Educare alla legalità |
La comunità cristiana si sente fortemente impegnata in forza della stessa fede alla crescita globale del Paese, a combattere le cause di ingiustizia ancora diffusa e a contribuire fattivamente per il rispetto delle giuste leggi.12
I cristiani trovano nel comportamento di Gesù e degli Apostoli e nel loro insegnamento le indicazioni fondamentali circa la condotta da tenere di fronte alle leggi umane dello Stato, e dunque di fronte alla legalità.
Essi sanno benissimo che "bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" ( At 5,29 ): questo vale soprattutto quando si tratta di norme che, contrastando con quelle di Dio, non hanno più nemmeno la caratteristica di essere leggi, mancando di un oggettivo senso di verità e di giustizia.
Emerge qui la fondamentale distinzione che intercorre tra moralità e legalità:
la prima, da concepirsi come libera accoglienza interiore ed esteriore di ogni giusta norma, a cominciare da quelle divine;
la seconda, da intendersi come comportamento in linea con la normativa vigente, qualunque essa sia.
Ma i cristiani sanno pure che "non c'è autorità se non da Dio" ( Rm 13,1 ) e che, quindi, ogni giusto comando e ogni vera legge devono vedere i discepoli di Cristo pronti all'ubbidienza per la costruzione del bene comune.
Già l'apostolo Pietro così scriveva ai cristiani: "State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni" ( 1 Pt 2,13-14 ).
Questa "sottomissione" e ubbidienza non consistono in un ossequio formalistico al diritto vigente, ma nel riconoscimento e nell'attuazione dei diritti fondamentali di tutte le persone e nell'impegno a contribuire perché si affermi sempre la giusta pace sociale.
Sotto questo profilo la legge civile è da vedersi come uno "strumento" a servizio della persona, e, di conseguenza, può anche essere criticata nell'intento di renderla meglio rispondente alla sua funzione propulsiva e attuativa del bene comune.
Essa è una condizione necessaria perché tutti i cittadini siano autenticamente liberi e la società, pur nei suoi inevitabili conflitti, possa crescere armonicamente.
In questo cammino di maturazione la comunità cristiana, sensibile alle esigenze della promozione integrale dell'uomo e del bene comune, è chiamata ad offrire il proprio contributo di crescita della legalità, anche se è consapevole che gli obiettivi della Chiesa sono di ordine morale e spirituale e perseguono fini che trascendono la storia.
Le ripetute prese di posizione della Chiesa italiana, soprattutto nell'ultimo ventennio,13 testimoniano la sua costante preoccupazione di contribuire al bene del Paese, condividendone i problemi e risvegliando e sollecitando la coscienza morale, fondamento ineliminabile di ogni autentico progresso civile e sociale.
La Chiesa italiana intende continuare questo servizio alla società civile, con i contenuti e con lo stile che le sono propri, soprattutto attraverso la predicazione, la catechesi, le varie iniziative di presenza e di servizio sul territorio, perché i cristiani considerino lo Stato democratico non come una realtà estranea, ma come il luogo sociale e politico al quale appartengono a pieno titolo di cittadini e nel quale si impegnano a migliorare la convivenza di tutti testimoniando e proponendo i grandi valori umani ed evangelici della Dottrina sociale della Chiesa.
La crescita del senso della legalità nel nostro Paese ha come necessario presupposto un rinnovato sviluppo dell'etica della socialità e della solidarietà.
Riconoscere la distinzione e il rapporto che intercorrono tra norme generali e comportamenti particolari, tra l'uso dei mezzi e il conseguimento dei fini, tra i valori proclamati e la loro concreta realizzazione, è una condizione previa perché il principio di legalità venga compreso e si affermi.
Se i comportamenti si slegano dalle norme, perché diventano legge a se stessi, perde senso ogni riferimento ad un ordinamento legale.
Se i mezzi vengono valutati esclusivamente in base ai loro esiti immediati, scompare la progettualità nella società degli uomini e quindi il riferimento a leggi comuni.
D'altra parte se i fini vengono affermati senza un preciso riferimento alle loro condizioni concrete di realizzazione, ogni norma potrebbe apparire un attentato alla loro idealità.
