Proviamo a capirci |
Per quanto il fatto di sentirci persone adulte ci faccia ritenere autosufficienti e quindi in grado di affrontare da soli i nostri problemi, sappiamo che in realtà per soddisfare molte esigenze della nostra vita ( e quindi per stare bene ) abbiamo bisogno degli altri.
Concretamente, abbiamo bisogno dell'idraulico che ripari lo scarico della doccia della nostra abitazione, abbiamo bisogno del conducente dell'autobus diretto in centro per poter fare la spesa, abbiamo bisogno del lattaio che ci procura quanto serve per la colazione del mattino, e così via.
Nessuno può essere contemporaneamente un idraulico, un conducente di autobus, un lattaio, e quindi chiediamo a chi si è assunto questi compiti sociali la soddisfazione delle nostre esigenze.
Oltre a necessità di questa natura, ne esistono altre, forse meno pratiche ma almeno altrettanto importanti per la vita, che non possiamo soddisfare da soli e che non hanno uno specialista come l'idraulico o il conducente di autobus o il lattaio cui potersi rivolgere.
Sono le aspettative riguardanti i nostri affetti, le nostre amicizie, il mondo del lavoro o dello studio ...; in altre parole tutto il complesso insieme delle nostre relazioni con gli altri.
Allo stesso modo delle prime ed in misura addirittura ancora maggiore, non possiamo trovarvi risposta se non attraverso un intervento altrui.
A titolo di esempio, ecco alcuni casi concreti tratti dall'esperienza di tutti i giorni.
Gianni è operaio in un'industria.
E giovane ed è animato da una forte spinta ad apprendere e a migliorare la sua competenza professionale.
In queste ultime settimane è iniziato nell'officina in cui lavora il montaggio di un nuovo impianto produttivo piuttosto sofisticato, frutto delle tecnologie più avanzate.
Gianni è interessato a lavorare sul nuovo impianto: pensa di parlare con il suo responsabile per cercare di farsi assegnare la conduzione del nuovo macchinario.
Marta fa parte di un gruppo di giovani che nel tempo libero si trovano per fare dello sport e per divertirsi insieme.
Pur avendo un carattere un po' riservato, si è molto ben inserita con gli altri.
Da qualche settimana nel gruppo ha fatto la sua comparsa Luigi: Marta lo trova particolarmente simpatico e le piacerebbe conoscerlo meglio ...
Lucetta è una signora di mezza età.
É sera tardi ed il marito è già andato a dormire, mentre lei è rimasta alzata in attesa della figlia diciassettenne che non è ancora rientrata a casa.
Prima di uscire le ha detto che sarebbe andata in macchina con un gruppo di amici in un centro vicino.
L'ora è tarda, Lucetta è preoccupata: le sarà successo qualcosa?
Tre persone alle prese con proprie aspettative o con proprie esigenze: Gianni vuole creare le premesse per migliorare le sue condizioni di lavoro, Marta vuole fare in modo che Luigi si accorga di lei, Lucetta vuole essere tranquilla sapendo che alla figlia non è successo nulla.
A ciascuna di esse manca in questo momento qualcosa per potersi sentire soddisfatta nelle proprie attese.
Nasce perciò in loro l'impulso ad agire, a fare quanto serve affinché la loro esigenza trovi risposta e poter quindi ottenere l'effetto di stare completamente bene.
Nessuno dei tre può però fare da solo quello che serve: è il responsabile di Gianni che può soddisfare la sua richiesta, è Luigi che può manifestare interesse per Marta, è la figlia di Lucetta che può rassicurarla con la sua presenza.
I protagonisti dei tre esempi sono così costretti a « cercare » il proprio interlocutore per interpellarlo e segnalargli le loro aspettative: senza un suo intervento la condizione di insoddisfazione non può essere superata.
Saranno disposti il responsabile di Gianni, il nuovo amico di Marta e la figlia di Lucetta, a lasciarsi coinvolgere?
