Fratel Teodoreto ( Prof. Giovanni Garberoglio ) |
Chi vede oggi in corso Benedetto Brin, alla periferia di Torino, in piena zona industriale, un terreno dell'estensione di 10.000 metri quadrati con l'imponente edificio dal titolo ricordato qui sopra, penserebbe all'opera eretta da un grande complesso industriale a beneficio dei figli dei propri operai, per assicurarsi domani una maestranza di sicuri sani principi.
esso è invece l'opera dell'Unione Catechisti, fatta sì anche con l'aiuto sollecitato da industriali, ma soprattutto con la carità dei buoni, ponendo la propria fiducia nella Provvidenza di Dio.
Il titolo che campeggia sul frontone « Casa di Carità Arti e Mestieri », inusitato nella forma e discutibile di gusto secondo i canoni dell'estetica pura, dice esattamente lo spirito e la destinazione dell'Opera: ma da solo non lascia supporre quanto il titolo stesso fu oggetto d'incredibili disquisizioni e discussioni, riuscendo pomo di discordia vero e proprio, prima di diventare il motto araldico dell'Opera in esame.
Fra Leopoldo sosteneva a spada tratta l'adozione del titolo integrale, anche se lungo, sostenendolo dettato da Gesù Crocifisso medesimo.
Altri lo ritenevano meno opportuno; e il solco di divisione tra i vari opinanti ritardò di molto le desiderate realizzazioni e minacciò di farle naufragare nel nulla.
La storia di tutte queste tergiversazioni e divergenze di vedute è raccontata con somma oggettività e serafica calma dal Fratel Teodoreto nella vita di Fra Leopoldo ( Segretario del C. 18 ).
Qui dobbiamo contentarci di riassumerle.
A costruire una Scuola Professionale per formare buoni operai pensarono, indipendentemente l'uno dall'altro e ignorandosi del tutto, il Fratel Isidoro di Maria, quando venne fatto Direttore di Santa Pelagia nel 1919, e Fra Leopoldo come araldo di Gesù Crocifisso.
« Per salvare le anime, per formare buone generazioni, si deve aprire una casa di carità per fare imparare ai giovani Arti e Mestieri », si legge nel Diario del santo Frate Laico, in data 24 novembre 1919.
E poi ancora: « Non bisogna lesinare, si richiede qualche milione ... ».
Quando Fratel Isidoro seppe della divina conferma al suo progetto e ne mise a parte persone autorevolissime che riunì in apposito Comitato promotore, l'entusiasmo per la bella opera progettata fu grande.
Forse quei « milioni » nominati da Fra Leopoldo misero sulla strada della presentazione, falsa dal punto di vista psicologico, d'un grandioso progetto, che abbracciava i rami elettromeccanico, tessile, dell'alimentazione, della carta, ecc., con corsi di studio della durata di sei e otto anni, aggiungendovi altresì una Scuola Commerciale di primo e secondo grado, il tutto preventivato nella cifra di 19 milioni.
Diciannove milioni nel 1919 valevano qualcosetta; rappresentavano, anzi, per chi non aveva il primo soldo del primo milione, un'impresa così audace da parere temeraria.
Qualora a decidere si fosse trovato solo Fratel Teodoreto, forse alla cifra avrebbe badato pochino, perché per la banca della Provvidenza tanto valgono diciannove milioni quanto diciannove soldini; ma oramai la cosa era nelle mani di un Comitato, in cui si trovavano uomini d'affari, abituati a giudicare le cose quasi esclusivamente con criteri economici e commerciali.
Alla questione di sostanza - e cioè dei quattrini da trovare - venne ad aggiungersi la questione della forma e cioè del titolo da dare alla Scuola, intorno al quale la divisione si mostrò in verità più profonda di quanto non meritasse; tanto più se si pensa alle parole scritte nel Diario di Fra Leopoldo in data 23 dicembre 1920: « Dirai così: Gesù Crocifisso si piegò come hanno voluto loro riguardo ai nomi da imporre ». ( Si era stabilito il titolo: « Istituto di Arti e Mestieri » ).