Ad esempio, fa parte di una giusta pratica dell'eticità della convivenza umana anche l'impegno per una buona efficienza dei servizi pubblici, della loro qualità in termini di accessibilità, rapidità, competenza, mentre il loro scadimento determina disaffezione dei cittadini verso lo Stato democratico e quindi nei riguardi delle sue norme.
Al contrario, sono lontane dall'autentica legalità, sia la logica mafiosa dei comportamenti che si fanno legge nel momento stesso in cui si attuano, sia la dinamica contrattualistica che pretende di risolvere tutto nella logica dello scambio.
Si comprende così come il principio della legalità si intrecci con quello della solidarietà, e quanto sia pericolosa l'illusione di ritenere chiuso il capitolo solidaristico, per rimettere il futuro interamente alla capacità dei singoli individui.
Oggi è ancor più necessario di un tempo un profondo senso di solidarietà, che abbracci tanto le forme "corte" di solidarietà, come quelle incentrate sui legami familiari e sui rapporti privati, quanto quelle "lunghe", che fanno riferimento a realtà vaste e complesse, e perciò esigono interventi di lungo periodo con un'attenta valutazione dei bisogni e delle risorse disponibili.
La solidarietà deve collegare i gruppi politicamente, culturalmente ed economicamente più forti con quelli più deboli, gli anziani con i giovani, il Nord con il Sud, i cittadini con gli immigrati.
Una simile solidarietà si può affermare solo con la collaborazione attiva di tutti, in ordine a far sì che le strutture della società siano sempre più corrispondenti alle esigenze fondamentali di libertà, di giustizia, di eguaglianza della persona umana.
Per questa via potrà svilupparsi un autentico senso dello Stato e, con esso, della moralità civica.
Un secondo fattore, legato intimamente al senso della legalità, è la ricerca del bene comune.
Questo costituisce il fine dell'organizzazione di ogni società.
Secondo l'insegnamento del Concilio Vaticano II: "Il bene comune della società, che è l'insieme di quelle condizioni di vita sociale grazie alle quali gli uomini possono conseguire il loro perfezionamento più pienamente e con maggiore speditezza, consiste soprattutto nel rispetto dei diritti e dei doveri della persona umana".14
La ricerca del bene comune si fonda nel riconoscimento della pari dignità di ogni uomo e della sua originaria dimensione sociale, per la quale tutti gli uomini sono tra loro interdipendenti e sono pertanto chiamati a collaborare al bene di tutti.
La rivelazione e la fede cristiana offrono motivazioni e risorse originali per la ricerca del bene comune.
La certezza di Dio, Creatore, Padre e Salvatore di ogni uomo, il riconoscimento della libertà personale nell'accoglienza del dono della fede, l'affermazione della responsabilità di ogni uomo verso gli altri uomini, con l'intensità propria della carità evangelica, ( Cf. Mt 25,31-46; Lc 10,29-37; Gv 1,13.34 ) fanno della ricerca del bene comune da parte del cristiano una doverosa espressione della fraternità umana universale.16
Il bene comune si presenta perciò come meta e impegno che unifica gli uomini al di là della diversità dei loro interessi, e che esige la cura che ogni cittadino deve avere per la legge, la cui finalità è precisamente di proteggere e di promuovere il concreto bene di tutti.
Si oppongono perciò alla ricerca del bene comune, e quindi al senso della legalità, non solo l'egoismo individuale, ma anche le situazioni economico-sociali nelle quali si sono solidificate ingiustizie, ossia le cosiddette strutture di peccato,17 che favoriscono gli interessi solo di alcuni a danno degli altri uomini.
Inoltre, come difficoltà particolare dei nostri tempi, si deve registrare anche il grande pluralismo di idee e di convinzioni, che riguarda gli stessi valori fondamentali della vita e che origina una società frammentata da progetti sociali e politici profondamente diversi e radicati in prospettive di valori assai differenti e contrastanti.
Questi ostacoli possono aggravare il senso di sfiducia nello Stato e legittimare quel rifugio nel privato, che cerca dalle istituzioni solo vantaggi e si difende da esse quando chiedono il pagamento dei costi.
Analoga sfiducia e rinuncia di fatto a perseguire il bene comune sono presenti nel tentativo di superare i conflitti con la stessa logica che li genera, quella cioè della contrapposizione e della lotta per far prevalere con tutti i mezzi il proprio punto di vista e l'interesse individuale.