Questa loro disponibilità dipende dal verificarsi di una condizione: è necessario che ciascuno di essi senta che il lasciarsi coinvolgere si riflette anche sul quadro delle proprie attese, rendendone possibile almeno in parte la soddisfazione.
In questo modo alla ricerca di stare bene di chi interpella viene a corrispondere lo stare bene anche di chi è interpellato.
Il responsabile di Gianni pensa che un buon superiore deve conoscere a fondo i propri collaboratori e deve quindi essere al corrente delle loro situazioni individuali.
Inoltre, considera il fatto di sentirsi interpellato dagli operai come un riconoscimento del suo ruolo.
Quando Gianni gli ha chiesto un colloquio, ha organizzato gli impegni della giornata in modo da potergli dedicare il tempo necessario.
Luigi è appena uscito da un'esperienza sentimentale a dir poco disastrosa.
Gli ultimi mesi sono stati accompagnati da continue incomprensioni, litigi, ripicche con la sua ex ragazza e Luigi si è detto che di una nuova compagnia femminile per un po' di tempo non se parla.
É entrato in questo nuovo gruppo di amici proprio per rilassarsi e ritrovare la serenità.
Ha notato l'interesse di Marta, ma pensa che per il momento mostrerà indifferenza.
La figlia di Lucetta, mentre la madre è a casa che l'aspetta, sta parlando con gli amici.
Il discorso è caduto sull'esame di maturità; tra i presenti c'è chi l'ha già sostenuto ed altri che lo preparano quest'anno.
Vengono fuori cose interessanti, ciascuno racconta la propria esperienza.
Ogni tanto si fa una battuta, ma il tono della conversazione è nel suo insieme molto serio.
La figlia di Lucetta, che è a un anno dalla maturità, è molto attenta e si è lasciata coinvolgere dall'argomento al punto che si è dimenticata dell'ora ormai tarda.
Il responsabile di Gianni si è lasciato coinvolgere perché, così facendo, ha soddisfatto il proprio bisogno di essere un buon superiore e di sentire riconosciuto il suo ruolo.
Luigi, al contrario, si è sottratto al coinvolgimento perché accettare le attenzioni di Marta andrebbe contro alla propria esigenza di distrazione.
La figlia di Lucetta non ha neppure preso in considerazione la possibilità di coinvolgersi con la madre, non rivestendo un eventuale coinvolgimento nessuna utilità per l'esigenza che sente in questo momento di interessarsi di qualcosa di molto importante per il suo futuro come l'esame di maturità.
Un unico criterio ha guidato i comportamenti di tutte queste persone, sia di quelle che hanno cercato di farsi avanti con le loro esigenze, sia di coloro cui esse si sono indirizzate: tutti hanno fatto o detto ( o non hanno fatto o non detto ) qualcosa con la finalità di cercare una risposta a propri bisogni e quindi per contribuire al proprio stare bene ( o per diminuire il proprio star male ).
Potremmo dire in altre parole che si sono presi cura della qualità della propria vita, cercando di stabilire idonei collegamenti interpersonali, che definiamo collegamenti vitali.1
Collegamenti, intanto, perché riguardano quelle esigenze che i singoli non sono in grado di soddisfare da soli, per cui si rende loro necessario stabilire dei legami, dei collegamenti appunto, con chi di volta in volta è adatto a generare con loro le risposte opportune.
Il nostro modo di vivere è molto complesso e nessuno può essere capace di provvedere da solo ai propri bisogni: anche per i più elementari, come quelli legati all'alimentazione, il singolo ha bisogno di interlocutori che gli permettano di far arrivare il cibo nel suo piatto o di far scendere l'acqua dal suo rubinetto.
Date queste condizioni, i nostri collegamenti vitali abbracciano tutto l'insieme delle nostre esigenze, risultandone esclusi i soli bisogni riguardanti le nostre funzioni vegetative governate dal sistema nervoso autonomo, come la circolazione sanguigna, la respirazione, la digestione, ecc.
