Ai Donatisti dopo la conferenza |
Perché aspettate ancora di conoscere la sentenza che il giudice ha pronunziato a nostro favore, dal momento che state già vedendo quel che ha pronunciato la paura dei vostri vescovi contro se stessi?
Certo, il giudice aveva dato loro la facoltà di scegliere liberamente oltre a lui un altro giudice; ma essi rifiutarono perché, se ne avessero scelto uno, non avrebbero potuto raccontarvi che noi avevamo corrotto anche lui col denaro.
Eppure fecero proprio ciò che avevano rifiutato: fissarono esattamente un secondo giudice che lo affiancasse, non un estraneo qualsiasi, ma un loro intimo amico.
Ecco: ancora una volta proprio il loro timore fu il secondo giudice.
Certamente costui non ha ricevuto nulla da noi, eppure si è liberamente pronunciato a nostro favore: non ha favorito la loro persona, benché dimorasse nel loro intimo e provenisse dalla camera segreta di costoro.
E prima ancora di iniziare a trattare la causa, fu il primo a giudicare, perché per primo l'aveva conosciuta nel fondo del loro cuore.
Quando dunque l'altro giudice salì in tribunale per istruire la causa, anch'esso salì conoscendola già: quello giudicò stando in piedi, ascoltando, parlando; questi si accontentò di incedere nel mezzo.
Sono convinto che avessero veramente ragione di insistere perché non si trattasse neppure la causa: influì infatti ben più la paura di questi attaccabrighe sulla conclusione della causa, che non la solerzia del giudice!
Costui indagava in base a ciò che avrebbero tirato fuori dai loro documenti, l'altro manifestò ciò che passava nei loro cuori.
E poiché essi, presi dal panico per i documenti da noi presentati per essere letti, erano venuti nella determinazione di affermare che la causa era ormai caduta in prescrizione e quindi non si poteva più trattare,45 ci proposero allora una questione già trattata: se si discuteva utilizzando i testi delle sante Scritture, non si sarebbe dovuta leggere una parola di quei documenti; se invece noi optavamo per farli leggere in assemblea, essi avrebbero tirato fuori l'argomento molto solido della prescrizione per non permettere assolutamente che si trattasse una questione già obsoleta per decorrenza dei termini.
In verità, essi non avevano mantenuto la promessa precedente di rispondere ugualmente con testi dalle Scritture al nostro mandato, in cui noi, per loro esplicita ammissione, trattavamo la causa della Chiesa con argomentazioni desunte dalle Scritture, proprio loro che adesso volevano discutere della persona dei richiedenti, come si usa fare in un processo civile e non in una discussione.
Noi allora rispondemmo loro che, se volevano restringere il dibattito alla sola questione di sapere chi è e dove è la Chiesa cattolica, avremmo sviluppato la discussione servendoci delle testimonianze divine che l'avevano preannunziata; se invece mettevano sotto processo individui per questo o quest'altro misfatto, cosa che evidentemente non potevano provare con testi della Scrittura ma soltanto con documenti d'altro genere, come ad esempio quello in questione, allora anche noi ci saremmo serviti di quei documenti per confutarli.
Ecco le inezie che non cessavano di ripetere e la replica con cui noi puntualmente rispondevamo senza demordere; ed ecco anche come la verità trionfò su di loro, e li costrinse, confutati e battuti, ad ascoltare la lettura dei nostri documenti.
Ormai si rendevano conto che, se non riuscivano ad addossare i crimini di Ceciliano alla nostra comunione, non restava loro più alcun argomento per giustificare la loro separazione dall'unità; e se volevano imputarci i crimini di Ceciliano, essi non potevano dimostrarli se non attraverso quei documenti e noi non avremmo potuto confutarli in altra maniera.
E quanto avremmo dovuto pagare la risposta che buttarono là, nel mezzo delle loro accesissime discussioni?46
Gli avevamo fatto la proposta di dimostrare, se ne erano in grado, le accuse che abitualmente scagliano contro la nostra comunione, la quale è diffusa in tutte le nazioni, per renderci conto in tal modo se la loro separazione fosse legittima.
Per tutta risposta dissero che noi volevamo trattare una questione non pertinente, cioè, quella delle Chiese transmarine, alle quali non muovevano alcun addebito in proposito, poiché si trattava in tal caso di una controversia tra Africani.
Quelle Chiese, piuttosto, non dovevano far altro che attendere l'esito della conferenza per aggregarsi ai vincitori, con i quali avrebbero condiviso la qualifica di Cattolici.
Perché, dunque, indagate ancora? Perché esitate ancora per sapere quale Chiesa voi dovete seguire?