In questo contesto sociale e culturale la ricerca del bene comune, quale anima e giustificazione del principio di legalità, esige contemporaneamente una più ampia e capillare diffusione del senso della solidarietà tra gli uomini, una maggior vigilanza in ambito morale e legislativo perché non si costituiscano dei monopoli di potere e soprattutto una decisa e sistematica educazione delle coscienze per il superamento di mentalità privatistiche ed egoistiche.
A questo compito educativo la Chiesa si sente direttamente impegnata in forza della sua missione pastorale, perché sa con certezza che soltanto l'accoglienza della piena verità sull'uomo può portare al vero bene comune.
Il bene comune domanda anche che si mettano in atto iniziative orientate ad affrontare i problemi posti dalla società interculturale, verso cui il nostro Paese si sta ormai avviando.
In primo luogo è da richiamarsi la responsabilità dei luoghi e delle forze educative, che devono proporre ed aiutare la comprensione delle differenze, passando dalla "cultura dell'indifferenza" alla "cultura della differenza", e da questa alla "convivialità delle differenze", senza per questo sfociare in forme di eclettismo nei riguardi della verità o di indifferenza di fronte ai valori della vita.
Quest'opera di promozione educativa deve essere sostenuta da tutti e deve essere accompagnata non solo dai singoli o dai gruppi, ma anche dall'organizzazione giuridica della società e dai suoi comportamenti.
Pertanto, anche sul piano legislativo bisogna che si passi da un approccio, che tiene presenti soltanto le esigenze monoculturali, ad un altro aperto a logiche più ampie di tipo interculturale.
In questa logica di apertura si inserisce quella "cultura della Nazione", di cui parla l'enciclica Centesimus annus e che consiste nell'impegno di essere fedeli alla propria identità, ossia a quel patrimonio di valori tramandati e acquisiti che costituiscono il tessuto culturale di un Popolo.
Essa però consiste anche nella ricerca continua e a tutto campo della verità, e quindi nel "rendere quei valori più vivi, attuali e personali, discernendo ciò che nella tradizione è valido da falsità ed errori o da forme invecchiate, che possono essere sostituite da altre più adeguate ai tempi.
In questo contesto, conviene ricordare che anche l'evangelizzazione si inserisce nella cultura delle Nazioni, sostenendola nel suo cammino verso la verità e aiutandola nel lavoro di purificazione e di arricchimento".18
Possiamo cogliere anche qui lo stretto legame tra il Vangelo e la cultura e il rapporto che nell'educazione dell'uomo esiste tra l'attività pastorale della Chiesa e la normativa giuridica dello Stato.
Un problema particolare che oggi si pone di fronte ad una cultura della legalità è quello dell'obiezione di coscienza.
Come conciliare il dovere dell'obbedienza alla legge con l'obiezione di coscienza?
La riserva del giudizio di coscienza non può condurre a vanificare ogni imperatività della legge?
Occorre affermare innanzitutto che l'obiezione di coscienza si radica non nell'autonomia assoluta del soggetto rispetto alla norma e tanto meno nel disprezzo della legge dello Stato, ma nella coerente fedeltà alla stessa fondazione morale della legge civile.
L'obiezione di coscienza, infatti, di fronte ad una legge dello Stato attesta il valore prioritario della persona e della sua giusta libertà, afferma la necessità che ogni norma civile sia coerente con il valore morale e richiama a tutti, e in primo luogo ad ogni cristiano, che bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini. ( Cf. At 4,19-20; At 5,29 )
L'obiezione di coscienza è, dunque, qualcosa di estremamente serio, avendo il suo fondamento nello stesso modo di pensare l'uomo, la sua dipendenza da Dio e il suo rapporto con lo Stato e con le sue leggi.
Si collega ad una precisa antropologia personalistica, rifiuta ogni concezione totalizzante dello Stato, punta decisamente sull'intima connessione tra legalità e moralità e assume una connotazione morale, anzi religiosa.
In questo senso la forma più alta di obiezione di coscienza nella tradizione cristiana è stata quella dei martiri, i quali hanno pagato con la vita la loro fedeltà a Dio in contrasto con la legge degli uomini.