Ne è perciò interessata la nostra stessa sopravvivenza fisica, legata al bisogno di alimentazione, al bisogno di recupero delle energie mediante il sonno o lo svago, al bisogno di tutela della propria integrità fisica e quindi alla necessità di fuggire il pericolo, di prevenire le malattie e di rispettare l'integrità dell'ambiente, nonché al bisogno di perpetuare la specie umana attraverso la sessualità.
Ne viene implicata anche tutta la nostra vita con gli altri: avvertiamo il bisogno di non essere soli, di sentirci accettati, di godere di considerazione e di stima, di emergere, di amare e di essere amati ...
Altri bisogni si riferiscono alla considerazione che abbiamo di noi stessi, attraverso il senso di sicurezza, la fiducia nelle nostre capacità, la spinta a migliorare ed a riuscire nei diversi campi di attività.
Infine i nostri collegamenti vitali hanno a che fare con le motivazioni che riguardano i nostri ideali, cioè le nostre convinzioni più intime e profonde.
Nessuno tra tutti i bisogni elencati può essere soddisfatto senza coinvolgere altri nostri simili, per cui tentare la soddisfazione di ciascuno di essi significa necessariamente ricorrere a collegamenti vitali: essi hanno infatti a che fare con l'essenza della nostra vita, nelle sue manifestazioni più materiali così come in quelle più nobili e spirituali.
Da come riusciamo a farli funzionare dipende quindi il nostro « sentirci bene » e, di conseguenza, la qualità della nostra vita.
Tutto quanto diciamo o facciamo, volontariamente o involontariamente, per stabilire i nostri collegamenti vitali, per coltivarli, per regolarli, per modificarli, per sollecitarli, per interromperli o per evitarli va sotto il nome di comunicazione.
Riprendendo gli esempi da cui siamo partiti, Gianni non aveva altra scelta se non comunicare al suo responsabile il suo bisogno di crescita professionale, così come quest'ultimo ha trovato nella comunicazione con Gianni la risposta alla sua esigenza di essere un buon superiore; Marta ha comunicato in qualche modo la sua aspettativa sul conto di Luigi ( saranno stati certi suoi sguardi? certi suoi atteggiamenti? ) tant'è che lui se ne è accorto e a sua volta ha comunicato la sua intenzione di non farsi coinvolgere ( distogliendo lo sguardo? evitandola? ); Lucetta è in ansia perché non può comunicare con la figlia ( cioè ricevere la rassicurazione che non le è successo nulla ) e quest'ultima, con la sua assenza e pur essendone inconsapevole, comunica alla madre che al momento non pensa di rientrare a casa.
Per tutti comunicare è una scelta obbligata; non comunicare comporterebbe non fare nulla per risolvere un proprio bisogno, cioè rimanere inerti in presenza di una situazione insoddisfacente.
Gli sposi non possono se non comunicare l'uno con l'altro per soddisfare al proprio bisogno di amare e di essere amati.
Un genitore non può se non comunicare con il figlio per essere gratificato nel suo bisogno di sentirsi un buon educatore ed il figlio dovrà comunicare con il genitore se vuole essere un buon figlio.
Un datore di lavoro o i suoi rappresentanti non possono se non comunicare con i dipendenti se vogliono essere dei buoni imprenditori o dirigenti, così come il dipendente non può sottrarsi alla comunicazione con loro se vuole avere garantita la risposta alle esigenze materiali e di sicurezza per il futuro suo e dei propri familiari.
L'allievo non può non comunicare con l'insegnante se vuole imparare, ma anche l'insegnante non può non fare altrettanto con l'allievo se vuole esprimere la sua disposizione personale all'insegnamento.
I fedeli hanno bisogno di comunicare con il sacerdote ed il sacerdote di comunicare con i fedeli.
Il superbo non può far a meno degli altri per soddisfare il suo bisogno di mettersi in vista, l'umile per dar prova di mansuetudine, l'energico per guidare, il sottomesso per sentirsi protetto, l'arrogante per prevaricare, l'egoista per pretendere, l'altruista per donare ...