Ma ormai c'erano di mezzo puntigli e ripicchi personali: alcuni membri del Comitato diedero le dimissioni, altri senza darle formalmente non risposero più alle chiamate; e tutto si sarebbe risolto in una bolla di sapone, se i Fratelli - sorretti dai più fedeli antichi membri del Comitato - ben sapendo come le opere di Dio cominciano dal « grano di senapa » per diventare poi grande albero, non avessero deciso di rinunciare al progetto di costruzioni imponenti, per cominciare nelle aule stesse di Santa Pelagia una scuola serale a indirizzo industriale.
così salvarono la sostanza, in attesa di poterle dare anche la forma.
e poiché gli uomini si dimenano, ma è Dio che li conduce, dai dissensi intorno al nome accadde che - dopo il periodo della provvisorietà in via delle Rosine - si addivenne alla erezione in Corso Trapani di un grandioso edificio intitolato: « Istituto Arti e Mestieri », su progetto dell'Architetto Prof. Paolino Napione, Istituto che fu l'opera dei Fratelli aiutati dai buoni e dalle massime case lasalliane di Torino e di Milano.
Gran numero di alunni lo frequentarono, corrispondendo una modesta retta; e furono così avviati ai vari mestieri: falegnami, fabbri, meccanici, elettricisti ...
Ma poiché - e per il titolo incompleto e per la retribuzione obbligatoria - questa istituzione, pur tanto provvida, non pareva corrispondere esattamente a quanto Fra Leopoldo chiedeva con insistenza da parte di Gesù Crocifisso, i Catechisti Congregati sentirono l'impegno morale di costruire la vera Casa di Carità, nella quale, al titolo del frontone, corrispondesse la gratuità assoluta della frequenza.
e la gran fede di Fratel Teodoreto e delle sua Congregazione tutta ignea nel fervore dei primordi, osò affrontare l'impresa più che ardua e condurla regalmente in porto.
Così, invece di un solo Istituto, se ne ebbero due, similari negli intenti, anche se alquanto diversi nei mezzi di attuarli.
La Casa di Carità rappresenta il porto definitivo a cui riparano, dopo navigazione a volte tempestosa e sempre precaria , tanto la scuola serale di via delle Rosine nella quale si affiancavano per l'insegnamento Fratelli e Catechisti, quanto la scuola festiva di Nostra Signora della Pace, fondata e sostenuta totalmente dai Catechisti stessi.
Prima di giungere in corso Benedetto Brin, le due scuole - la serale e la festiva - si erano riunite in uno stabile di via Feletto 3, acquistato nel 1930 per circa mezzo milione, mandato dalla Provvidenza, raggiungendo in pochi anni ( 1939 ) la cifra cospicua di 800 alunni frequentanti con regolarità.
Ma le domande d'iscrizione crescevano ancora; e quindi si rese necessario l'ultimo trapianto, a riconferma della teoria cottolenghina, che cioè « i cavoli trapiantati si irrobustiscono e ingrossano ».
così era avvenuto difatti per la « Piccola Casa », e così avvenne per la « Casa di Carità », che costò già altre 150 milioni e ospita oltre 500 alunni, in corsi diurni, preserali, serali e festivi, ripartiti nelle seguenti specializzazioni: aggiustatori meccanici e montatori, attrezzisti e stampisti, elettromeccanici, fucinatori, rettificatori-fresatori, saldatori, tornitori-attrezzisti, disegnatori.
La direzione è tenuta dai Catechisti stessi, aiutati da un gran numero di insegnati - quasi un centinaio - che, in buona parte, prestano opera gratuita e sono ex alunni delle case lasalliane: meccanici, geometri, ragionieri, ingegneri, professionisti, studenti universitari, ecc.
La « Casa di Carità », trasferendosi da via Feletto nella sua nuova sede, ha subìto profonde evoluzioni:
1) furono aperti i corsi diurni, che ne costituiscono la parte essenziale.
soltanto con questi, affidati a insegnati di professione, la « Casa di Carità » ha realizzato pienamente le direttive di Fra Leopoldo;
2) l'insegnamento, che prima era prevalentemente teorico, si è nettamente caratterizzato nell'addestramento e nella qualificazione di operai, in mestieri ben determinati.