L'obiezione di coscienza, fondata sulla dignità e sulla libertà della persona, "è un diritto nativo e inalienabile, che gli ordinamenti civili delle società devono riconoscere, sancire e proteggere: diversamente si rinnega la dignità personale dell'uomo e si fa dello Stato la fonte originaria e l'arbitro insindacabile dei diritti e dei doveri delle persone".20
È necessario poi osservare che l'obiezione di coscienza si configura in maniera diversa in uno Stato totalitario e in uno Stato democratico.
Il primo pretende dai cittadini un'adesione totale della coscienza alla legge, non concedendo né spazi per convincimenti diversi da quelli di coloro che detengono il potere, né la possibilità di prefigurare una diversa soluzione legislativa dei problemi della società.
Il secondo, lo Stato democratico, non impone un'adesione incondizionata alle regole fissate dall'autorità, ma lascia al cittadino la possibilità di riflettere e di esprimere liberamente le proprie obiezioni sulla realtà legislativa del momento, e così di preparare il nuovo, operando per un'eventuale modifica della mentalità comune e della stessa legislazione.
Viene così riconosciuta la possibilità di sottrarsi ad alcuni dettati della legge, qualora la coscienza del singolo cittadino, non per semplice personale capriccio, ma per un giustificato motivo etico, ritenga di obbedire a scelte diverse.
In tal modo lo Stato riconosce di non poter essere totalizzante, non solo perché non chiede un'adesione incondizionata della coscienza del singolo alla legge, ma anche perché non esige da tutti e in tutti i casi lo stesso comportamento esteriore, quando questo dovesse costringere il soggetto a contravvenire a quei doveri ai quali si sente obbligato per motivi inalienabili di eticità.
Bisogna inoltre tenere presente che l'obiezione di coscienza non si esprime soltanto nelle due forme più diffuse in questi ultimi anni, quella al servizio militare e quella all'intervento d'aborto.
A proposito poi di queste due forme è del tutto necessario rilevarne la diversità di prospettiva:
nel caso del servizio militare non esiste propriamente una morale obbligatorietà di opposizione ad esso, ma si ha una significativa scelta profetica nei confronti dell'uso delle armi;
nel secondo caso il comandamento di non uccidere l'innocente obbliga moralmente in modo grave tutti e sempre, senza eccezioni.
L'obiezione di coscienza, comunque, si motiva solo quando è in gioco una ragione etica imprescindibile per il soggetto.
Infatti l'ordinamento giuridico non può affidarsi alla psicologia varia di singoli soggetti portati talvolta a vedere una crisi di coscienza laddove questa non è in realtà chiamata in causa, trattandosi soltanto di opinioni del tutto personali: diversamente l'ordinamento giuridico si dissolverebbe in miriadi di posizioni, nelle quali diverrebbe impossibile la stessa convivenza sociale.
Egualmente l'ordinamento giuridico non può tener conto del semplice dissenso di un cittadino ad una legge dello Stato, della quale non comprende il significato e il valore.
L'obbedienza alla legge, se non si vuole un'anarchia basata su di un individualismo sfrenato, può e deve essere pretesa, quando non contraddice alle oggettive e fondamentali esigenze della coscienza, nel senso sopra ricordato, e comunque tenendo ben presente che non è compito dello Stato stabilire norme di coscienza, dal momento che il cristiano non accetta uno Stato etico.
Infine l'ordinamento giuridico non può accettare neppure quella forma di obiezione che è stata chiamata "obiezione ipotetica": questa non tende ad affermare un valore etico o religioso, ma solo a negare un certo modello sociale e, pertanto, si basa solo su ideologie diverse da quelle accolte dall'ordinamento vigente.
L'ordinamento giuridico deve essere vigilante e scoraggiare chi, ricorrendo all'obiezione, tende in realtà non a salvaguardare la coscienza ed i suoi valori, ma solo a tutelare la propria comodità o, peggio ancora, interessi di casta o di corporazione.
Solo l'obiezione di coscienza rettamente intesa e sollevata, e talvolta anche riconosciuta dall'ordinamento giuridico, proprio perché è rispettosa dei fondamentali valori morali della persona, non diminuisce ma rafforza il senso della legalità: la legge civile non può essere un'imposizione violentatrice della coscienza, dev'essere, invece, uno strumento reale di crescita umana dei singoli e della società.
