4 - La vocazione al celibato
"Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso ... che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca." - Mt 19,11-12
Il celibato accettato per ragioni di fede, sotto le spinte della parola di Dio e della vocazione interiore, opera dello Spirito Santo, pone il cristiano che vi risponde, in uno stato carismatico.
Al celibato dono di Dio non resta che dire un "sì" pronunciato in obbedienza, in umiltà e nell'ascolto di un appello che non viene dalla carne e dal sangue, ma dal Signore.
Non si sottolinea mai abbastanza questa qualità vocazionale al celibato: esso è infatti valido e significativo, risponde liberamente alla chiamata interiore, vera grazia nel senso biblico della parola.
Dio chiama con una parola creatrice ed efficace, inizia un dialogo con il credente, con ciò che egli è e non contro ciò che questi è capace di essere, ma allora il credente deve dare una risposta
rapida,
totale,
confidente
Così si entra nella dinamica del regno e da quel momento non si è più padroni della vocazione.
Il fatto umano di farsi eunuchi diventa il "sì" a Dio in vista del regno dei cieli, l'atteggiamento umano diventa carisma, diventa ministero: questa è la concretizzazione obbligata e immediata della vocazione, dunque anche del celibato che certo non è fine a sé stesso anche se costituisce la verità essenziale di una persona.
Nella prassi del celibato l'uomo non si fida di sé stesso, né delle sue forze, non prende un impegno con l'uomo, ma egli non è lasciato alla sua impotenza perché è lo Spirito stesso che interviene e prende un impegno con il celibe senza più tirarsi indietro, senza più pentirsi della vocazione accordata e delle promesse.
Così il celibato per il regno di Dio diventa un fatto, un'alleanza tra Dio e il credente espressa nella professione, nei voti pronunciati davanti a tutta la Chiesa ed esce dai pericoli di soggettivismo e del dilettantismo.
Nell'accettazione - che non può essere che definitiva - della chiamata al celibato, Dio inizia un'opera e si impegna lui stesso a portarla a termine.
All'uomo non resta dunque che l'amore vissuto ogni giorno, il rimanere al proprio posto, dove è stato chiamato, custodendo con vigilanza questo dono che fa parte di quel che noi amiamo per volontà di Dio di fronte agli uomini.
Con "parresia" il celibe deve attendere un giudizio positivo di Dio su di lui e per questo deve vivere con intelligenza spirituale questo stato del celibato.
Come per la salvaguardia di ogni carisma, anche per il celibato occorre fuggire, perseguire, rompere, se necessario, i legami e le relazioni che sfigurerebbero la vocazione e questo in funzione di una carità sempre più profonda, in funzione dell'amore per Cristo.
"Ma tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza." - 1 Tm 6,11
Perseguire significa perseverare, restare, attendere, essere costanti.
Certo, impegnarsi nel celibato è una scelta non facile, ma il problema della fedeltà si gioca sul terreno della fede, credendo o non credendo alla potenza di Dio.
Si crede, allora il dono è costantemente ravvivato.
Anche di fronte alla crisi della vocazione e di fronte alla messa in discussione dell'impegno la grazia e la fedeltà di Dio non verrà mai meno e basterà per ravvivare la vocazione e permetterci di assumerla ancora nella sua ampiezza totale.
La dinamica spirituale della vocazione al celibato si nutre di fede, di assiduità con il Signore, di preghiera e, anche se oggi tale parola spiace a molti, di prudenza.
Non si può andare contro dati elementari della psiche del cuore umano, giocando col celibato, rischiando continuamente al di là delle proprie forze, mancando di un minimo di igiene spirituale e poi pretendere di permanere con gioia nello stato dell'eunuco per il regno di Dio.
Il celibato, come ogni altro dono, merita ringraziamento a Dio, abbisogna di vigilanza, si nutre di vicinanza al Signore.
All'amore che chiama si può rispondere solo con l'amore che liberamente si dona.
Solo così si può capire e mostrare come il celibato è un fatto rivelativo, uno strumento di annuncio, al pari del matrimonio; non è uno stato di perfezione, né un valore etico e religioso se non di riflesso, come conseguenza della sua realtà di fede.
È innanzitutto un fatto rivelativo: il mondo passa insieme con la sua scena, il tempo si è fatto breve ed allora nell'imminenza del regno di Dio che viene si può restare celibi vivendo questa evangelica follia del celibato, così vicina al "mysterium crucis"
"Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero, coloro che piangono, come se non piangessero e coloro che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!
Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso! ...
Questo poi lo dico per il vostro bene, non per gettarvi un laccio, ma per indirizzarvi a ciò che è degno e vi tiene uniti al Signore senza distrazioni." - 1 Cor 7,29-35
Nuovo Dizionario di Spiritualità - voce: "Celibato e verginità" pagg. 191-192 EP 1979