Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone XL

I. Quale sia la faccia dell’anima, dalla quale promana la sua bellezza

1. Belle sono le tue guance come di tortora ( Ct 1,9 ).

Delicata è la verecondia della sposa; e penso che al rimprovero dello Sposo la sua faccia si sia coperta di rossore, e apparendo per questo più bella, subito si sia sentita dire: Belle sono le tue guance come di tortora.

Bada di non interpretare queste parole in senso carnale, immaginando una carne soggetta a putrefazione colorata all’esterno, a cui l’umore purulento giallo e sanguigno, misto a un rosso pallido diffuso in modo uniforme sulla superficie della pelle conferiscono, specialmente alle guance, un’apparenza di grazia, che dà risalto alla bellezza del corpo.

Del resto la sostanza, incorporea e invisibile, dell’anima non si è distinta in membra corporee, né dipinta da visibili colori.

Ma tu, se puoi, cerca di comprendere con spirituale intuito l’essenza spirituale e, per adattarla alla proposta similitudine immagina come faccia dell’anima l’intenzione della mente; da questa si giudica la bontà degli atti, come dalla faccia si stima la bellezza del corpo.

Pensa alla verecondia come al colore della faccia, perché questa virtù principalmente conferisce bellezza e aumenta la grazia.

Belle sono le tue guance come di tortora.

Poteva, come si usa di preferenza, parlare di un bel volto; così si fa quando si vuole lodare la bellezza di qualcuno.

Si dice infatti allora che ha un volto bello e grazioso; non so perché abbia preferito nominare al plurale le guance; è certo però che non l’ha fatto senza una ragione.

È infatti lo Spirito di sapienza che parla, e a lui non si può attribuire alcunché, anche minimo, di inutile, o detto in modo diverso da quanto occorre.

C’è dunque una ragione, qualunque possa essere, per cui ha voluto nominare le guance, piuttosto che dire al singolare « la faccia ».

E se tu non hai di meglio, io ti spiego il significato che questo a me sembra avere.

II. Nello sguardo dell’anima sono da considerare due elementi, l’oggetto e la causa, quasi fossero due guance

2. Due cose si richiedono necessariamente nell’intenzione, che abbiamo detto essere la faccia dell’anima: la cosa e la causa, vale a dire, ciò che viene inteso, e la ragione per cui viene inteso.

Da queste due cose dipende la bellezza o la deformità dell’anima, di modo che, per esempio, all’anima che possiede queste due cose rette e oneste si può dire giustamente e in verità: Belle sono le tue guance come di tortora.

Di quella invece a cui manca una di queste due cose non si potrà dire che le sue guance sono belle come quelle della tortora, a causa della deformità che vi è ancora in parte.

E molto meno si potrà dire a quella che si trova non avere né l’una cosa né l’altra degne di lode.

Questo si comprenderà meglio con esempi.

Se uno si applica a cercare la verità, e lo fa solo per amore della verità, non ti sembra che costui si applichi a una cosa onesta e per un motivo onesto, e possa giustamente applicare a sé quello che è detto: Belle sono le tue guance come di tortora, in quanto in nessuna delle due guance appare neo alcuno che meriti riprensione?

Ma se uno va in cerca della verità non tanto per amore della verità, ma in vista della vanagloria o per ottenere un qualsiasi vantaggio temporale, anche se sembrerà aver bella una delle due guance, non esiterai a dichiararlo parzialmente deforme, perché l’altra parte della faccia è macchiata dalla bruttezza della causa.

Se poi vedi un uomo che non si applica affatto a cose oneste, ma è invischiato nelle attrattive della carne, dedito al ventre e alla lussuria, quali sono quelli che hanno per dio il ventre e si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra ( Fil 3,19 ), che cosa dire di costui?

Non lo giudicherai forse bruttissimo da ogni lato, dato che in quello che cerca è riprovevole sia l’oggetto, sia il motivo?

3. Dunque tendere non a Dio, ma al mondo, è indizio di anima secolare, che non ha bella nessuna delle due guance.

Tendere quasi a Dio, ma non per Dio, è segno piuttosto di anima ipocrita, perché, anche se per una parte della faccia sembra bella, la simulazione distrugge in essa ogni bellezza, e fa apparire il tutto piuttosto brutto.

Se poi rivolgerà a Dio l’intenzione solo o massimamente per le cose necessarie alla vita, non la direi puzzare del vizio di ipocrisia, ma almeno semioscura, a causa del difetto della pusillanimità, e meno gradita a Dio.

Al contrario, applicarsi a qualche cosa di diverso da Dio, ma per Dio, non è riposo di Maria, ma sollecitudine di Marta.

Non direi tuttavia che una tale anima abbia qualcosa di deforme.