Il senso della legalità non è un valore che si improvvisa.
Esso esige un lungo e costante processo educativo.
La sua affermazione e la sua crescita sono affidati alla collaborazione di tutti, ma in modo particolare alla famiglia, alla scuola, alle associazioni giovanili, ai mezzi di comunicazione sociale, ai vari movimenti che nel Paese hanno un potere di aggregazione ed un compito educativo, ai partiti e alle varie istituzioni pubbliche.
La comunità cristiana, con le sue varie strutture, è anch'essa impegnata in quest'opera formativa:
la parrocchia attraverso la catechesi e le sue molteplici iniziative culturali, formative e caritative;
l'associazionismo, specie giovanile, con un'attenta considerazione dell'itinerario formativo della persona;
il volontariato che si pone al servizio delle persone in difficoltà e che è chiamato a testimoniare la dedizione, la condivisione, la gratuità in una funzione non solo di supplenza delle carenze sociali, ma anche propositiva, per eliminare le cause che generano le molte povertà materiali e spirituali delle quali l'uomo di oggi soffre.
L'affievolirsi del senso della legalità nelle coscienze e nei comportamenti denuncia una carenza educativa in rapporto non solo alla formazione sociale dei cittadini, ma anche alla stessa formazione personale.
È necessario far emergere nell'opera educativa in modo vigoroso la dignità e la centralità della persona umana, l'importanza del suo agire in libertà e responsabilità, il suo vivere nella solidarietà e nella legalità.
Recentemente Giovanni Paolo II ha richiamato con forza la necessità di ricuperare il senso della legalità e di impegnarsi per la sua formazione: "Non v'è chi non veda l'urgenza di un grande ricupero di moralità personale e sociale, di legalità.
Sì, urge un ricupero di legalità!
… Da una restaurata moralità sociale a tutti i livelli deriverà un nuovo senso di responsabilità nell'agire pubblico, come pure un ampliamento dei luoghi di formazione sociale e un più motivato impulso alle diverse forme di partecipazione e di volontariato".21
La Chiesa riconosce che la "norma" fondamentale viene da lontano: viene dalla sapienza e dall'amore di Dio Creatore ed è inscritta nella coscienza di ciascuna persona, prima ancora di presentarsi nella forma di una disposizione dell'autorità umana.
Proprio per questo la Chiesa insegna che la fedeltà alla "norma" così intesa, e dunque anche alla legge civile, è fedeltà all'uomo, ai suoi valori e alle sue finalità e insieme fedeltà a Dio.
In simile contesto si comprende come le comunità cristiane in più occasioni sono impegnate in corsi di formazione all'impegno socio-politico, nei quali viene riservato uno spazio ai problemi della legalità.
I cristiani laici sono chiamati a partecipare, con tutti gli altri uomini, alla costruzione comune della società e, nello stesso tempo, devono avere una coscienza sempre più viva della grandezza e della bellezza della loro vocazione cristiana e della peculiarità della loro condizione "laicale", che li pone sulla frontiera tra la fede e la storia, tra il vangelo e la cultura, tra l'azione dello Spirito Santo e le competenze e responsabilità umane in ordine a costruire una società sempre più autenticamente umana e più vicina al Regno di Dio.
In tutto questo i cristiani siano esemplari proprio come "cittadini", sempre ricordando il monito del Concilio: "Sacro sia per tutti includere tra i doveri principali dell'uomo moderno, e osservare, gli obblighi sociali".22
In questo momento storico vogliamo ancora una volta rivolgere la nostra attenzione particolare ai cristiani variamente impegnati nella politica.
Sono tra i primi responsabili della crescita o del declino del senso della legalità nel nostro Paese.
Per questo vorremmo richiamare di nuovo alcuni orientamenti che devono guidare la loro azione.
L'uomo, con i suoi bisogni materiali e spirituali, sia posto sempre al centro della vita economica e sociale, e costituisca la preoccupazione prima di tutta l'azione politica.