Ecco la Chiesa, contro la quale i vostri vescovi hanno ammesso di non avere questione alcuna, alla quale è unita la nostra comunione e dalla quale la loro si è separata!
Se infatti hanno dichiarato che essa per il momento non doveva far altro che attendere l'esito della conferenza per aggregarsi al gruppo vincitore e attribuirgli il titolo di cattolico, allora senza dubbio i nostri antenati hanno vinto precedentemente la causa contro i loro antenati; per questo, uniti a quella Chiesa, hanno conservato il nome cattolico nella sua unità.
Quanto ai vostri vescovi, se i loro antenati sono già stati vinti dai nostri antenati, perché polemizzano ancora con i nostri?
Se, poi, non sono stati vinti, perché non sono in comunione con quella Chiesa, contro la quale, non potendo negarle il titolo di cattolica, confessarono di non essere in grado di muovere contro di essa alcuna causa?
Ecco la Chiesa cattolica d'oltremare, diffusa in mezzo a tante nazioni, la quale, secondo loro, dovrebbe attendere di conoscere i vincitori per aggregarvisi; ma, come deve attendere di aggregarsi ai vincitori, se è completamente estranea a quei crimini, di cui si discute fra noi?
Poiché, se essa stessa vi è coinvolta, anch'essa rea, vinta con i vinti, come si aggregherà ai vincitori?
Di più: se essa, come ammettono, è estranea a questi crimini, allora lo siamo anche noi, essendo uniti a lei attraverso la nostra comunione.
Infatti, se in forza di questa comunione il crimine degli altri ci contamina, anche il nostro crimine deve contaminare quella con cui siamo in comunione.
Costoro però hanno confessato che essa non è mai stata contaminata dal crimine degli Africani, malgrado la comunione dei sacramenti che li univa ad essa.
Ne consegue dunque che essi sono costretti ad ammettere che neppure noi abbiamo potuto essere macchiati dal crimine di coloro ai quali siamo associati attraverso la comunione dei sacramenti, in quanto non siamo coinvolti da alcun rapporto di connivenza.
D'altra parte, le loro stesse dichiarazioni finiscono per dimostrare con estrema facilità che la causa di Ceciliano è tutta a suo favore.
Infatti, se la Chiesa d'oltremare, pur essendo estranea a questi crimini, deve attendere l'esito delle nostre discussioni per aggregare a sé e al nome cattolico coloro che risulteranno vincitori, vuol dire che essa era già in aspettativa quando i predecessori di costoro lottavano aspramente contro Ceciliano.
Orbene, egli vinse allora, ed essa lo unì a sé dopo aver atteso l'esito del conflitto.
Diciamo meglio: se essa poté unire a sé nella comunione dei sacramenti persino un uomo inquinato e, malgrado ciò, come essi hanno già ammesso, poté restare incontaminata da questi crimini, allora la nostra vittoria è ancor più schiacciante, in quanto ne tiriamo la conclusione che ciascuno porta il proprio fardello, ( Gal 6,5 ) e che una causa non pregiudica un'altra causa né una persona pregiudica un'altra persona.
E perché si convincessero a rispondere al nostro mandato, che abbracciava l'insieme della causa,47 non con una replica improvvisata, ma con una risposta scritta, quanto dovemmo sborsare?
In effetti fu subito chiaro che non sarebbero stati in grado di rispondere al ventaglio di questioni sollevate dal nostro mandato, e per questo si guardarono bene dal rispondere nella loro lettera.
D'altra parte, non si può neppure sostenere che fosse impossibile per loro memorizzare la nostra argomentazione, e quindi abbiamo voluto rispondere all'essenziale, tralasciando tutto il resto.
Tant'è vero che avevano ricevuto una copia del nostro mandato, richiesta espressamente da loro per iscritto, allegando come giustificazione la possibilità di studiarlo a fondo per poter rispondere a tutto.
E benché fossero già sette i delegati, prescelti dagli altri per trattare tutto a nome di tutti, essi presentarono a nome di tutto il loro concilio una lettera, come se fosse stata indirizzata da tutti quelli al giudice, con la quale tentavano di rispondere al nostro mandato.
Sarebbe stato nel nostro pieno diritto ricusare questa lettera, poiché non era contemplato dalla procedura che, dopo aver affidato il compito di dibattere la causa a sette delegati, si trattasse successivamente qualsiasi questione attraverso altri che non fossero quelli già designati.
Ma, per non dare l'impressione con il nostro scritto di temere la loro lettera, abbiamo dato senz'alcuna esitazione il consenso perché fosse letta ed allegata.