A questo punto i presupposti dell'atto del comunicare risultano piuttosto lineari: tutti vogliamo vivere e stare bene con noi stessi e con gli altri; per ottenere questo risultato la via obbligata passa attraverso la soddisfazione dei nostri bisogni; questa soddisfazione ci arriva nella quasi totalità dei casi attraverso gli altri, per cui siamo indotti ( potremmo forse dire costretti ) a cercare di volta in volta gli indispensabili collegamenti vitali, cioè a comunicare.
Qualcuno potrebbe rilevare che questo modo di considerare la comunicazione riduce i rapporti tra le persone a successioni di squallide manovre per assoggettare gli altri al proprio volere, con l'intenzione di sfruttarli e di strumentalizzarli in vista di un'egoistica soddisfazione.
Oppure che tutto ciò fa pensare ad una specie di mercato in cui ciascuno comunica per negoziare una mercé speciale rappresentata dai comportamenti altrui, di cui servirsi per ottenere il suo massimo benessere.
La qual cosa sembra non prendere in considerazione i moltissimi esempi di relazioni totalmente gratuite e disinteressate, mosse da motivazioni del tutto estranee alla ricerca dello stare bene individuale, che pure non mancano nella nostra esperienza.
Ebbene, ci sembra che queste obiezioni presuppongano una visione meno lontana dalla nostra di quanto non appaia a prima vista.
Possiamo infatti considerare gratuite e disinteressate alcune relazioni tra le persone solo se le riferiamo al livello del tornaconto materiale ed immediato, ma lo appaiono subito meno se cogliamo in esse il movente di soddisfare bisogni dello spirito, come quelli di amare, di conoscere, di corrispondere ai propri ideali o di essere coerenti con i propri valori.
L'atto del comunicare neanche in questi casi è fine a se stesso, ma è guidato da intenzioni attraverso le quali passa la ricerca delle risposte a bisogni della persona, per quanto nobili ed elevati.
Sono queste in effetti le basi sulle quali ciascuno costruisce un'immagine di come riterrebbe giusto e necessario « essere »; e, una volta elaborato questo modello, questa specie di controfigura ideale, sente nascere il bisogno di aderirvi concretamente.
Ma per arrivare a questo scopo non può fare a meno degli altri.
Gli altri per aiutarli, gli altri per consigliarli, gli altri per elevarli, gli altri per liberarli, gli altri per istruirli, gli altri per guarirli, e così via.
Lo stesso eremita che, isolato nel suo romitaggio, sta conducendo la sua vita frugale ed essenziale per corrispondere al suo ideale di spiritualità, ha bisogno degli altri e comunica con gli altri ( o non comunica, ma, come vedremo in un prossimo capitolo, tra i due atteggiamenti paradossalmente non c'è differenza ) in base alla sua esigenza di non essere distratto nella sua ricerca ascetica da preoccupazioni mondane.
É in gioco il suo « stare bene » come eremita, cioè il fatto di riuscire a sentirsi un buon eremita, di corrispondere al modello che ha elaborato.
Come si può facilmente notare, entrambe le posizioni, alla prova della realtà, riconoscono il motivo ispiratore della comunicazione nella universale esigenza dello stare bene personale.
Questo motivo ispiratore può essere di natura egoistica, edonistica, sensuale, così come altruistico o addirittura votato ad un eroico superamento di se stessi.
Tutti sono però finalizzati allo stare bene: a far in modo cioè che un altruista corrisponda al suo ideale di altruista e si senta bene nel modo concreto con cui riesce a vivere da altruista, un egoista corrisponda al suo ideale di egoista e stia bene nel modo concreto con cui riesce a vivere come egoista e così via.
Lo stare bene di cui andiamo parlando è pertanto il risultato atteso da qualsiasi persona quando agisce per trovare la risposta al quadro delle sue personali motivazioni, secondo una sua altrettanto personale classificazione nell'ordine di valore.
I problemi nascono piuttosto dal fatto che siamo costantemente sollecitati da stimoli provenienti da più bisogni contemporaneamente.
Ad esempio, non è così facile per un genitore educare in modo rigoroso i figli ed al tempo stesso dimostrare loro affetto, o per un responsabile di azienda essere rispettato e contemporaneamente creare un clima che favorisca il coinvolgimento dei sottoposti.
