Proviamo a capirci |
Il primo punto da considerare per curare i nostri collegamenti vitali riguarda la molteplicità di forme attraverso le quali ci esprimiamo tutte le volte in cui comunichiamo.
Questa molteplicità di forme si manifesta in tutte le occasioni di comunicazione, come nell'esempio che riportiamo.
Silvio è un uomo di mezza età, molto semplice nei modi e dal carattere conciliante.
La sua vita si svolge con serenità nel solito tran tran di tutti i giorni.
C'è un solo neo che di tanto in tanto mina la tranquillità dei suoi pensieri: una vecchia questione mai risolta con il cugino Carlo.
Da ragazzi sono cresciuti insieme passando insieme tutto il loro tempo come due fratelli; successivamente, sposati entrambi, hanno avuto a che dire per una banale faccenda di interesse e da allora hanno completamente interrotto i rapporti.
Si ignorano ormai da anni.
Silvio è rincasato alla solita ora, ma anziché posare il giornale e togliersi la giacca nell'ingresso come fa abitualmente, entra direttamente nel tinello dove la moglie sta lavorando.
Gli occhi di Silvio sono lucidi, lo sguardo è intento ed illuminato, il suo volto è pallido, ma c'è una traccia di rossore sui suoi zigomi.
Si ferma a qualche passo dalla moglie, è immobile, la mano sinistra serra il giornale con forza e questa pressione fa apparire un biancore sulle nocche delle dita.
Il suo respiro è un po' affannato, deglutisce.
La sua voce esce tutta d'un fiato, le parole si accavallano, il tono è eccitato: « In ufficio ho ricevuto una telefonata di Carlo. Ci invitano a casa loro per domenica prossima. Gli ho detto che saremmo andati ».
Che cosa ha comunicato Silvio?
Siamo facilmente d'accordo nel dire che ha informato la moglie sul contenuto di una telefonata ricevuta e sul programma familiare della domenica successiva.
Questo è il significato che ha trasmesso per mezzo delle parole che ha usato.
Si tratta però solo dell'aspetto più evidente; in realtà Silvio ha trasmesso molte altre informazioni importanti che contribuiscono a dare maggiore completezza al significato legato alle parole.
Già il modo di entrare in casa per lui inusuale ha segnalato che c'è qualcosa di eccezionale, tale da fargli dimenticare gesti automatici ripetuti chissà quante volte, come levarsi la giacca e appoggiare il giornale.
La mimica del suo volto dice che è commosso ( ha gli occhi lucidi ), molto emozionato ( è pallido ), sbalordito ( lo sguardo intento e illuminato, gli zigomi arrossati ).
La sua immobilità e la tensione delle mani indicano nervosismo ed emozione, che trovano conferma nel tono di voce, nel modo di parlare, nell'accavallarsi delle parole.
Silvio si è servito di più mezzi per comunicare, molti dei quali senza esserne consapevole.
Ha usato le parole scegliendole nel suo vocabolario come le più adatte alla circostanza.
Nel pronunciare queste parole ha adottato un certo tono di voce, un certo volume, un certo timbro ed ha fatto un certo uso delle pause.
Si è servito del viso atteggiando i lineamenti ad una certa mimica, fissando lo sguardo in un certo modo, modificando il colorito abituale della sua pelle.
Ha usato il corpo comandandogli di fare o di non fare certi movimenti.
Ha utilizzato le mani disponendole in un certo tipo di gestualità.
Ciascuno di questi particolari ha integrato e completato il significato specifico delle parole usate.
Quanto ciò sia importante è facilmente dimostrabile.
Proviamo, servendoci della nostra immaginazione, a modificare qualche particolare nella descrizione dell'episodio: potrebbe essere un cambiamento nell'espressione dello sguardo, o nella mimica del volto, o nel tono di voce, o negli atteggiamenti del corpo.
Ci accorgiamo immediatamente che Silvio in questo caso ci fa arrivare un messaggio diverso, pur avendo lasciate immutate le parole usate.
Prendiamo un altro esempio.
Immaginiamo un padre nell'atto di rivolgersi ad un figlio undicenne con queste parole: « Vuoi spiegarmi che cosa hai fatto oggi all'uscita da scuola? ».