In effetti, avremmo dovuto sospirare e pagare ben caro, l'ho già detto, che, dopo una dilazione così prolungata, da noi accordata alla loro richiesta, portassero il risultato delle loro elucubrazioni, da cui risaltava molto chiaramente ai lettori delle due lettere che non avevano risposto al nostro mandato; quanto a noi, constava invece che avevamo risposto alla loro lettera immediatamente, senza esitazione alcuna.
Possono forse esistere uomini di ingegno così tardo, da credere che costoro abbiano detto qualcosa intorno ai punti del nostro mandato, dei quali non hanno voluto tacere; ma non credo che ci sia un individuo così stolto, da pensare che costoro, anche sui punti su cui hanno taciuto del tutto, abbiano risposto qualcosa.
Ora, non si tratta di cose di poco conto o addirittura trascurabili: lì risiede la sostanza stessa della causa.
Infatti, le testimonianze delle Scritture, in base alle quali abbiamo sostenuto che la Chiesa, con cui siamo in comunione, si è diffusa in tutto il mondo cominciando da Gerusalemme, ( Lc 24,47 ) le ignorarono del tutto, schiacciati com'erano dal peso dell'autorità divina, come se non fossero mai state dette.
Così pure, il riferimento contenuto nel nostro mandato e concernente il beato Cipriano, il quale raccomandò con la sua parola e confermò con il suo esempio di tollerare piuttosto i peccatori nella Chiesa,48 anziché abbandonare la Chiesa a causa dei peccatori, essi non hanno osato neppure sfiorarlo.
Penso che si siano resi perfettamente conto che, qualora avessero tentato di mettere in dubbio l'autorità di Cipriano in un qualsiasi suo scritto, avrebbero dovuto ammettere conseguentemente che anche noi abbiamo ragione quando non cediamo di fronte alla sua autorità in ciò che sono soliti ricordarci circa i suoi principi o decisioni in merito alla reiterazione del battesimo.
Ed essi non hanno voluto menzionare apertamente proprio questa opinione di Cipriano sul battesimo, essendo ben consci che anche lì, se l'avessero fatto, avrebbero fatto naufragio, poiché Cipriano non ha abbandonato l'unità, ma è rimasto con coloro che pensavano diversamente da lui.
Da ciò deriva la seguente conclusione: o si deve affermare che la Chiesa già da allora era scomparsa e non esisteva più una Chiesa da cui nacque il loro Donato, oppure - e questa è la verità - se la Chiesa continuò, allora in essa i cattivi non inquinano i buoni, come giudicò anche Cipriano, il quale restò nella stessa comunione universale con coloro che avevano ideecontrarie alle sue.
Per questo motivo essi si sono addossati la responsabilità del detestabile sacrilegio dello scisma, essi che non avrebbero dovuto assolutamente infrangere l'unità, diffusa nel mondo intero, a causa di non so quali crimini indimostrati di alcuni, fossero pure veri.
Ecco, a quanto è dato di capire, ciò che essi prevedevano quando hanno coperto col silenzio più assoluto la testimonianza di Cipriano, alla quale facevamo appello nel nostro mandato.
C'era anche questo. Nella causa dei Massimianisti avevano proclamato anch'essi con un proprio giudizio che non si deve abbandonare l'unità, neppure a causa dei cattivi, poiché dicevano che Massimiano non aveva inquinato i propri soci: per questo motivo in seguito reintegrarono fra loro con tutti gli onori coloro che avevano condannato.
Mostrarono altresì che si deve riconoscere e non distruggere il battesimo di Cristo, anche se amministrato al di fuori della Chiesa, allorché essi non osarono battezzare di nuovo coloro che erano stati battezzati da Feliciano durante lo scisma, al momento di riammetterli fra loro insieme a lui.
Leggendo questi fatti nel nostro mandato, essi giudicarono più opportuno tacerli e passare oltre, anziché riaccendere la polemica senza contraddirsi minimamente.
La loro risposta non sfiorò neppure la causa di Ceciliano, che nel nostro mandato avevamo ben distinto dalla causa della Chiesa, ma comunque avevamo ben difesa anch'essa fin nei minimi dettagli.
Chi, dunque, potrà pensare che essi abbiano risposto al nostro mandato, quando non hanno neppure azzardato la minima replica contro l'insieme delle nostre argomentazioni o almeno una parvenza di risposta?
Chi ne avrà voglia, legga pure ciò che credettero opportuno rispondere, e giudichi confrontando la loro lettera con il nostro mandato, senza dimenticare la risposta che noi abbiamo dato loro immediatamente, la quale ha sovvertito tutte le loro vane macchinazioni.