Il programma comprende circa 20 ore settimanali di materie teoriche e 20 ore di officina.
Nei corsi serali e preserali, di sole 14 ore per settimana, vi è la stessa proporzione fra teoria e pratica;
3) furono aboliti i corsi festivi, per poter attendere agli ex allievi della scuola, alle associazioni di Azione Cattolica e all'attività parrocchiale in cui si cerca sistematicamente di inserire tutti i giovani che lasciano la scuola;
4) I corsi aderiscono pienamente alla disciplina della recente Legge sull'Apprendistato.
Le varie nuove esigenze - soprattutto la soppressione dei Corsi festivi, che erano i più frequentati - spiega lo sfoltimento della popolazione scolastica, che si è reso necessario con il nuovo indirizzo.
Ogni due allievi dev'essere a disposizione una macchina.
Quindi le officine vengono ad assumere un costo e una estensione assai grande, mentre in via Feletto i laboratori erano poco più di un simbolo.
Quando la « Casa di Carità » sarà completa 8 e cioè raggiungerà il triplo dell'attuale costruzione ) potrà ospitare circa 1.500 alunni.
Naturalmente il catechismo e le pratiche di pietà vi sono in massimo onore.
Trattandosi di una istituzione che riproduce così bene, aggiornandola, una delle più geniali e precorritrici iniziative del de La Salle, si vuole che il gran santo possa darvi, con la piena approvazione, la sua più ampia benedizione.
se il primato dello spirito vi si afferma così autorevolmente - anche per l'urgenza psicologica di renderlo evidente tra giovani chiamati a lavorare la materia - questo non avviene però mai a scapito dell'apprendimento teorico e del tirocinio professionale.
L'attrezzatura dei laboratori non solo è abbondante come già fu detto, ma è altresì delle migliori che si possano desiderare: ottima impressione riportarono ultimamente visitatori illustri, sentendo dichiarare da ingegneri competenti che talune modernissime macchine non erano ancora possedute da parecchie fra le stesse industrie meglio attrezzate della Città.
Sembra quasi superfluo notare come ogni pietra del grande edificio grida quanto urga, oggi, che gli educatori cristiani volgano le loro massime premure ai giovani operai, se vogliono avere domani maestranze abili ai lavori delle conquiste terrene, senza per questo rinunciare alle conquiste eterne: facendo anzi delle prime il mezzo per meritare le seconde.
« Carità, arti e mestieri » fanno un trinomio che può parere piuttosto eterogeneo; eppure, se la carità non si preoccupa di quelli che all'artigianato e ai mestieri ricorrono per procurarsi il pane, c'è gran rischio che la massa dei lavoratori sia sempre più facile preda d'una propaganda, falsa e illusoria circa il suo benessere terreno, che raggiunge però il sicuro risultato di rendere assai aleatoria la sua salvezza eterna.
Tra le visioni di Fra Leopoldo, ce n'è una da lui avuta nel sonno, la notte dal 9 al 10 ottobre 1920, in cui presso a Gesù - che portava faticosamente la croce - c'erano manigoldi a martoriarlo; ma lo seguivano, tutt'intorno al cielo, « una miriade di vescovi e qualche papa ».
La sera del giorno seguente, Gesù Crocifisso spiegò: « La passione nella quale tu mi vedesti, indica gli strazi che il mio popolo va continuamente facendomi.
I Vescovi poi che hai veduto sono tutti quelli che devono impegnarsi a fare erigere nelle loro diocesi scuole di Arti e Mestieri modellate su quelle di Torino, per la riforma del mondo, cominciando dalla gioventù, educandola cristianamente ». (Diario Fra Leopoldo 9 ottobre 1920 ).
La « Casa di Carità » torinese dovrebbe essere quindi la prima di tante, sparse nel mondo: ha dunque una ragione di più per voler riuscire, sotto ogni aspetto, esemplare.
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