerca del Padre.
Certamente egli è impegnato per gli uomini: i Vangeli ricordano che tanta era la gente che non aveva neppure il tempo per mangiare ( Mc 6,31 ).
E tuttavia è inamovibile, fisso in Dio.
Il contrario è l'uomo diviso: qualcosa a Dio, qualcosa a se stesso.
Il contrario del puro di cuore è l'uomo distratto, frantumato e disperso.
Come l'uomo che cerca di servire due padroni: Dio e il denaro ( Mt 6,24 ).
Ma la totalità della ricerca di Dio, dicono le altre beatitudini, deve avvenire dentro il circuito della solidarietà.
Non c'è altro luogo in cui cercare totalmente Dio, se non nella solidarietà con l'uomo: la misericordia, la passione per la giustizia, l'impegno per la pace.
Gesù, proprio perché totalmente aperto a Dio, è totalmente aperto agli uomini.
Le beatitudini indicano anche uno stile, non soltanto un percorso.
È uno stile inconfondibile: rifiuta la violenza ( "beati i miti" ) e sa pagare il prezzo della persecuzione ( "beati i perseguitati" ).
Gesù è coraggioso, si compromette, suscita problemi e anche disagi, ma non ricorre alla violenza, perché crede nella forza dell'amore e della verità, crede nell'avvento del regno di Dio.
La nota più caratterizzante dello stile dell'uomo delle beatitudini è, forse, quella espressa nella beatitudine dei "poveri in spirito".
Povero in spirito è chi ha unicamente fiducia in Dio, conta su di lui e non su altro.
Povero in spirito è chi vive sobrio ed essenziale.
Per due motivi: per essere libero per il vangelo e per condividere la vita dei fratelli.
Povero in spirito, infine, è chi concepisce tutto se stesso in termini di gratuità e non di possesso: una gratuità che, essendo dono nella sua origine, continua a farsi dono nel servizio.
La gratuità è la nota emergente dell'uomo che ha accolto il regno di Dio.
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