Martedì, 10 maggio 2016
« Bruciare la vita per le cause nobili »: ecco un'opportunità offerta ai ragazzi di oggi, che immersi in una « cultura del consumismo » e « del narcisismo » sono spesso insoddisfatti e poco felici.
Nella messa celebrata martedì 10 maggio a Santa Marta, Papa Francesco ha messo al centro della propria riflessione la testimonianza dei missionari - « la gloria della nostra Chiesa » - proponendola come modello per i giovani.
L'omelia del Pontefice ha preso spunto dalla prima lettura del giorno tratta dagli Atti degli apostoli ( At 20,17-27 ), nella quale si legge quello che - ha detto il Papa - « potremmo chiamare il "congedo di un apostolo" ».
È il brano in cui « Paolo fa venire a Mileto i presbiteri di Efeso e dice loro che non li vedrà più, perché deve andarsene, perché lo Spirito lo costringe ad andare a Gerusalemme ».
Analizzando questo testo, si vede come, prima di tutto, l'apostolo faccia « un esame di coscienza: "Voi sapete come mi sono comportato con voi in tutto questo tempo" ».
È una disamina in cui Paolo « fa un racconto di come si è comportato » e, in un primo momento, sembra anche « che si vanti un po' ».
In realtà « non è così », tant'è che egli stesso aggiunge: « Semplicemente è stato lo Spirito che mi ha portato a questo ».
Poi continua: « Costretto dallo Spirito io vado a Gerusalemme.
Lo Spirito mi ha mandato qui ad annunziare Gesù e lo Spirito adesso mi chiama ad andare a Gerusalemme ».
Dopo l'esame di coscienza emerge cioè un altro elemento: la « docilità » allo Spirito Santo.
È un congedo in cui Paolo esprime sia « una nostalgia nel guardare indietro a quello che il Signore ha fatto con lui », sia « un sentimento di ringraziamento al Signore ».
Questo passo della Scrittura, ha notato Francesco, fa venire alla mente « il bel brano letterario dello spagnolo Pemán » nel quale si legge « la descrizione del congedo dalla vita di san Francesco Saverio davanti alle spiagge della Cina.
Anche lui fa un esame di coscienza: solo, davanti a Dio ».
Significativo è anche il seguito della narrazione, perché ci si può chiedere: « Cosa aspetta a Paolo? ».
Infatti l'apostolo scrive che « va a Gerusalemme "senza sapere ciò che là mi accadrà" ».
Come un missionario che parte « senza sapere cosa lo aspetta ».
Di un'unica cosa è certo: « So soltanto che lo Spirito Santo, di città in città, mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni ».
E, ha commentato il Pontefice, anche « il missionario sa che non sarà facile la vita, ma va avanti ».
Infine Paolo aggiunge « un'altra verità, che fa piangere i presbiteri di Efeso: "E ora, ecco, io so che non vedrete più il mio volto.
Mai ci vedremo qui" ».
Quindi « dà alcuni consigli.
Lo accompagnano fino alla nave e sulla spiaggia gli si gettano al collo, piangono …
E così si congeda » dalla comunità di Efeso, nella città di Mileto.
« Il fine dell'apostolo è il fine dei missionari » ha commentato il Papa.
« Credo - ha spiegato - che questo brano » evochi « la vita dei nostri missionari: tanti giovani, ragazze e ragazzi, che hanno lasciato la patria, la famiglia e sono andati lontano, in altri continenti, ad annunciare Gesù Cristo ».
Anche loro « andavano "costretti" dallo Spirito Santo », era la loro « vocazione ».
E oggi, quando in quei posti « andiamo nei cimiteri » e « vediamo le loro lapidi », ci rendiamo conto che « tanti sono morti giovani, a meno di quarant'anni », spesso perché non erano preparati a sopportare le malattie locali.
Capiamo che questi giovani « hanno dato la vita », hanno « bruciato la vita ».
Significativa la riflessione di Francesco: « Io penso che loro, in quell'ultimo momento, lontani dalla loro patria, dalla loro famiglia, dai loro cari, hanno detto: "Valeva la pena, fare quello che ho fatto!" ».
Nel ricordo di questi giovani, « eroi dell'evangelizzazione dei nostri tempi », ripensando a come l'Europa abbia riempito altri continenti di missionari che partivano senza tornare - e che probabilmente, nel loro « ultimo momento », quello del « congedo », hanno detto come Saverio: « Ho lasciato tutto, ma valeva la pena! »
- il Papa ha affermato: « Credo sia giusto che noi ringraziamo il Signore per la loro testimonianza ».
Alcuni sono morti « anonimi », altri come « martiri e cioè offrendo la vita per il Vangelo »: sono, ha detto Francesco, « la nostra gloria questi missionari!
La gloria della nostra Chiesa! ».
Di fronte a tali esempi, il Pontefice ha rivolto un pensiero « ai ragazzi e alle ragazze di oggi », spesso a disagio nella « cultura del consumismo, del narcisismo ».
E a loro ha detto: « Ma guardate l'orizzonte!
Guardate là, guardate a questi nostri missionari! ».
Per questo, ha aggiunto, occorre « pregare lo Spirito Santo che li costringa ad andare lontano, a "bruciare" la vita ».
Ha usato proprio questa espressione forte precisando: « È una parola un po' dura, ma la vita vale la pena viverla; ma per viverla bene » bisogna « "bruciarla" nel servizio, nell'annunzio; e andare avanti.
E questa è la gioia dell'annuncio del Vangelo ».
Concludendo l'omelia, il Papa ha esortato tutti a ringraziare il Signore « per Paolo, per la sua capacità di andare in un posto e lasciare quel posto quando lo Spirito Santo lo chiama da un'altra parte », ma anche « per i tanti missionari della Chiesa » che, nel passato come ancora oggi, hanno avuto il coraggio di partire.
Dal Pontefice anche l'invito a pregare affinché lo Spirito vada « dentro il cuore dei nostri giovani », dove « c'è qualcosa di insoddisfazione », e « li costringa ad andare oltre, a bruciare la vita per le cause nobili ».
Probabilmente, ha detto, di questo rimarrà solo « una lapide, col nome, la data della nascita, la data della morte; e passati alcuni anni nessuno si ricorderà di loro », ma loro si saranno « congedati dal mondo in servizio.
E questa è una cosa bella! ».
Da qui l'invocazione finale: « Che lo Spirito Santo, che viene adesso, semini nel cuore dei giovani questa voglia di andare ad annunziare Gesù Cristo, "bruciando" la propria vita ».