Ma c'è ben altro. Se avessimo dato loro anche montagne d'oro, quando mai avremmo potuto comprare questa confessione?
Noi avevamo esposto loro l'affare di Massimiano perché si rendessero conto che non pregiudicò Ceciliano quel concilio, nel corso del quale settanta vescovi decretarono contro di lui, in sua assenza, ciò che vollero; come pure non pregiudicò Primiano il concilio, durante il quale un centinaio di vescovi favorevoli a Massimiano lo condannò, sempre in sua assenza.
Completamente frastornati e in preda a vergognoso imbarazzo, essi risposero che una causa non pregiudica un'altra causa né una persona un'altra persona.
Con queste scarne parole, diedero vittoria definitiva alla nostra causa, attorno alla quale avevamo discusso accanitamente fino a quel momento.
Infatti, che altro tentavamo di fare, se non provare, con tante testimonianze dei santi Oracoli, con l'autorità sì grande dei Profeti, degli Apostoli, dei vescovi, e perfino degli avversari, che la comunione dei sacramenti con i cattivi non contamina i buoni, se cuore, volontà, condotta, azioni hanno cause diverse e rappresentano persone diverse? Perché mai dovevamo darci tanto da fare, se non perché fosse chiaro il principio che una causa non pregiudica un'altra causa né una persona un'altra persona?
Questa breve frase, proprio loro la proclamarono, costretti da ineluttabile forza maggiore!
Noi lo ripetevamo da gran tempo, ma essi si erano rifiutati di arrendersi alla verità.
E con quali tesori, con quali ricchezze, con quale quantità di pietre preziose avremmo dovuto comprare ciò che seguì?
Essi, non solo avevano confessato che i loro antenati avevano perseguitato Ceciliano davanti all'imperatore Costantino, ma anche con assoluta convinzione lo avevano dichiarato apertamente e se ne gloriavano, volendo sostenere anche la fandonia che era stato condannato dall'imperatore!
E dove è andata a finire quella diceria, con cui erano soliti ingannarvi per aizzare il vostro astio contro di noi, secondo la quale noi vogliamo trattare la causa della Chiesa davanti all'imperatore?
Dove sono andate a finire le parole di Primiano, consegnate agli atti del magistrato di Cartagine: " Essi portano le lettere di numerosi imperatori, noi non presentiamo se non i Vangeli"?
Che fine ha fatto quel magnifico elogio, con cui esaltano il loro scisma, dicendo che la vera Chiesa è quella dei perseguitati, non quella dei persecutori?.49
Eccola distrutta, eccola a terra!
I resoconti delle loro persecuzioni si leggono: non possono negarli perché vi si leggono le loro firme.
Noi li sorprendiamo nell'atto di confessare, proclamare, gloriarsi che i loro antenati hanno duramente perseguitato Ceciliano presso l'imperatore; noi li sorprendiamo anche mentre dicono che è per le loro accuse che Ceciliano fu condannato dall'imperatore.
La smettano dunque di proclamare che la loro sètta è la vera Chiesa perché non fa, ma subisce la persecuzione, oppure ammettano che essa non era la vera Chiesa quando Ceciliano subì la persecuzione da parte dei loro antenati.
Se infatti sono sempre buoni coloro che subiscono la persecuzione, anche Ceciliano era buono quando subiva la persecuzione.
Se, al contrario, può verificarsi che anche i cattivi subiscano persecuzioni, ma in nessun modo sono i buoni ad infliggerle, allora i loro antenati non erano buoni quando perseguitavano Ceciliano.
Infine, seppure potrà verificarsi il caso che ibuoni facciano la persecuzione e i cattivi la subiscano, né si deve accusare noi né si deve lodare loro perché subiscono un trattamento simile a quello inflitto a Ceciliano, di cui lodano i loro antenati.
Comunque, non consta assolutamente che Ceciliano sia stato condannato dall'imperatore, tant'è vero che per la sua assoluzione e giustificazione, quale risulta dalla sentenza emessa dai vescovi e dall'imperatore, non si può provare che in seguito sia intervenuto un cambiamento qualsiasi.
Il risultato fu che si mise daparte la condanna di Ceciliano, inventata da loro di sana pianta, e rimase soltanto la persecuzione inflittagli dai loro antenati, per loro esplicita ammissione.
Ma non si limitarono a gloriarsi, mentendo temerariamente e senza poterne fornire le prove, che Ceciliano fosse stato condannato dall'imperatore.