Nel riconoscimento della giusta autonomia delle realtà terrene,23 siano costantemente affermati e chiaramente testimoniati quei valori umani ed evangelici "che sono intimamente connessi con l'attività politica stessa, come la libertà e la giustizia, la solidarietà, la dedizione fedele e disinteressata al bene di tutti, lo stile semplice di vita, l'amore preferenziale per i poveri e per gli ultimi".24
L'impegno politico sia decisamente alimentato dallo spirito di servizio "che solo, unitamente alla necessaria competenza ed efficienza, può rendere trasparente o pulita l'attività degli uomini politici, come del resto la gente giustamente esige ".25 ( Cf. Lc 22,25-27 )
Chi ha responsabilità politiche ed amministrative abbia sommamente a cuore alcune virtù, come
il disinteresse personale,
la lealtà nei rapporti umani,
il rispetto della dignità degli altri,
il senso della giustizia,
il rifiuto della menzogna e della calunnia come strumento di lotta contro gli avversari, e magari anche contro chi si definisce impropriamente amico
la fortezza per non cedere al ricatto del potente,
la carità per assumere come proprie le necessità del prossimo, con chiara predilezione per gli ultimi.
Non siano mai sacrificati i beni fondamentali della persona o della collettività per ottenere consensi; l'azione politica da strumento per la crescita della collettività non si degradi a semplice gestione del potere, né per fini anche buoni ricorra a mezzi inaccettabili.
La politica non permetta che si incancreniscano situazioni di ingiustizia per paura di contraddire le posizioni forti.
Si tagli l'iniquo legame tra politica e affari.
Siano facilitati gli strumenti di partecipazione diretta dei cittadini alle scelte fondamentali della vita comunitaria.
Per un corretto svolgimento della vita sociale, è indispensabile che la comunità civile si riappropri quella funzione politica, che troppo spesso ha delegato esclusivamente ai "professionisti" di questo impegno nella società.
Non si tratta di superare l'istituzione "partito", che rimane essenziale nell'organizzazione dello Stato democratico, ma di riconoscere che si fa politica non solo nei partiti, ma anche al di fuori di essi, contribuendo ad uno sviluppo globale della democrazia con l'assunzione di responsabilità di controllo e di stimolo, di proposta e di attuazione di una reale e non solo declamata partecipazione.
La lotta per la rimozione delle strutture sociali ingiuste è un impegno che non può essere affidato in modo unico ed esclusivo ai partiti.
Anche la società civile ha da svolgere una sua funzione politica, facendosi carico dei problemi generali del Paese, elaborando progetti per una migliore vita umana a favore di tutti, controllando anche la loro attuazione, denunciando disfunzioni ed inerzie, esigendo con gli strumenti democratici, messi a disposizione dei cittadini, che la mensa non sia apparecchiata solo per chi ha potere, ma per tutti.
Indice |
12 | Cf. Gaudiurn et spes, nn. 42-43 |
13 | Dal Convegno su Evangelizzazione e promozione umana del 1976 al documento La Chiesa italiana e le prospettive del Paese ( 23 ottobre 1981 ) dal documento Chiesa italiana e Mezzogiorno ( 18 ottobre 1989 ) agli Orientamenti pastorali per gli anni '90 Evangelizzazione e testimonianza della carità ( 9 dicembre 1990 ) |
14 | Dignitatis hurnanae, n. 6; cf. Gaudium et spes, n. 26, n. 74 |
16 | Gaudiurn et spes, n. 31,
n. 32,
n. 38; Apostolicarn actuositatem n. 8, n. 14; Lett. Enc. Sollicitudo rei socialis, n. 38 |
17 | Giovanni Paolo II, Esort. Ap.
Reconciliatio et paenitentia, n. 16; Lett. Enc. Sollicitudo rei socialis, n. 36, n. 38 |
18 | Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Centesimus annus, n. 50 |
20 | C.E.I., Consiglio Episcopale Permanente, Istr. past. Comunità cristiana e accoglienza della vita umana nascente ( 8 dicembre 1978, n. 41 ) |
21 | Giovanni Paolo II, Discorso agli Amministratori pubblici della Campania, presso la sede dell'Aeritalia a Capodimonte, Napoli, 10 novembre 1990 |
22 | Gaudium et spes, n. 30 |
23 | Ivi, n. 76 |
24 | Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Christifideles laici, n. 42 |
25 | Ivi, n. 42 |