Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se si sia tenuti ad accusare

Pare che non si sia tenuti ad accusare.

Infatti:

1. Nessuno può essere scusato dall'adempimento di un precetto divino a motivo di un peccato.

Ma alcuni a motivo dei loro peccati sono resi inabili ad accusare: come gli scomunicati, i pregiudicati e quanti sono accusati dei più gravi delitti, prima di essere prosciolti.

Quindi un uomo non è tenuto ad accusare per legge divina.

2. Tutti i doveri dipendono dalla carità, che è « il fine del precetto » [ 1 Tm 1,5 ]; per cui S. Paolo [ Rm 13,8 ] afferma: « Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole ».

Ma l'uomo è tenuto ai doveri della carità verso tutti, grandi e piccoli, sudditi e prelati.

Ora, siccome i Canoni [ Decr. di Graz. 2,2,7 cann. 1-3; 8-14, 21, 38, 51 ] proibiscono ai sudditi di accusare i loro prelati e agli inferiori di accusare i superiori, è chiaro che nessuno è tenuto per dovere ad accusare.

3. Nessuno è tenuto ad agire contro la fedeltà doverosa verso gli amici: poiché non può fare agli altri ciò che non vorrebbe fosse fatto a lui stesso.

Ma in certi casi accusare equivale a mancare di fedeltà a un amico.

Si legge infatti [ Pr 11,13 Vg ]: « Chi va in giro sparlando svela il segreto, ma chi è d'animo fidato cela le confidenze dell'amico ».

Quindi non si è tenuti ad accusare.

In contrario:

Sta scritto [ Lv 5,1 ]: « Se una persona pecca perché nulla dichiara, benché abbia udito la formula di scongiuro e sia essa stessa testimone o abbia visto o sappia, sconterà la sua iniquità ».

Dimostrazione:

Come si è detto sopra [ q. 67, a. 3, ad 2 ], tra la denunzia e l'accusa c'è questa differenza, che nella denunzia si mira all'emendamento del fratello colpevole, mentre nell'accusa si mira alla punizione della colpa.

Ora, le pene della vita presente non sono volute per se stesse, poiché non è qui il momento della sanzione finale, ma sono cercate come pene medicinali, che mirano o all'emendamento del colpevole o al bene della società, la cui tranquillità è assicurata dalla punizione dei delinquenti.

E di tali fini il primo è conseguito con la denunzia, come si è detto, mentre il secondo propriamente riguarda l'accusa.

Per cui se il delitto è tale da costituire un danno per la società si è tenuti ad accusare, purché si sia in grado di provare le accuse, come è dovere dell'accusatore: p. es. quando il peccato del prossimo porta alla rovina materiale o spirituale del popolo.

Se invece non si tratta di un peccato che reca danno alla società, o se non è possibile raccogliere le prove occorrenti, non si è tenuti a presentare l'accusa: poiché nessuno è tenuto a tentare ciò che non è in grado di portare a termine nel debito modo.

Analisi delle obiezioni:

1. Nulla impedisce che dal peccato uno sia reso incapace di quegli atti che è tenuto a compiere: come avviene quanto al meritare la vita eterna e al praticare i sacramenti della Chiesa.

Né da questo fatto uno riporta dei vantaggi: anzi, l'inabilità a compiere quanto si è tenuti a fare è una pena gravissima, poiché gli atti virtuosi sono altrettante perfezioni umane.

2. Accusare i propri superiori è proibito a quei sudditi « che cercano di diffamarli e di riprenderli non per affetto di carità, ma per malanimo » [ Decr. di Graz. 2,2,7 app. can. 21 ]; oppure nel caso in cui i sudditi desiderosi di accusare siano incriminati, come si dice nei Canoni [ ib., can. 22 ].

Se invece si tratta di persone idonee, ai sudditi è lecito accusare caritatevolmente i loro prelati.

3. È contro il dovere della fedeltà lo svelare i segreti per danneggiare una persona, non già il manifestarli per il bene comune, che è sempre da preferirsi al bene privato.

Perciò non è lecito impegnarsi a qualsiasi segreto contro il bene comune.

- E neppure è un segreto rigoroso ciò che può essere provato con sufficienti testimonianze.

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