Laborem exercens |
Rimanendo ancora nella prospettiva dell'uomo come soggetto del lavoro, ci conviene toccare, almeno sinteticamente, alcuni problemi che definiscono più da vicino la dignità del lavoro umano, poiché permettono di caratterizzare più pienamente il suo specifico valore morale. Occorre far questo tenendo sempre davanti agli occhi quella vocazione biblica a « soggiogare la terra » ( Gen 1,28 ), nella quale si è espressa la volontà del Creatore, perché il lavoro rendesse possibile all'uomo di raggiungere quel « dominio » che gli è proprio nel mondo visibile.
La fondamentale e primordiale intenzione di Dio nei riguardi dell'uomo, che Egli « creò … a sua somiglianza, a sua immagine » ( Gen 1,26s ), non è stata ritrattata né cancellata neppure quando l'uomo, dopo aver infranto l'originaria alleanza con Dio, udì le parole: « Col sudore del tuo volto mangerai il pane » ( Gen 3,19 ).
Queste parole si riferiscono alla fatica a volte pesante, che da allora accompagna il lavoro umano; però, non cambiano il fatto che esso è la via sulla quale l'uomo realizza il « dominio », che gli è proprio, sul mondo visibile « soggiogando » la terra.
Questa fatica è un fatto universalmente conosciuto, perché universalmente sperimentato.
Lo sanno gli uomini del lavoro manuale, svolto talora in condizioni eccezionalmente gravose.
Lo sanno non solo gli agricoltori, che consumano lunghe giornate nel coltivare la terra, la quale a volte « produce pruni e spine » ( Eb 6,8; Gen 3,18 ), ma anche i minatori nelle miniere o nelle cave di pietra, i siderurgici accanto ai loro altiforni, gli uomini che lavorano nei cantieri edili e nel settore delle costruzioni in frequente pericolo di vita o di invalidità.
Lo sanno, al tempo stesso, gli uomini legati al banco del lavoro intellettuale, lo sanno gli scienziati, lo sanno gli uomini sui quali grava la grande responsabilità di decisioni destinate ad avere vasta rilevanza sociale.
Lo sanno i medici e gli infermieri, che vigilano giorno e notte accanto ai malati.
Lo sanno le donne,che, talora senza adeguato riconoscimento da parte della società e degli stessi familiari, portano ogni giorno la fatica e la responsabilità della casa e dell'educazione dei figli.
Lo sanno tutti gli uomini del lavoro e, poiché è vero che il lavoro è una vocazione universale, lo sanno tutti gli uomini.
Eppure, con tutta questa fatica - e forse, in un certo senso, a causa di essa - il lavoro è un bene dell'uomo.
Se questo bene comporta il segno di un « bonum arduum », secondo la terminologia di San Tommaso18, ciò non toglie che, come tale, esso sia un bene dell'uomo.
Ed è non solo un bene « utile » o « da fruire », ma un bene « degno », cioè corrispondente alla dignità dell'uomo, un bene che esprime questa dignità e la accresce.
Volendo meglio precisare il significato etico del lavoro, si deve avere davanti agli occhi prima di tutto questa verità.
Il lavoro è un bene dell'uomo - è un bene della sua umanità -, perché mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, « diventa più uomo ».
Senza questa considerazione non si può comprendere il significato della virtù della laboriosità, più particolarmente non si può comprendere perché la laboriosità dovrebbe essere una virtù: infatti, la virtù, come attitudine morale, è ciò per cui l'uomo diventa buono in quanto uomo19.
Questo fatto non cambia per nulla la nostra giusta preoccupazione, affinché nel lavoro, mediante il quale la materia viene nobilitata, l'uomo stesso non subisca una diminuzione della propria dignità20.
E noto, ancora, che è possibile usare variamente il lavoro contro l'uomo, che si può punire l'uomo col sistema del lavoro forzato nei lager, che si può fare del lavoro un mezzo di oppressione dell'uomo, che infine si può in vari modi sfruttare il lavoro umano, cioè l'uomo del lavoro.
Tutto ciò depone in favore dell'obbligo morale di unire la laboriosità come virtù con l'ordine sociale del lavoro, che permetterà all'uomo di « diventare più uomo » nel lavoro, e non già di degradarsi a causa del lavoro, logorando non solo le forze fisiche ( il che, almeno fino a un certo grado, e inevitabile ), ma soprattutto intaccando la dignità e soggettività, che gli sono proprie.
Indice |
18 | Summa Th. I-II, q. 40, a. 1, c.; I-II, q. 34, a. 2, ad. 1 |
19 | Summa Th. I-II, q. 40, a. 1, c.; I-II, q. 34, a. 2, ad. 1 |
20 | Pio XI, Quadragesimo anno |