Ma neanche oserei affermare che abbia raggiunto la perfetta bellezza: per il fatto che è ancora sollecita e si turba per troppe cose, non è possibile che resti esente da un po’ di polvere, sia pur tenue, degli atti terreni.

Da questa tuttavia potrà presto e facilmente liberarla, almeno nell’ora della santa morte, una casta intenzione e la buona coscienza che esamina di fronte a Dio.

Dunque, cercare Dio per lui solo, questo è veramente avere una faccia bellissima in entrambe le guance, e questo è propria e speciale prerogativa della sposa, alla quale a buon diritto, per singolare prerogativa, è concesso sentirsi dire: Belle sono le tue guance, come di tortora.

III. In che modo la solitudine della tortora sia desiderabile e quando soprattutto; che cosa crea questa solitudine; sul non dover giudicare

4. E perché come di tortora?

È un uccellino pudico, che si dice non abbia società con molti uccelli, ma vive solo con il suo compagno, di modo che, se perde quello, non ne cerca un altro, ma rimane in seguito solo.

Tu dunque che ascolti, per non udire inutilmente queste cose che sono state scritte per te, e ora per te vengono esposte e commentate, tu, dico, se ti senti mosso da questi incitamenti dello Spirito Santo, e ti adoperi a fare della tua anima la sposa di Dio, studiati di avere belle queste tue due guance dell’intenzione, affinché a imitazione della castissima tortora ti sieda solitario, come dice il Profeta, perché ti sei elevato sopra di te.

È cosa veramente superiore a te divenire sposa del Signore degli Angeli.

Non è cosa superiore a te l’aderire a Dio e formare con lui un solo spirito?

Siediti dunque solitario come la tortora.

Non avere a che fare con le folle, nulla avere in comune con la moltitudine degli altri; dimentica lo stesso tuo popolo e la casa di tuo padre, e il Re guarderà con compiacenza la tua bellezza.

O anima santa, resta sola, per riservare te stessa al solo di tutti che tra tutti ti sei eletta.

Fuggi il pubblico, fuggi gli stessi parenti, separati dagli amici e dagli intimi, perfino da quello che ti serve.

Non sai che hai uno Sposo verecondo, che non vuole farti dono della sua presenza davanti agli altri?

Ritirati dunque, ma con la mente, non con il corpo, ma con l’intenzione, con la devozione, con lo spirito.

Spirito è infatti davanti alla tua faccia Cristo Signore ( Lam 4,20 ), e richiede la solitudine dello spirito, non della carne, quantunque qualche volta giovi anche questa solitudine corporale, quando ne hai l’opportunità, specialmente nel tempo dell’orazione.

Hai anche in questo il comando dello Sposo e il suo esempio.

Tu, dice, quando pregherai, entra nella tua stanza e, chiusa la porta, prega ( Mt 6,6 ).

E quello che disse lo fece.

Solo passava la notte nell’orazione, non solo nascondendosi alle folle, ma non ammettendovi neanche uno dei discepoli, neanche uno dei suoi, intimi.

Alla fine aveva preso con sé tre dei suoi più intimi, quando si incamminava spontaneamente verso la morte; ma si scostò anche da essi per pregare.

Fa dunque anche tu lo stesso, quando vuoi pregare.

5. Del resto si richiede da te solo la solitudine della mente e dello spirito.

Sei solo se non pensi alle cose comuni, se non badi alle cose presenti, se disprezzi ciò che molti desiderano, se non curi ciò che tutti bramano, se eviti le contese, se non sei sensibile ai danni, se non ti ricordi delle ingiurie.

Diversamente, anche se fossi solo corporalmente, non saresti solo.

Vedi come puoi essere solo anche tra molti, e tra molti anche se solo!

Sei solo anche se ti trovi assiepato in una moltitudine di uomini: bada solamente di non essere giudice temerario o curioso investigatore della condotta altrui.

Anche se ti trovi davanti a un’azione cattiva del tuo prossimo, non giudicarlo, ma piuttosto scusalo.

Scusa l’intenzione, se non puoi scusare l’azione: pensa all’ignoranza, pensa a una cosa che è sfuggita, pensa al caso.

Che se la certezza della colpa non ammette affatto scusa, cerca allora di persuaderti, dicendo a te stesso: « Si è trattato certo di una tentazione troppo forte; che sarebbe successo a me se quella mi fosse capitata addosso? ».

E ricordati che io ora sto parlando alla sposa e non sto dando lezioni all’amico dello Sposo, il quale ha altri motivi per osservare diligentemente che nessuno pecchi, e di investigare se qualcuno lo faccia, per portare l’emendamento, se vi sarà stato peccato.

Da questa necessità la sposa è libera, solo preoccupata di vivere per sé e per colui che ama, e che è nello stesso tempo suo Sposo e Signore, che è benedetto nei secoli.

Amen.

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