Soprattutto dimostrarono anche che l'assoluzione di Ceciliano - e su questo punto i nostri documenti gli diedero una grossa mano - aveva conservato tutto il suo valore, poiché, contrariamente alle loro false asserzioni, nessuna sentenza imperiale era stata emessa in seguito per convertirla in condanna.
Difatti, prima sollecitarono la lettura di un testo di Ottato, vescovo cattolico della Chiesa di Milevi,50 assicurando di avere in mano la prova che Ceciliano era stato condannato dall'imperatore.
Ma questa lettura tornò piuttosto a loro danno, tanto che nessuno poté trattenere le risa.
Sarebbe stato difficile, certo,ufficializzare queste risa negli atti, quindi tutto sarebbe rimasto completamente occulto, se non fossero stati proprio loro a impedirgli di passare inosservato, dicendo: " Stiano attenti coloro che hanno riso! ".
E questo fu bell'e scritto e firmato.
Il testo, di cui avevano reclamato la lettura perché lo ritenevano favorevole alla loro causa, era in effetti ambiguo.
Anche il giudice molto giustamente ordinò di riprendere la lettura poco sopra per tentare di chiarire meglio quelle parole.
E fu letto proprio ciò che essi non volevano, cioè che Ceciliano era stato prosciolto.
Ma anche il testo che avevano fatto leggere precedentemente, non diceva che Ceciliano era stato condannato, come essi pretendevano, bensì che era stato trattenuto a Brescia per tutelare il bene della pace.
A questo punto, sostennero che, con tali parole, Ottato aveva inteso ridimensionare l'importanza della condanna di Ceciliano.
Allora si disse loro di addurre una prova certa della condanna di Ceciliano, perché si potesse realmente capire se Ottato ne aveva sminuito l'importanza, lui che aveva scritto senza mezzi termini che Ceciliano era stato assolto.
Essi non furono assolutamente in grado di dimostrarlo, anzi, esauriti ormai tutti gli espedienti ostruzionistici e le inutili digressioni, finirono per aiutarci nel modo più esplicito.
Come se fossero stati istruiti da noi o, meglio, fossero stati scelti per difendere con noi e mettere in luce l'innocenza di Ceciliano!
Infatti essendo stato richiesto loro se fossero in grado di provare ciò che avevano sostenuto, e cioè che Ceciliano era stato condannato dall'imperatore con una sentenza successiva, la cui lettera che lo dichiarava innocente avevamo letto, essi produssero una supplica, indirizzata dai loro antenati allo stesso imperatore Costantino,51 ( con la quale dimostravano in modo lampante che proprio loro erano stati condannati dalla sua sentenza.
Accadde ad essi, dunque, nei confronti dell'autorità imperiale, ciò che accadde ai nemici del santo Daniele: essi subirono nelle fauci dei leoni la sorte che avevano voluto far subire a un innocente. ( Dn 6, 24 )
Gli facemmo osservare brevemente che quel documento era stato presentato piuttosto a nostro favore e contro di loro; ne produssero un altro: la lettera, indirizzata dallo stesso imperatore al vicario Verino,52 in cui esprime la sua ferma condanna contro di loro e li rimette al giudizio di Dio, che già cominciava a punirli, e con la più ignominiosa indulgenza li liberava dalla pena dell'esilio.
In tal modo risultava evidentissimo che, non solo non era sopravvenuta in seguito alcuna condanna di Ceciliano, ma che anche la sua assoluzione e giustificazione aveva trovato conferma nella pena inflitta ai suoi nemici, poi pienamente condonata loro a conferma di tutto ciò.
Tutti questi documenti di grande valore probatorio, ci teniamo a riconoscerlo, non erano a nostra disposizione; ma se per qualche casualità ne avessimo intuito l'esistenza in un dato luogo, da cui non avrebbero potuto fornirceli gratuitamente, saremmo stati disposti a pagare qualsiasi prezzo pur di procurarcene una copia.
E che cosa non avremmo sborsato, se ci fosse stato proposto di comperarli, per farli leggere anche ai nostri avversari, a tutto vantaggio della nostra causa!
Si poteva ancora aggiungere qualcosa per colmare la misura del loro aiuto fornito a noi?
Ebbene, essi fecero di più! Infatti tirarono fuori la causa di Felice d'Aphthungi, il consacrante di Ceciliano, contro il quale avevano lanciato l'accusa di essere stato un traditore.
Dopo l'assoluzione di Ceciliano, mentre si lavorava per ricucire l'unità, [ i vostri antenati ] avevano sollevato il caso di questo Felice, pensando in tal modo di poter coinvolgere nei crimini altrui Ceciliano, già dichiarato innocente.