In un primo caso supponiamo che il figlio sia seduto sul divano del tinello e che il padre sia in piedi di fronte a lui con il busto eretto e con le mani sui fianchi.
In un secondo caso vediamo il padre seduto sul divano di fianco al figlio.
Ci accorgiamo che le parole pronunciate, pur restando le stesse, assumono nelle due circostanze significati completamente diversi: nel primo modo il padre trasmette l'intenzione di indagare o di rimproverare, nel secondo, al contrario, di voler essere informato o di capire.
Potremmo pensare alla nostra facoltà di comunicare come ad un direttore d'orchestra che ha diretto un concerto di cui sdamo ascoltando la registrazione.
Può sembrare che il motivo musicale da noi percepito sia prodotto da pochi strumenti, quelli che nella partitura è previsto abbiano maggiore risalto.
Se però affiniamo il nostro ascolto o, ancor meglio, assistiamo di persona al concerto, ci accorgiamo che il direttore dispone di molti più orchestrali e che l'armonia ottenuta è il frutto del suo abile lavoro di integrazione e di fusione dei suoni e dei timbri, talvolta anche sommessi, prodotti da tanti strumenti.
Allo stesso modo, la nostra facoltà di comunicare si serve di più strumenti espressivi: quelli verbali, quelli che arricchiscono le parole di toni, timbri, volumi, quelli gestuali ... e, all'interno di ciascuno di questi insiemi, quelli appartenenti alle loro sottocategorie.
Tutte le volte in cui comunichiamo, ciascuno di essi esegue la sua parte, esattamente come gli orchestrali; ed il risultato complessivo, cioè il messaggio prodotto, è il frutto del contributo di tutti, nessuno escluso.
Di conseguenza, qualora uno solo di essi modifichi anche leggermente la sua esecuzione, il significato risultante ne viene a sua volta trasformato.
A ben riflettere, le modalità non verbali di comunicazione sono le prime di cui abbiamo fatto esperienza nella nostra vita.
Ancora nel grembo di nostra madre che ci ha ospitati prima della nascita siamo stati cullati dal messaggio rassicurante rappresentato dal suono del suo battito cardiaco e dal ritmo alternato del suo respiro.
Poi è stata la nostra pelle il veicolo principale di comunicazione: attraverso di essa ci siamo sentiti piacevolmente interpellati quando siamo stati presi in braccio e rassicurantemente accuditi quando le nostre labbra hanno incontrato il seno materno.
Più tardi ancora, sono state le carezze e le coccole sulle ginocchia degli adulti a segnalarci che avevamo un posto importante nella loro vita.
Abbiamo dimostrato il nostro piacere nel ricevere questi messaggi facendoci vedere eccitati e contenti.
Man mano però che crescevamo e che diventavamo più abili nell'uso delle parole, ci hanno però insegnato a non lasciar trasparire troppo le emozioni attraverso il linguaggio della mimica e della gestualità.
Per diventare adulti abbiamo dovuto imparare a dissimulare i nostri stati d'animo attraverso un più attento controllo dei modi di comunicare corporei ed al tempo stesso sviluppare la nostra abilità nell'uso del vocabolario.
Talvolta questa regola della vita adulta rischia di diventare troppo vincolante.
Per esempio, tutti noi trascorriamo ormai una quantità maggiore di tempo ( se escludiamo le ore dedicate al sonno ) impegnati nel lavoro che non con i nostri familiari.
Molto spesso non vediamo l'ora che la giornata finisca attratti dalla prospettiva di tornare nel calore della nostra casa, dove trovare pace e rilassamento con attorno a noi visi che ci sono cari.
E poi, quando finalmente, dopo mille peripezie nel traffico cittadino, arriviamo a casa ... sembriamo dimenticare l'aspettativa che ci ha accompagnato tutta la giornata: il tanto atteso piacere serale di ritrovarsi con la persona che amiamo si riduce il più delle volte ad un saluto freddo e distratto perché è l'ora del telegiornale o perché ci sono le faccende domestiche da sbrigare.
Per di più questi modi di reincontrarsi della coppia interessano anche degli spettatori che ne restano coinvolti per la loro stessa presenza in famiglia.