É evidente come ciascuno di questi singoli bisogni richieda di impostare il relativo collegamento vitale, cioè di comunicare, in modo conseguente.
É anche possibile che, nel momento in cui siamo sollecitati contemporaneamente da due motivazioni, pensiamo di comunicare in vista della soddisfazione di una di esse, ma che di fatto orientiamo senza accorgercene la nostra comunicazione nell'altra direzione trovandoci così di fronte a reazioni nei nostri interlocutori che possono lasciarci stupiti.
Lea è insegnante in una scuola elementare.
Con le colleghe ha deciso di tentare un coinvolgimento ed una maggiore responsabilizzazione dei genitori degli alunni con lo scopo di creare una maggiore continuità tra i metodi educativi usati a casa e quelli usati a scuola.
All'inizio dell'incontro con i genitori Lea apre la discussione dicendo che le insegnanti hanno notato qualche segno di disorientamento in diversi bambini, disorientamento che potrebbe essere evitato qualora si migliorasse la collaborazione tra genitori ed insegnanti.
Molti genitori intervengono per esporre il proprio pensiero.
Puntualmente ognuno di questi contributi viene commentato da una o l'altra delle insegnanti con l'atteggiamento di chi ha la certezza professionale di avere la verità dalla sua.
La riunione si conclude con un richiamo ai genitori sugli atteggiamenti educativi da tenere con i figli a casa.
Nelle settimane successive le maestre notano che l'abitudine di molti genitori di intrattenersi brevemente con loro al momento dell'uscita degli alunni è andata via via scomparendo: è come se si avvertisse un certo distacco, quasi una freddezza.
Si stupiscono di ciò e si chiedono come mai, malgrado lo sforzo fatto per coinvolgere le famiglie, si sia giunti a questo stato di cose.
Dario lavora come responsabile di un gruppo di progettisti.
I problemi tecnici da risolvere ogni giorno sono molti e richiedono competenza, creatività e collaborazione da parte di tutti.
Se venissero a mancare questi requisiti, Dario verrebbe sommerso da mille grattacapi che finirebbero fatalmente sulla sua scrivania di responsabile.
Si preoccupa pertanto di mantenere quanto più possibile cordiali i rapporti con i suoi progettisti.
C'è anche bisogno di polso però: si tratta di gente per lo più giovane, tecnicamente preparata, rampante.
Se non sta attento, c'è il rischio che se lo mangino in un boccone, lui che viene dalla gavetta, che non ha come loro la laurea in ingegneria, che se la cava egregiamente quando si tratta di discutere di fatti tecnici, ma che va in crisi quando serve la dialettica.
E i suoi collaboratori, quelli più giovani specialmente, di dialettica ne hanno fin troppa!
Dario si trova in un bel pasticcio: gli serve comunicare in un modo adatto a stimolare la collaborazione ed il dialogo tecnico in modo da rispettare il suo bisogno di non venir schiacciato dai problemi, ma vuole anche far sì che sia rispettato il suo ruolo di responsabile.
Per ottenere il primo scopo bisogna che la comunicazione avvicini a sé i suoi sottoposti, per conseguire il secondo la comunicazione deve mantenere la giusta distanza.
Dario è comunque arrivato alla conclusione che per evitare lo stress bisogna rischiare: dedicherà più tempo alle riunioni per garantirsi il coinvolgimento di tutti e mantenere un clima collaborativo.
Vediamolo all'opera nel primo di questi incontri con i suoi collaboratori.
Uno dei progettisti ha appena finito di fare il punto sullo stato di avanzamento della stesura di un progetto.
Lo stesso relatore ha sottolineato l'esistenza di alcune difficoltà e si apre una discussione sui modi adatti per il loro superamento.
Dario ascolta in silenzio i pareri di tutti, prende nota della varietà delle idee e dei suggerimenti che emergono da questo scambio.
Poi, guarda l'ora, decide che è tardi e che è il momento di concludere.