Si discusse anche questa causa nel tribunale proconsolare, e l'innocenza di Felice fu pienamente messa in luce.
Ma nacque anche il caso di un certo Ingenzio, il quale aveva ammesso di aver testimoniato il falso durante il processo contro Felice.
Non poteva essere punito alla leggera, trattandosi di un processo che metteva in causa un vescovo, e neppure dovette essere facile per il proconsole rimettere in libertà chi era imputato di un crimine così grave, senza consultare l'imperatore, su istanza del quale era stato avviato tutto il processo.
Il proconsole riferì dunque all'imperatore e questi rispose per iscritto, ordinando di rinviare alla sua corte quel tale Ingenzio: intendeva così confutare alla loro presenza i predecessori di costoro, che lo pressavano ogni giorno con le loro interpellanze; lui comunque non metteva minimamente in dubbio l'assoluzione [ di Felice ], anzi, la confermava espressamente, come attesta il suo rescritto.
L'insieme di questi documenti, concernenti la causa di Felice, li avevamo fra le mani e avevamo disposto di farli leggere in assemblea.
Ma essi in questo ci prevennero: furono infatti i primi a produrre e a leggere questa lettera dell'imperatore, che ordina di inviargli Ingenzio.
Probabilmente noi non l'avremmo più fatta leggere, poiché con questo giudicavamo che anche la causa di Ceciliano era stata trattata in modo esauriente, senza lasciare nulla in sospeso.
Ma, dal momento che i nostri avversari si adoperavano per mettere in rilievo la persecuzione che i loro antenati avevano mosso contro i nostri presso gli imperatori, e le loro calunnie ormai risultavano del tutto superate, che altro dovevamo fare se non accettare volentieri il regalo e ringraziare di tutto il Signore?
Presentarono dunque la lettera di Costantino ed essi stessi la lessero.
Ciò che sto per dire ha dell'incredibile, ma gli atti lo attestano: i loro interventi sono scritti e si conservano le loro firme.
Ribadisco che furono proprio loro a leggere la lettera di Costantino, in cui si diceva che " il proconsole Aeliano aveva concesso udienza competente nella causa di Felice53 ed era stata appurata l'innocenza di Felice quanto al crimine di tradizione; tuttavia [ Costantino ] aveva ordinato che fosse portato a corte Ingenzio, perché a coloro che conducono l'attuale processo - precisava - e non la smettono di fare interpellanze durante la giornata, si possa mostrare e notificare, in loro presenza e davanti a me, che senza motivazione alcuna hanno voluto accusare malignamente Ceciliano, insorgendo violentemente contro di lui ".54
Lo lessero proprio loro! E chi di noi avrebbe mai osato augurarsi che coloro, i quali erano stati fatti diventare dall'iniquità nostri accusatori, la verità li trasformasse in nostri difensori?
Allo stesso modo, né più né meno, il celebre Balaam, che in tempi antichi l'iniquità aveva trascinato a maledire il popolo di Dio, fu costretto dalla verità a benedirlo. ( Nm 23 )
Lo dimostra appunto la successione dei consoli, che in quel momento per mancanza di tempo non era possibile accertare - noi infatti non avevamo a disposizione le cosiddette liste consolari; d'altra parte, chi di noi avrebbe mai potuto credere che costoro avrebbero sollevato una questione così futile, pretendendo di sapere ciò che seguì all'invio di Ingenzio, o se Ingenzio fosse stato realmente inviato, poiché, da un lato, la sentenza del proconsole aveva dichiarato l'innocenza di Felice, sentenza confermata dalla risposta dell'imperatore, che proprio loro avevano presentato e letto,55 e dall'altro lato, essi stessi si riservavano di produrre altre prove se avessero avuto la convinzione, una volta inviato Ingenzio, che qualche decisione sarebbe stata presa in loro favore -, la successione dei consoli, ripeto, dimostra che Ceciliano una prima volta fu dichiarato innocente dal giudizio episcopale di Milziade e, poco tempo dopo, una sentenza del proconsole stabiliva l'innocenza di Felice; fu allora che Ceciliano fu giustificato anche dall'imperatore, il quale aveva ascoltato le due parti; infine, dopo qualche anno, con quel gesto ignominioso di amnistia, i suoi avversari poterono rientrare dall'esilio.
In effetti, Milziade emise la sua sentenza sotto il terzo consolato di Costantino e il secondo di Licinio, il sesto giorno prima delle none di ottobre.
Il proconsole Aeliano diede udienza nella causa di Felice sotto il consolato di Volusiano e di Anniano, il quindicesimo giorno prima delle calende di marzo, cioè circa quattro mesi dopo.