Ad esempio, come farà un figlio che assiste tutti i giorni a questo modo distaccato di ricongiungersi dei suoi genitori a pensare che papa e mamma si vogliono bene?
Forse perché papa paga l'affitto e mamma stira le camicie?
Eppure quei due si vogliono veramente bene, ma sono diventati troppo adulti per concedersi di dire con un briciolo di slancio quanto sentono importante l'altro.
Non si tratta certo di corrersi incontro tutte le sere a braccia aperte e di dar vita alla scena hollywoodiana di un abbraccio mozzafiato.
Si tratta piuttosto di concedersi un gesto di attenzione reciproca per comunicare sentimenti ed emozioni.
Questo stesso piccolo gesto sotto gli occhi di un figlio gli fa capire che « quei due » se la intendono e ciò rappresenta per lui una specie di polizza di assicurazione sul suo futuro, perché attraverso questi atteggiamenti sente garantito l'appoggio di una coppia genitoriale unita.
É vero che ogni tanto assiste a discussioni tra di loro, che qualche volta li vede farsi il broncio, ma, passata la burrasca, è evidente dai loro atteggiamenti che stanno bene insieme.
Nella richiesta durante la crescita di rinunciare alle modalità di comunicazione di tipo non verbale in modo da non lasciar trasparire apertamente le emozioni, avviene un fatto curioso: si è molto più esigenti verso i maschi che verso le femmine.
Spesso si invita infatti un bambino che piange a non comportarsi come una femminuccia, mentre si definisce maschiaccio una bambina padrona delle sue reazioni e capace di farsi valere.
Troviamo l'effetto di questi diversi atteggiamenti educativi nella vita degli adulti.
Osserviamo due donne che si incontrano: esse usano molti modi per salutarsi e manifestare, se è il caso, il piacere di essersi incontrate: può essere il viso che si atteggia al sorriso quando sono ancora troppo distanti per parlarsi, poi è il tono della voce che esprime la gioia del saluto e può darsi che decidano di prendersi a braccetto per fare un tratto di strada insieme.
Due uomini nella stessa circostanza si sarebbero probabilmente limitati ad una stretta di mano ed eventualmente a camminare l'uno di fianco all'altro nel caso avessero deciso di fare la stessa strada.
Questa minore dimestichezza dei maschi nell'uso degli strumenti di comunicazione non verbali li limita spesso nel loro ruolo educativo di padri.
Se è vero infatti che la natura ha voluto, organizzando la procreazione attraverso la maternità, che si instaurasse un rapporto particolarmente profondo tra madre e figlio, è altrettanto vero che fin dai primi mesi di vita è possibile anche ad altri adulti stabilire un rapporto affettivo con un bambino, a patto però di rispettare i suoi modi spontanei di comunicare, modi che coinvolgono prevalentemente la corporeità.
I padri, essendo in quanto maschi meno esperti in comunicazione non verbale per i motivi accennati, possono trovarsi in imbarazzo con i propri figli quando vogliono creare le condizioni per un legame affettivo basato su quella spontaneità e confidenza corrispondenti ai bisogni dei bambini.
Rischiano così spesso, con il passare degli anni, di essere percepiti come assenti o disposti a coinvolgersi solo quando non se ne possa fare a meno, soprattutto per sgridare o per vietare, forse più temuti che amati.
Anche la vita intima di coppia è influenzata dalla diversa abilità e sensibilità sviluppate da uomo e donna nel comunicare attraverso la gestualità e la corporeità.
Molte donne dicono che gli uomini vogliono solo « quello », mentre loro vorrebbero che « quello » rappresentasse il culmine di attenzioni e di manifestazioni affettive loro riservate da un corteggiatore attento.
Alcuni uomini, per parte loro, affermano che sono tutte storie, che si tratta di trucchi, neanche troppo scaltri, usati dalle donne per rendersi preziose.
Tralasciamo le polemiche e limitiamoci a dire che nella sfera sessuale, regno degli strumenti di comunicazione corporea, la donna si aspetta, molto di più rispetto a quanto si aspetti il maschio, di coinvolgersi e di essere pienamente coinvolta nello scambio di una molteplicità di significati affettivi ed emotivi trasmessi e percepiti attraverso i corpi.