Prende la parola e, punto per punto, comunica le sue decisioni operative che da adesso in poi saranno vincolanti per tutti.
Nelle riunioni successive Dario nota con stupore che il clima relazionale è molto freddo, che gli interventi dei suoi progettisti si limitano a denunciare gli inconvenienti; sembra quasi che, a differenza di quanto avvenuto nella prima riunione, si aspettino da lui le soluzioni.
Sia Dario che Lea e le sue colleghe hanno comunicato con l'intenzione di soddisfare l'esigenza di coinvolgere e di creare un clima collaborativo.
In entrambi i casi, con le continue precisazioni delle insegnanti e con il silenzio iniziale di Dario seguito dal suo perentorio intervento conclusivo, l'atteggiamento relazionale utilizzato è stato invece mirato a soddisfare l'altro bisogno: quello di vedere riconosciuto il ruolo di educatrici esperte nel primo caso, di responsabile d'ufficio nel secondo.
Mettiamoci nei panni dei loro interlocutori nelle due situazioni: come pensare di lasciarsi motivare al coinvolgimento quando si sente tagliar corto con tono direttivo sui propri ragionamenti; o quando ogni proprio pensiero viene sottoposto a severo vaglio critico!
Quando comunichiamo lo facciamo per aver cura di noi stessi e dei nostri bisogni, quelli più importanti come quelli meno importanti ... anche quello di fare semplicemente quattro chiacchiere con una persona incontrata per caso.
Per quanto possa sembrare strano, pure gli episodi più banali trovano la loro ragion d'essere nelle ricerca di una gratificazione ( quella forse piccola, ma percettibile, corrispondente al bisogno di quel momento di scambiare due parole con qualcuno ) e quindi di stare bene in quella particolare circostanza.
Anzi, sappiamo per esperienza come lo stare bene si leghi solo eccezionalmente ad aspetti molto rilevanti della vita, come il successo, o la grande prova d'amore, o il superamento di difficoltà apparentemente insormontabili come certe malattie o certi conflitti.
Il nostro stare bene dipende piuttosto dalla qualità delle piccole cose di tutti i giorni, dal trovar risposta ai nostri piccoli bisogni, quelli minimi che accompagnano momento per momento la nostra esistenza.
La felicità, si potrebbe dire, non arriva in banconote di grosso taglio, ma mediante tante piccole monete che prese una per una non hanno grande valore, ma messe insieme possono fare un tesoro.
Qualche volta avremo successo, qualche volta falliremo.
In certi casi riusciremo a costruire il nostro stare bene, talvolta creeremo invece senza volerlo, con le nostre stesse mani, le premesse per piccole o grandi infelicità.
Sviluppare una maggiore attenzione a come ci presentiamo agli altri quando cerchiamo e offriamo collaborazione per la soluzione dei rispettivi bisogni può allora essere un modo difficile, ma alla nostra portata, di costruire il nostro oroscopo: alla nostra felicità, cioè alla soluzione della maggior parte delle difficoltà che ci presenta la vita, possiamo dare molte risposte non cercandole negli astri, ma nelle nostre capacità nel servirci della comunicazione.
Ogni persona si aspetta di fare esperienze positive e quindi di stare bene.
Perché una persona stia bene è necessario che i suoi bisogni individuali abbiano trovato adeguata soddisfazione.
Le risposte ai bisogni individuali richiedono nella grandissima maggioranza dei casi l'intervento di altri e si rende quindi necessario ottenere il loro coinvolgimento.
Questo coinvolgimento comporta lo stabilirsi di collegamenti vitali.
Lo strumento di cui disponiamo per i nostri collegamenti vitali è la comunicazione.
La comunicazione può essere definita come una successione di tentativi per stabilire collegamenti vitali con chi riteniamo adatti a soddisfare i bisogni cui da soli non siamo in grado di dare risposta.
Indice |
1 | Nel loro libro « L'albero della conoscenza » ( ed. Garzanti ) gli studiosi Maturana e Varela usano l'espressione accoppiamento strutturale in unità di terzo ordine per esprimere il medesimo concetto |