Costantino scrisse al vicario Eumalio, a proposito della giustificazione di Ceciliano, sotto il consolato di Sabino e di Rufino, quattro giorni prima delle idi di novembre, cioè dopo circa due anni e otto mesi.
Lo stesso imperatore inviò al vicario Valerio la sua lettera, nella quale li proscioglieva dall'esilio e rimetteva la loro ribellione alla giustizia di Dio, sotto il secondo consolato di Crispo e di Costantino, il terzo giorno prima delle none di maggio, cioè dopo circa quattro anni e quasi sei mesi.
Ne risulta con assoluta certezza - che Ingenzio sia stato inviato o no a corte - che nessuna sentenza è stata emessa in seguito contro Ceciliano.
Che dico? Gli stessi pronunciamenti successivi dell'imperatore lo hanno dichiarato vincitore dei suoi avversari e dei suoi persecutori.
Esca pure dalla scena adesso il partito di Donato, ripetutamente sconfessato e diffamatore e menzognero e confutato: più volte e in ogni modo vinto e confutato!
Continui pure a darla ad intendere che noi abbiamo subornato il giudice, come se questo non fosse il linguaggio abituale dei vinti!
Sì, avremmo proprio dovuto corrompere il giudice perché con la sua autorità infirmasse ciò che essi avevano così brillantemente condotto!
Ma, non direi comunque che costoro si siano comportati male; al contrario, si sono comportati ottimamente, essi che hanno parlato tanto e in modo così persuasivo contro i loro errori e a favore della verità.
Infatti, se si considera attentamente la loro causa, è chiaro che il giudice si è realmente pronunciato contro di loro; ma, a leggere le loro argomentazioni, egli ha giudicato piuttosto secondo la loro impostazione.
In verità, che bisogno c'era che l'arbitro fra le due parti nel corso del dibattito prendesse posizione contro di noi, quando i nostri avversari avevano parlato, prodotto prove, fatto leggere tali apologie in nostro favore?
Che bisogno avevamo di comprare il giudice, quando non avevamo dovuto comprare dai nostri avversari quelle verità che avrebbero costretto il giudice, anche se avesse ricevuto denaro da loro, a pronunciarsi a nostro favore?
D'altra parte, se non l'avessimo conosciuto come uomo timorato di Dio, amante della giustizia ed estraneo a tutte le bassezze di questo genere, saremmo stati noi i primi ad aver concepito un simile sospetto su di lui.
Egli, veramente dotato di eccezionale pazienza, pur vedendoli assediati dalla verità, non ha voluto infierire su di loro e ha tollerato con fin troppa pazienza quegli individui che vagavano nel vuoto con il loro profluvio di parole inutili e con il martellante insistere sulle stesse argomentazioni già confutate, tanto che quasi nessuno accetterebbe volentieri il compito di sfogliare i volumi così ponderosi degli atti per apprendere attraverso la lettura come si svolse la causa.
E quale fu il loro movente: il vuoto di verità o lo zelo dell'astuzia? Non lo so.
In ogni caso, l'unico risultato fu che essi poterono favorire soltanto, per così dire, una causa tanto infame, che avrebbero fatto meglio a lasciar perdere.
E, per finire, qualora gli altri [ vescovi donatisti ] accusassero i loro rappresentanti di essersi lasciati corrompere da noi per portare tante argomentazioni e produrre tanti testi che favorivano la nostra causa e compromettevano la loro, non so come potrebbero difendersi e liberarsi da questo sospetto, a meno che non dicano: " Se ci fossimo lasciati corrompere, avremmo chiuso ancor più in fretta una causa così malvagia, dimostrata tale sia da noi che da loro; ora, almeno, dateci atto che ce l'abbiamo messa tutta e abbiamo voluto rendere un qualche servizio, non fosse altro che con la nostra parlantina.
E così siamo riusciti intanto nell'intento di far leggere non senza fatica il processo verbale e di non venire subito a conoscere la nostra disfatta! ".
Se non avessero tenuto questo comportamento, nessuno forse crederebbe, nonostante i loro e nostri giuramenti, che ci abbiano dato, senza compenso alcuno, una serie così cospicua di documenti, che comunicarono e lessero a nostro favore e a loro danno.
Ma non è certo a loro, bensì a Dio che noi esprimiamo la nostra gratitudine.
Se essi hanno prodotto e divulgato tante cose con discorsi e documenti che favorivano la nostra causa, non è certamente per l'invito della carità, ma per la pressione della verità.56
Ecco, l'errore è smascherato! Ecco, la verità si è manifestata!