La sensibilità femminile è sotto questo profilo più ricca di espressioni e di aspettative, proprio a seguito della maggiore libertà concessa alle femmine nel corso del processo educativo di usare mimica, gestualità e corporeità per accompagnare ed esprimere le emozioni.
Risulta pertanto per la maggior parte delle donne innaturale non farvi ricorso e non goderne gli effetti nel corso di un'esperienza sessuale, al punto da sentirsene defraudate nel caso in cui l'approccio maschile non vi presti la necessaria attenzione.
Ci accorgiamo di quanto siano importanti le altre modalità di comunicazione con cui accompagniamo, anche inconsapevolmente, le parole, quando siamo costretti a rinunciarvi.
Prendiamo una conversazione telefonica.
Non ci è concesso in questo caso vedere chi si trova all'altro capo del filo e dobbiamo quindi accontentarci delle parole e della voce.
Attraverso quest'ultima ci arrivano già molte indicazioni con il suo tono, le sue pause, le sue modulazioni.
Ben altra cosa sarebbe però se potessimo cogliere le espressioni del volto ed i gesti che vi sono associati.
Tant'è che, quando riteniamo un argomento particolarmente delicato, usiamo il telefono solo per accordarci su un appuntamento, in modo che, incontrandoci successivamente di persona, possiamo fruire di tutta la ricchezza di espressioni dei nostri interlocutori sia sul piano verbale che su tutti gli altri piani.
Non solo parole quindi per comunicare, ma toni di voce, modulazioni, timbri, mimiche, gesti.2
Abbiamo sin qui dato per scontato che nella singola circostanza specifica ognuna di queste modalità concorra per la sua parte a trasmettere un unico significato, così come in un'orchestra tutti i musicisti danno il loro contributo all'armonia del pezzo suonato.
Come però un singolo orchestrale può stonare, cioè emettere un suono in disaccordo con quello degli altri, allo stesso modo è possibile per noi dire una cosa mediante una delle nostre modalità di espressione e qualcosa di diverso con le altre.
Nando è supervisore in un grande complesso industriale.
Ha appena riunito i suoi collaboratori per trasmettere loro alcune disposizioni di lavoro ricevute dal proprio superiore.
Per la verità, Nando non è molto d'accordo con l'impostazione data da quest'ultimo: gli ha fatto subito presente le sue perplessità ed ha proposto alcune alternative a suo modo di vedere più efficaci, ma senza riuscire a convincerlo.
Si trova ora a dover cercare il consenso operativo dei suoi operai su qualcosa di cui lui stesso è il primo a non essere convinto.
Non è certo la prima volta che si trova in circostanze come questa.
Sa per esperienza che bisogna mostrarsi sicuri, senza tradire la minima esitazione, altrimenti c'è rischio di soccombere sotto un fuoco di fila di obiezioni, alla fine delle quali sarebbe comunque costretto a tagliare corto con un « Si fa così e basta! » di stampo autoritario, che Nando vuole evitare per non alterare il buon clima di collaborazione che ha creato nel suo gruppo.
Eccolo quindi esporre le nuove disposizioni: la sua voce è chiara e ferma, il tono trasmette determinazione, i lineamenti del volto denotano fermezza, la gestualità contenuta e precisa sottolinea l'importanza dell'argomento.
Un solo piccolo particolare tradisce il conflitto interno di Nando: il suo sguardo si sposta continuamente e nervosamente da un volto all'altro, quasi a cercarvi il segnale anticipatorio di un'eventuale obiezione che lo possa mettere in difficoltà.
Se interrogassimo singolarmente gli operai probabilmente nessuno sarebbe in grado di precisare che lo sguardo del superiore ha oggi quelle caratteristiche; molti ( se non tutti ) affermerebbero però che questa volta nel modo di rivolgersi loro di Nando c'è qualcosa di insolito, che non permette loro di capire bene.
Trattandosi di disposizioni di lavoro importanti, essi hanno però bisogno di capire per evitare errori, per cui sorge loro spontaneo l'impulso a fare domande, a fare obiezioni.
Questo era proprio quello che Nando cercava di evitare!
