Summa Teologica - I-II |
I, q. 26, a. 2, ad 2; In 4 Sent., d. 49, q. 1, a. 1, sol. 2; C. G., III, c. 26; Quodl., 8, q. 9, a. 1; Comp. Theol., c. 107
Pare che la beatitudine consista in un atto della volontà.
1. S. Agostino [ De civ. Dei 19, cc. 10,11 ] insegna che la beatitudine dell'uomo consiste nella pace: per cui leggiamo nei Salmi [ Sal 147,14 ]: « Ha messo pace nei tuoi confini ».
Ma la pace rientra nell'ambito del volere.
Quindi la felicità umana è riposta nel volere.
2. La beatitudine è il bene supremo.
Ma il bene è oggetto della volontà.
Quindi la beatitudine consiste in un'operazione della volontà.
3. L'ultimo fine deve corrispondere alla prima causa motrice: come l'ultimo fine dell'esercito è la vittoria, che è il fine del comandante, primo motore di tutto l'esercito.
Ma la volontà è la prima causa motrice dell'operare: poiché spetta alla volontà muovere le altre potenze, come vedremo [ q. 9, aa. 1,3 ].
Quindi la beatitudine appartiene alla volontà.
4. Se la beatitudine è un'operazione, deve essere la più nobile operazione dell'uomo.
Ma l'amore di Dio, che è un atto della volontà, è, come insegna l'Apostolo [ 1 Cor 13,13 ], un'operazione più nobile della sua conoscenza, che è un atto dell'intelletto.
Quindi la beatitudine consiste in un atto della volontà.
5. Scrive S. Agostino [ De Trin. 13,5.8 ] che « è felice colui che possiede tutto ciò che vuole, senza volere nulla malamente ».
E aggiunge poco dopo: « Si avvicina alla felicità chi vuole bene tutto ciò che vuole: infatti rendono felici soltanto quei beni di cui già si possiede un elemento, cioè la buona volontà ».
Quindi la felicità si riduce a un atto della volontà.
Dice il Signore [ Gv 17,3 ]: « Questa è la vita eterna, che conoscano te, unico vero Dio ».
Ma la vita eterna è l'ultimo fine, come si è detto [ a. 2, ad 1 ].
Quindi la beatitudine dell'uomo consiste nella conoscenza di Dio, che è un atto dell'intelletto.
Si è già detto [ q. 2, a. 6 ] che per la felicità si richiedono due cose: una che ne costituisce l'essenza e un'altra che ne costituisce l'accidente proprio, cioè il godimento che la accompagna.
Dico dunque che è impossibile che la felicità stessa, nella sua essenza, consista in un atto della volontà.
Risulta infatti evidente, da quanto si è detto, [ aa. 1,2; q. 2, a. 7 ] che la felicità è il conseguimento dell'ultimo fine.
Ma il conseguimento dell'ultimo fine non è un atto della volontà.
Infatti la volontà si volge al fine o per desiderarlo, se assente, o per acquietarsi in esso, se presente.
Ora, è chiaro che il desiderio del fine non è il conseguimento del fine, ma piuttosto un moto verso il fine.
Il godimento poi sopravviene alla volontà per il fatto che il fine è presente, mentre non è vero, al contrario, che una cosa diviene presente perché la volontà ne gode.
Si richiede perciò che vi sia un atto diverso da quello della volontà per rendere il fine presente alla volontà medesima.
E ciò è evidente per i fini di ordine sensibile.
Se infatti il conseguimento del danaro dipendesse da un atto della volontà, un avaro lo potrebbe avere fin da principio, dal momento che vuole possederlo.
Invece da principio gli manca; e arriva a conseguirlo per il fatto che lo stringe nelle mani, o compie altri atti consimili: e allora finalmente gode del danaro posseduto.
Così dunque avviene per il fine di ordine intellettuale.
Dapprima infatti c'è la volontà di conseguirlo; poi ne abbiamo il conseguimento per il fatto che esso diviene a noi presente mediante un atto dell'intelletto; finalmente la volontà appagata si acquieta nel fine già posseduto.
Così dunque l'essenza della beatitudine consiste in un atto dell'intelletto; alla volontà invece spetta il godimento che accompagna la beatitudine.
E in questo senso S. Agostino [ Conf. 10,23.33 ] afferma che la beatitudine è « la gioia della verità »: poiché la gioia è il coronamento della beatitudine.
1. La pace rientra nell'ultimo fine dell'uomo: non però nel senso che sia essenzialmente la beatitudine stessa, ma perché ne è un prerequisito, o una conseguenza.
Prerequisito in quanto la felicità presuppone già rimossi tutti gli elementi che distraevano o trattenevano dall'ultimo fine.
Conseguenza in quanto l'uomo, avendo raggiunto l'ultimo fine, rimane pacificato con l'appagamento del suo desiderio.
2. Il primo oggetto della volontà non è il suo proprio atto: come il primo oggetto della vista non è il vedere, ma il visibile.
Quindi dal fatto stesso che la felicità appartiene alla volontà come suo primo oggetto segue che non le può appartenere come atto.
3. Il fine è percepito dall'intelletto prima che dalla volontà, tuttavia il moto verso il fine inizia dalla volontà.
Quindi è dovuta alla volontà l'ultima conseguenza derivante dal conseguimento del fine, cioè il godimento, o fruizione.
4. L'amore supera la conoscenza nell'ordine dell'impulso, ma la conoscenza è anteriore all'amore nel conseguimento: come scrive infatti S. Agostino [ De Trin. 10,1 ], « non si ama se non ciò che si conosce ».
Quindi il fine di ordine intelligibile viene raggiunto da noi prima di tutto mediante un atto dell'intelletto: come anche un fine di ordine sensibile viene prima raggiunto con una percezione dei sensi.
5. Colui che possiede tutto ciò che vuole è beato per il fatto che possiede le cose che vuole; ma ciò avviene mediante un'operazione che non è un atto della volontà.
Il non volere poi nulla malamente è un prerequisito della beatitudine, come debita disposizione verso di essa.
La buona volontà è posta infine tra i beni che rendono felici quale propensione verso di essi, come i vari moti rientrano nel genere dei termini rispettivi: come ad es. l'alterazione rientra nel genere della qualità.
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