Summa Teologica - II-II |
In 4 Sent., d. 41, a. 5, sol. 2, ad 1
Pare che l'accusatore incapace di provare le accuse non sia tenuto alla pena del taglione.
1. Talora si passa ad accusare per un errore giustificato: nel quale caso il giudice deve assolvere l'accusatore, come è scritto nei Canoni [ Decr. di Graz. 2, 2, 3, app. can. 8 ].
Perciò chi non è in grado di provare le accuse non è tenuto alla pena del taglione.
2. Se a chi accusa ingiustamente si dovesse applicare la pena del taglione, ciò sarebbe dovuto all'ingiuria commessa contro qualcuno.
Ma costui non potrebbe essere l'accusato: poiché in tal caso l'autorità suprema non potrebbe mai condonare tale pena.
E neppure potrebbe essere la società: poiché in questo caso uno non potrebbe essere perdonato dall'accusato.
Quindi chi non riesce a provare le accuse non merita la pena del taglione.
3. Per il medesimo peccato non vanno inflitti due castighi distinti, poiché sta scritto [ Na 1,9 Vg ]: « Dio non giudicherà due volte la stessa cosa ».
Ora, chi soccombe nel provare le accuse incorre nella pena dell'infamia, pena che il Papa stesso non può condonare, stando a quelle parole del Papa Gelasio [ Decr. di Graz. 2, 2, 3, app. can. 7 ]: « Pur avendo noi la facoltà di salvare le anime con la penitenza, tuttavia non possiamo cancellare l'infamia ».
Quindi costui non è tenuto alla pena del taglione.
Il Papa Adriano I [ ib., can. 3 ] ha stabilito: « Chi non prova quanto denunzia subisca la pena che la sua accusa avrebbe dovuto arrecare ».
Come si è già detto [ a. 2 ], l'accusatore in un procedimento penale si costituisce parte che mira alla punizione dell'accusato.
Ora, spetta al giudice determinare fra di essi la giusta misura della giustizia.
Ma la giustizia esige che uno subisca il danno che egli aveva intenzione di infliggere al prossimo, secondo le parole dell'Esodo [ Es 21,24 ]: « Occhio per occhio, dente per dente ».
È giusto quindi che colui che con l'accusa pone altri nel pericolo di una grave pena, subisca egli stesso una pena consimile.
1. Come dice il Filosofo [ Ethic. 5,8 ], nella giustizia non sempre si può applicare materialmente il contrappasso: poiché c'è una grande differenza fra il danneggiare il prossimo volontariamente e il farlo involontariamente.
La volontarietà infatti merita il castigo e l'involontarietà il perdono.
Così quando il giudice riconosce che uno ha accusato falsamente senza l'intenzione di fare del male, ma involontariamente per ignoranza, cioè per un errore giustificabile, non impone la pena del taglione.
2. Chi accusa ingiustamente pecca sia contro l'accusato che contro la società.
Perciò va punito per l'uno e per l'altra.
Infatti nel Deuteronomio [ Dt 19,18s ] si legge: « I giudici indagheranno con diligenza, e se quel testimonio risulta falso perché ha deposto il falso contro il suo fratello, farete a lui ciò che egli aveva pensato di fare al suo fratello ».
Questo per quanto riguarda l'ingiuria personale.
Per quanto invece riguarda l'ingiuria fatta alla società si aggiunge [ Dt 19,19s ]: « Così estirperai il male in mezzo a te.
Gli altri lo verranno a sapere e ne avranno paura, e non commetteranno più in mezzo a te una tale azione malvagia ».
Tuttavia l'ingiuria è inferta principalmente all'accusato con la falsa testimonianza: quindi costui, se è innocente, può perdonare l'ingiuria; specialmente se l'accusatore non ha agito col proposito di calunniare, ma per leggerezza.
Se invece uno desistesse dall'accusa per collusione con l'avversario, allora farebbe ingiuria alla società: e ciò non può essere condonato dall'accusato, ma solo dall'autorità suprema, a cui è affidata la collettività.
Tentato ai danni del prossimo; invece la pena dell'infamia gli è dovuta per la malizia che lo mosse a fare un'accusa calunniosa.
Ora, l'autorità suprema in certi casi condona la pena, ma non cancella l'infamia; in altri invece cancella anche l'infamia.
Perciò anche il Papa può cancellare questa infamia, e l'espressione del Papa Gelasio: « Non possiamo cancellare l'infamia », o va riferita all'infamia intrinseca al fatto, o significa che in certi casi non è bene cancellarla.
Oppure, come dice Graziano [ l. cit. nell'ob. ], quel testo parla dell'infamia decretata da un giudice civile.
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