Nando ha cercato di trasmettere sicurezza e determinazione tenendo sotto controllo molte modalità di comunicazione, come i gesti, l'espressione del viso, il tono e le inflessioni della voce, soprattutto le parole.
Attraverso lo sguardo, al contrario, ha manifestato fragilità ed incertezza.
Ciò ha posto un problema di interpretazione ai suoi operai: se cioè basarsi sui segnali che denotano sicurezza e trascurare il segnale discordante rappresentato dallo sguardo, o viceversa.
Nel caso di discordanze come questa, è curioso come sia proprio quel segnale discorde, proprio quello che tradisce l'aspetto che vorremmo evitare di far passare, quello che attira di più l'attenzione dei nostri interlocutori.
Consideriamo un secondo esempio.
Antonietta e Pino hanno deciso di comperare una telecamera.
Ormai ce l'hanno tutti.
Nessuno dei due ha una cultura tecnica che possa aiutare la scelta; per farsi un'idea sul modello da acquistare hanno chiesto ad amici, con il risultato di confondere ancor più le idee.
Un sabato pomeriggio decidono di recarsi i un negozio specializzato per confrontare tra loro i diversi modelli in commercio, sperando così di capirne meglio le caratteristiche.
Trovano un commesso molto preparato che fornisce loro con pazienza tutte le informazioni del caso.
Egli è molto motivato a questo lavoro e si sforza di fare bella figura sia con la clientela che con il titolare.
Mentre illustra con competenza le caratteristiche dei diversi articoli, da buon venditore blandise con il tono della voce i due possibili acquirenti, li asseconda con modi un po' cerimoniosi, li avviluppa in maniere suadenti.
Ad un certo momento Antonietta e Pino si scambiano uno sguardo di intesa e poi, rivolgendosi al commesso: « La ringraziamo. Dobbiamo pensarci ancora su. Buona sera ».
Appena usciti sulla via dicono che finalmente ora sanno tutto sulle telecamere, ma che qualcosa ha suggerito loro di non lasciarsi coinvolgere dal commesso e di rimandare l'acquisto.
Cosa è successo? Il commesso ha usato le parole per rispondere in modo competente alle curiosità di Antonietta e Pino e, a tempo stesso, messaggi non verbali per convincerli in modo insistente all'acquisto.
L'accentuazione da parte del venditore dell'uso delle modalità non verbali li ha allarmati: fidarsi della competenza risultante dalle parole o rischiare di lasciarsi abbindolare dai modi del commesso?
Per rispondere a questa alternativa Antonietta e Pino hanno tenuto maggiormente conto dei segnali non verbali.
Ciò non è avvenuto per caso.
La maggior parte delle persone si comporta allo stesso modo, ben consapevole che, se è relativamente facile per molti manipolare la realtà con le parole, è molto raro incontrare attori talmente consumati da riuscire a fare altrettanto ed in modo coerente con numerosi e diversificati strumenti di comunicazione non verbali.
Meglio perciò fare affidamento su questi ultimi e diffidare delle parole.
Esistono altre situazioni di incompatibilità tra il significato delle parole e quello trasmesso con le modalità non verbali, che hanno la particolarità di presentare vincoli così complessi da rendere impossibile scegliere a quale dei due credere.
Olga è la giovane madre di Matteo, un bambino di due anni.
Olga è molto meticolosa in tutto quello che fa: già a scuola era sempre molto preparata ed anche ora, in ufficio, è considerata, malgrado la sua limitata anzianità di servizio, un'impiegata modello.
Ce la mette proprio tutta nelle cose che fa e ci tiene ad essere apprezzata.
Anche nel tenere la casa in ordine, pur con il poco tempo che le resta da dedicare alle faccende domestiche, è inappuntabile.
Tutti le hanno detto che con la sua puntigliosità nel far tutto nel migliore dei modi e con la sua ancor giovane età le sarebbe riuscito difficile conciliare le esigenze del lavoro e della cura della casa con il ruolo di madre.
Effettivamente la nascita di Matteo le ha richiesto uno sforzo molto accentuato soprattutto da quando, terminato il periodo di assenza dal lavoro per maternità, ha dovuto dividersi nei suoi diversi ruoli di madre; donna di casa ed impiegata.
Olga è molto orgogliosa di suo figlio e dei suoi progressi.
