Summa Teologica - II-II |
In Rom., c. 8, lectt. 1, 2
Pare che la prudenza della carne sia un peccato mortale.
1. Ribellarsi alla legge divina è un peccato mortale: poiché in tal modo si disprezza il Signore.
Ora, come dice S. Paolo [ Rm 8,7 ], « la prudenza della carne non è soggetta alla legge di Dio ».
Perciò la prudenza della carne è un peccato mortale.
2. Tutti i peccati contro lo Spirito Santo sono mortali.
Ma la prudenza della carne è un peccato contro lo Spirito Santo, « poiché non può essere soggetta alla legge di Dio », come dice l'Apostolo [ Rm 8,7 ]: quindi è un peccato imperdonabile, come sono appunto i peccati contro lo Spirito Santo.
Quindi la prudenza della carne è un peccato mortale.
3. Il contrario del massimo bene è il massimo male, come dimostra Aristotele [ Ethic. 8,10 ].
Ma la prudenza della carne si contrappone alla prudenza, che è la prima tra le virtù morali.
Quindi la prudenza della carne è il primo tra i peccati morali.
Quindi è un peccato mortale.
Ciò che sminuisce il peccato non implica di per sé la gravità di un peccato mortale.
Ma perseguire con moderazione quanto si riferisce alla cura del corpo, e che pure pare rientrare nella prudenza della carne, sminuisce il peccato.
Perciò la prudenza della carne non implica di per sé un peccato mortale.
Come sopra [ q. 47, a. 2, ad 1; a. 13 ] si è visto, uno può essere detto prudente in due modi diversi: primo, in senso assoluto, cioè rispetto al fine di tutta la vita; secondo, in senso relativo, cioè in rapporto a un fine particolare: come uno può essere p. es. prudente nel commercio o in altre cose del genere.
Se quindi parliamo della prudenza della carne intendendo il termine prudenza in senso assoluto, cioè nel senso che uno mette il fine ultimo di tutta la vita nella cura della propria carne, allora questa prudenza è un peccato mortale: poiché ciò allontana l'uomo da Dio essendo impossibile, come si è visto in precedenza [ I-II, q. 1, a. 5 ], che ci siano più fini ultimi.
Se invece si parla della prudenza della carne come di una prudenza particolare, allora è un peccato veniale.
Talora infatti capita che uno si lasci prendere da certi gusti della carne senza però allontanarsi da Dio col peccato mortale: per cui egli non mette il fine di tutta la vita nelle soddisfazioni della carne.
Industriarsi quindi per raggiungere queste soddisfazioni è un peccato veniale, e rientra nella prudenza della carne.
Se poi uno subordina esplicitamente la cura del corpo a un fine onesto, p. es. quando attende a nutrirsi per sostentarlo, allora non è il caso di parlare di prudenza della carne: poiché in tal caso la cura della propria carne è ordinata al suo fine.
1. L'Apostolo parla della prudenza della carne secondo che si mette il fine di tutta la vita umana nei beni della carne.
E allora essa è un peccato mortale.
2. La prudenza della carne non implica un peccato contro lo Spirito Santo.
Quando infatti si dice che essa « non può essere soggetta alla legge di Dio », ciò non va inteso nel senso che colui il quale possiede la prudenza della carne sia incapace di convertirsi e di sottomettersi alla legge di Dio, ma nel senso che la stessa prudenza della carne non può essere soggetta alla legge di Dio, come non può essere giusta l'ingiustizia e non può essere freddo il calore; sebbene un corpo caldo possa diventare freddo.
3. Alla prudenza si contrappongono tutti i peccati, dal momento che la prudenza si trova partecipata in tutte le virtù.
Dal che però non segue che qualsiasi peccato opposto alla prudenza sia il più grave, ma lo è solo quando si contrappone alla prudenza nelle cose più eccellenti.
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