Per questo, fratelli, se non vi irrita il fatto che vi chiamiamo fratelli - [ i vostri vescovi ] infatti, quando si sono sentiti chiamare così da noi, hanno fatto mettere agli atti che lo consideravano un affronto, ed anche l'ammonimento contenuto nel nostro mandato, desunto da un testo del profeta, non è valso a rammentare loro che si trattava di un comando di Dio: Dite: " voi siete nostri fratelli ", a coloro che vi odiano e vi respingono, affinché il nome del Signore sia santificato e brilli davanti a loro gioiosamente, loro invece siano confusi ( Is 66,5 ) -; dunque, fratelli, brilli gioiosamente su di voi il nome del Signore, che è stato invocato su di noi e di cui portiamo gli uni e gli altri i sacramenti: per questo, a buon diritto, ci chiamiamo fratelli!
Ormai amate la pace, abbandonate l'abitudine inveterata dell'errore, litigiosa e calunniatrice, almeno adesso che è stato evidenziato e smascherato, e non odiate i vostri vescovi quando si correggono e ritornano a noi, ma quando rimangono nel loro empio errore per continuare ancora a sedurvi!
Che essi non si inorgogliscano perché nell'unità conservano la stessa dignità [ episcopale ], che devono gestire per la propria redenzione; se invece la possiedono al di fuori dell'unità, allora sono da condannare maggiormente.
È più nefasto per gli usurpatori mantenere le insegne militari, anziché non averle più; pertanto, quando costoro si emendano e vengono reintegrati nei ranghi delle milizie dell'imperatore, esse non sono distrutte o annullate: prima tradivano coloro che le portavano e li esponevano alla pena, ora sono per essi un ornamento e una difesa.
Perché prestate ancora attenzione alle loro folli contestazioni e vuote menzogne?
La causa è terminata di notte, ma per mettere fine alla notte dell'errore.
La sentenza è stata pronunziata di notte, ma essa brilla dello splendore della verità.
Essi si dolsero come se fossero stati rinchiusi in una prigione; anche noi ci trovavamo là: gli uni e gli altri o hanno subìto la stessa ingiuria o sono stati oggetto della stessa sollecitudine.
Allora, come parlare d'ingiuria, quando pensiamo che ci trovavamo in un luogo così spazioso, luminoso e fresco?
Come poteva essere un carcere il luogo, ove si trovava anche il giudice?
E, per finire, noi non sapevamo che quel luogo fosse stato chiuso, [ sapevamo soltanto ] che lì eravamo tutti insieme.
Come hanno saputo questo, se non per il fatto che tentarono di fuggire?
Ora, chi non si rende conto che costoro non avrebbero pronunciato simili falsità, degne di ilarità più che di confutazione, contro un giudice così eccellente, se avessero potuto trovare un argomento valido per la loro causa?
Sappiamo che molti fra voi, forse tutti o quasi tutti, amate dire: " Oh, se costoro si riunissero in uno stesso luogo; oh, se finalmente tenessero una conferenza e brillasse la verità nelle loro discussioni! ".
Ecco, la cosa è bell'e fatta! Ecco, l'errore è smascherato! Ecco, la verità si è manifestata!
Perché, dunque, fuggite ancora l'unità; perché offendete ancora la carità?
Che bisogno abbiamo di dividerci ancora intorno a dei nomi di uomini?
Non c'è che un solo Dio che ci ha creati, un solo Cristo che ci ha redenti, un solo Spirito che deve riunirci.
Ormai, che il nome del Signore sia onorato e brilli su di voi nella letizia, affinché riconosciate i vostri fratelli nella sua stessa unità.
Ormai l'errore che ci separava è stato vinto nel corso degli interventi dei vostri vescovi: anche il diavolo sia finalmente sconfitto nei vostri cuori.
Cristo, che ci ha dato questo precetto dell'unità, assista propizio il suo gregge, riunificato e pacificato! ( Ef 2,14 )
Indice |
45 | Brevic. 3, 5, 6 |
46 | Brevic. 3, 3, 3 |
47 | Brevic. 3, 8, 10 |
48 | Cypr., Ep. 54, 3 |
49 | Vedi sopra 16, 20 |
50 | Brevic. 3, 20, 38 |
51 | Brevic. 3, 21, 39 |
52 | Brevic. 3, 22, 40 |
53 | Brevic. 3, 23, 41 - 24, 42 |
54 | Brevic. 3, 23, 41 |
55 | Brevic. 3, 24, 42 |
56 | Brevic. 3, 25, 43 |