Naturalmente vuole che Matteo abbia la migliore mamma che si possa desiderare e si sforza di aderire, come sempre, ad un ideale di perfezione.
Ci sono momenti in cui avverte lo slancio a stringersi al petto il suo bimbo, come tutte le mamme.
Ci sono anche attimi in cui però scruta negli occhi di Matteo quasi per capire dal suo sguardo se è contento della mamma che ha.
Quando la mamma gli spalanca le braccia è come se Matteo sentisse una molla scattare spingendolo nell'abbraccio.
Sente la voce di mamma che lo invita con affetto e calore.
Alza gli occhi: lo sguardo di mamma non è però sereno, sembra dirgli qualcosa di diverso si direbbero gli occhi di chi deve superare una prova, un esame, occhi che sembrano far dipendere da quel bimbetto la sua considerazione di sé come madre.
Matteo è in difficoltà: obbedire all'invito dell'abbraccio o obbedire al « mi fa paura il tuo giudizio » che c'è nello sguardo di Olga?
Matteo vuole bene a mamma e vuole essere obbediente, ma lei lo ha messo nella condizione difficilissima di non poter obbedire se non disobbedendo.
Se infatti si concede all'abbraccio va contro il messaggio « ti sento come un giudice che mi intimorisce »; e se, al contrario, si ritrae, delude l'attesa della madre di stringere a sé il suo piccolo.
Matteo coglie all'interno della comunicazione di Olga due messaggi simultanei trasmessi dalla madre mediante modalità espressive diverse che fanno passare attese opposte.
Si trova così in grande difficoltà nell'interpretare la situazione e nel decidere in base a quale dei due messaggi reagire.
Essendo molto coinvolto affettivamente con la madre come tutti i bambini, c'è rischio che Matteo non riesca ad uscire da questo imbarazzo proprio per evitare di deluderla.
Secondo alcuni studiosi, che chiamano « doppio legame » questa particolare situazione di comunicazione, la presentazione sistematica e simultanea ad un bambino di messaggi contrastanti ed incompatibili sarebbe all'origine di gravi disturbi di adattamento.
Nella vita adulta situazioni analoghe di doppio legame, pur sempre poco piacevoli, possono avere fortunatamente conseguenze meno problematiche.
Alfredo è alto dirigente in una società finanziaria.
La sua lunga esperienza lo ha portato nel tempo a coprire posizioni di elevata responsabilità in tutti i settori aziendali, per cui, grazie alla capacità che ha sviluppato nell'analizzare i problemi da più prospettive, i suoi pareri sono molto ascoltati ed influiscono in modo determinante sulle strategie aziendali.
Alfredo non è più giovane e pensa da qualche tempo a chi possa in futuro subentrargli nell'incarico.
Il requisito più importante del successore è rappresentato secondo lui, oltre che dalla competenza, dalla capacità di decidere con coraggio ed autonomia.
Tra i collaboratori di Alfredo c'è Vanni, un quarantenne che sembrerebbe dotato di queste caratteristiche.
Decide di metterlo alla prova affidandogli la conduzione di una trattativa di grande importanza per la società.
Vanni è orgoglioso di aver meritato una così evidente considerazione e sa che è un'occasione da non sprecare.
Sa anche che dovrà dimostrarsi indipendente, dar prova di capacità di iniziativa e di grinta per soddisfare le attese di Alfredo.
Da quando ha preso in mano la cosa, Vanni nota però che viene chiamato sempre più spesso, ormai quasi una volta al giorno, da Alfredo che vuole essere informato nel dettaglio e che è prodigo di consigli.
Vanni è imbarazzato: fare la propria strada ignorando le sollecitazioni del proprio superiore e far così apprezzare la propria indipendenza di giudizio o, al contrario, lasciarsi guidare dalle sue impostazioni e dai suoi consigli?
In entrambi i casi Vanni, per osservare le disposizioni ricevute, è costretto a mostrarsi insubordinato, rischiando che qualora l'affare andasse a buon fine, il merito venga attribuito ai consigli di Alfredo, e se le cose dovessero andare male, gli venga rimproverato di aver voluto fare di testa sua.
Vanni è però avvantaggiato rispetto al piccolo Matteo.
Egli infatti è in grado di identificare la trappola in cui Alfredo, probabilmente senza esserne consapevole, lo ha cacciato e gli è quindi possibile scegliere quale dei due rischi correre.
Matteo invece, pur sentendo che c'è qualcosa che non va nel modo della mamma di rapportarsi con lui, non sa distinguere, e ciò lo disorienta, lo disturba, rendendolo ansioso.
Bene farebbe Olga ad essere meno perfezionista, accettando come normali i suoi inevitabili limiti.
Ai bambini si insegna a riflettere prima di parlare, intendendo con questo che, prima di esprimersi, bisogna pensare a che cosa si vuol dire ed alle parole da usare.
Dopo quello che abbiamo detto, questo invito alla riflessione, che ovviamente non riguarda solo i bambini, trova un campo di azione molto più ampio, comprendendo oltre alle parole tutta la vasta gamma di modi di comunicare non verbali.
Nostra preoccupazione dovrebbe essere quella di emettere messaggi dai significati concordanti nelle parole, nei gesti, nelle espressioni del volto, nelle posizioni del corpo, nella voce ( con i suoi toni, le sue inflessioni, i suoi timbri ) e così via.
Quando per qualche motivo non riusciamo in questo, nascono confusioni che complicano le nostre relazioni con gli altri, cioè il funzionamento dei nostri collegamenti vitali.
Dobbiamo anche prendere in considerazione l'eventualità che il nostro interlocutore possa sbagliare nell'interpretare i nostri messaggi.
Se ci riferiamo alle parole che abbiamo deciso di usare per comunicare, questo rischio esiste, ma è limitato dal fatto che il loro significato è condiviso, pur con approssimazioni anche notevoli, da coloro che parlano la medesima lingua.
Tutti sappiamo cosa vuol dire pane, notte, tavolo, ecc.
Se consideriamo invece i modi non verbali di comunicare, l'attribuzione ad essi della rispettiva interpretazione non è altrettanto scontata: non esiste un dizionario dei gesti, o delle espressioni del viso, o delle inflessioni della voce!
Si spalanca così il campo alla possibilità di innumerevoli incomprensioni, equivoci o malintesi.
Il caso che segue ne è un esempio.
Quando Anna si sente giù di corda, prende un romanzo e si immerge nella lettura.
É un'abitudine che ha fin da piccola, quando riempiva con la lettura i lunghi pomeriggi trascorsi da sola nel retro della merceria di famiglia, sperando che gli adulti, vedendola in un angolo con il suo libro, si accorgessero della sua solitudine.
Ultimamente le succede sempre più spesso di ricorrere in questo modo alla lettura: ormai i figli sono grandi, l'impegno richiesto dal ménage familiare si è ridotto ed ha quindi più tempo a disposizione.
Qualche volta si sente un po' inutile e ciò la deprime.
Prende allora un libro e tenta in questo modo di risollevare il suo morale.
Anna lamenta anche che Attilio, suo marito, non la capisce, non le sta vicino come lei vorrebbe, mantiene un atteggiamento indifferente e distaccato, che le fa sembrare ancora più penoso il suo senso di improduttività e di solitudine.
Di conseguenza, si lascia sempre più spesso assorbire dalla lettura.
Attilio, quando rientra dal lavoro, vorrebbe poter scambiare quattro chiacchiere con Anna, interessarla ai fatti della sua giornata, distoglierla dal mondo limitato delle quattro pareti domestiche.
Si trattiene però dal fare questo perché la vede immersa nella lettura e non vuole disturbarla.
Qualche volta si è addirittura accorto di essere un po' geloso dei libri di Anna.
Ecco una coppia infelice a causa di un equivoco: quando Anna prende un libro è come se dicesse ad Attilio: « Guarda che mi sento sola. Il libro è solo un riempitivo. Ho bisogno che tu mi stia un po' vicino ».
Lui invece capisce: « Lasciami in pace in compagnia del mio romanzo ».
Un ultimo caso. In casa Landi siamo alle solite.
È sabato sera e, come tutti i sabati sera, si discute animatamente sull'ora di rientro del figlio Franco di sedici anni.
Franco insiste per rincasare ad un'ora che gli permetta di andare in discoteca con gli amici, i genitori invece lo vogliono a casa più presto.
La tensione sale e, quando Franco esce, ha raggiunto livelli insostenibili.
« Franco non ha proprio nessun riguardo per noi! Sembra fare di tutto per mancarci di rispetto! » commentano i genitori.
Franco non ha però nessuna intenzione di mancare di rispetto; con le sue insistenze vuol semplicemente dire: « Ho voglia di sentirmi grande e di fare le cose che fanno i ragazzi della mia età ».
Altro equivoco, nato questa volta dall'interpretazione data al modo di comunicare cocciuto di Franco.
Il suo tono di voce, i suoi gesti di insofferenza sono interpretati infatti dai genitori attribuendo loro un significato diverso rispetto alle sue intenzioni.
Pare di sentire molti genitori di adolescenti protestare.
« Ai figli non bisogna darle tutte vinte! »; « Bisogna pure che ci siano delle regole in famiglia e che vengano fatte rispettare! »; « Anche un adolescente deve continuare ad avere rispetto per i suoi genitori! ».
Questi adulti interpretano i segnali non verbali rappresentati dall'alterazione della voce del ragazzo, dai suoi gesti di nervosismo, dai lineamenti del suo volto tesi, come una mancanza di rispetto e di attenzione nei loro confronti.
Il loro intervento educativo rischia di conseguenza di riguardare non l'uso che deve fare un adolescente della sua nascente autonomia, ma la necessità che un sedicenne continui ad avere considerazione ed obbedienza per padre e madre.
In questo modo si sposta il problema e lo si rende molto più complicato.
Infatti, ben altra flessibilità nella ricerca di alternative è possibile parlando di tempo libero e di orari di rientro serale di un ragazzo di sedici anni, rispetto al caso in cui sia in discussione il suo rispetto o meno verso i genitori!
Nella seconda ipotesi non esistono vie di mezzo: o si ottiene rispetto o si cede e cedere viene vissuto dagli adulti come una sconfitta, come una perdita della propria dignità genitoriale.
La posta in gioco è troppo grande per lasciare spazio a negoziazioni.
Non c'è allora da stupirsi se si finisce per irrigidirsi sull'ora di rientro a mezzanotte e mezzo anziché all'una, quasi che da quella mezz'ora di differenza dipendano le sorti dell'universo!
Se si rimanesse invece centrati sulla reale difficoltà che è quella di assistere un adolescente nel fare le sue scelte riguardo all'uso dell'autonomia e, impresa difficile, di educarlo all'uso della libertà, si eviterebbe di sentirsi per questo sminuiti o non rispettati nel ruolo di genitori.
In conclusione, comunicare non consiste solo nel confezionare successioni di parole legate tra di loro dalla logica o dalle regole della sintassi che abbiamo imparato a scuola.
Non sono coinvolti solo la nostra mente, le nostre corde vocali ed il nostro senso dell'udito.
Nel comunicare è partecipe tutta la nostra persona, che si esprime ricorrendo ad una insospettata varietà di mezzi per completare ed arricchire i significati legati alle parole.
Sfruttare questa grande potenzialità significa permettere ai nostri collegamenti vitali di svilupparsi con completezza e con profondità, tanto che i nostri rapporti con gli altri ne escano arricchiti.
Non comunichiamo solo con le parole, ma anche servendoci dei suoni, timbri, inflessioni e pause della nostra voce, per mezzo del nostro sguardo, della mimica del volto, dei gesti, delle posizioni del corpo.
Se cambiarne i messaggi non verbali che le accompagnano, le medesime parole possono acquistare significati anche molto differenti.
Quando con ciascuna modalità di comunicazione facciamo passare lo stesso messaggio, non esistono difficoltà di interpretazione, mentre se c'è discordanza nascono equivoci e incomprensioni.
Indice |
2 | Gli studiosi Watziawick, Beavin eJackson nel loro libro « La pragmatica della comunicazione umana » ( ed. Astrolabio ) si servono per esprimere lo stesso concetto dei termini modulo numerico riferendosi agli aspetti della comunicazione legati esclusivamente all'uso ed al significato delle parole e modulo analogico cui fanno corrispondere tutte le altre modalità di comunicazione. |