Summa Teologica - II-II |
I-II, q. 105, a. 3, ad 3; In 3 Sent., d. 37, q. 1, a. 6; De Malo, q. 13, a. 4; Quodl., 3, q. 7, a. 2; Expos. in Decal., c. De Septimo Praec.; In 1 Pol., lect. 8
Pare che percepire l'usura per il danaro prestato non sia un peccato.
1. Nessuno può peccare seguendo l'esempio di Cristo.
Ma il Signore [ Lc 19,23 ] così parla di se stesso: « Io, al mio ritorno, l'avrei riscosso con gli interessi », cioè il danaro prestato.
Quindi non è peccato percepire l'usura per il prestito del danaro.
2. Nei Salmi [ Sal 19,8 ] si dice che « la legge del Signore è perfetta », perché cioè proibisce qualsiasi peccato.
Ma nella legge divina si concede una certa usura, poiché sta scritto [ Dt 23,20s ]: « Non farai al tuo fratello prestiti a interesse né di danaro, né di viveri, né di altre cose; ma allo straniero sì ».
Di più, altrove [ Dt 28,12 ] ciò viene promesso come premio per l'osservanza della legge: « Tu darai a usura a molti popoli, ricevendone interessi, mentre tu non domanderai prestiti ».
Quindi percepire l'usura non è un peccato.
3. Nei rapporti umani la giustizia viene determinata dalle leggi civili.
Ma queste concedono di percepire l'usura.
Quindi non è una cosa illecita.
4. La trasgressione di un consiglio non costituisce peccato.
Ora, le parole [ Lc 6,35 ]: « Prestate senza sperarne nulla » le troviamo tra gli altri consigli evangelici.
Quindi percepire l'usura non è un peccato.
5. Non pare essere intrinsecamente peccaminoso ricevere un compenso per una cosa che non si è tenuti a fare.
Ora, non in tutti i casi chi ha il danaro è tenuto a prestarlo.
Quindi in certi casi uno può ricevere un compenso per il prestito fatto.
6. L'argento coniato e quello trasformato in arredi sono della stessa specie.
Ora, è lecito ricevere un compenso per gli arredi d'argento dati a prestito.
Quindi è lecito anche riceverlo per il prestito dell'argento coniato.
Perciò l'usura per se stessa non è un peccato.
7. Chiunque può percepire lecitamente una cosa data volontariamente dal suo proprietario.
Ora, chi riceve un prestito dà volontariamente l'usura.
Quindi chi presta può percepirla lecitamente.
Sta scritto [ Es 22,24 ]: « Se tu presti del danaro a qualcuno del mio popolo non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse ».
Percepire l'usura, o interesse, per il danaro prestato è di per sé un'ingiustizia: poiché si vende in tal modo una cosa inesistente, determinando una sperequazione che è in contrasto con la giustizia.
Per averne l'evidenza si deve considerare che ci sono delle cose il cui uso consiste nel loro consumo: tali sono, p. es., il vino che consumiamo usandolo per bere, e il grano che consumiamo usandolo per mangiare.
Perciò in queste cose l'uso non va computato come distinto dalle cose stesse, poiché la concessione dell'uso implica la concessione della cosa.
Quindi per tali cose il prestito determina un passaggio di proprietà.
Se quindi uno volesse vendere il vino separatamente dall'uso del vino, venderebbe due volte la stessa cosa, oppure venderebbe un'entità inesistente.
È chiaro, quindi, che commetterebbe un peccato di ingiustizia.
E per lo stesso motivo commette un'ingiustizia chi presta il vino o il grano chiedendo due compensi, cioè la restituzione di una cosa equivalente e in più il prezzo dell'uso, denominato usura.
Ci sono invece altre cose il cui uso non consiste nel loro consumo: l'uso della casa, p. es., consiste nell'abitarla, non già nel distruggerla.
Perciò in questi casi si può concedere l'una o l'altra delle due cose: p. es. uno può concedere a un altro la proprietà della casa riservandosene però l'uso per un certo tempo; o viceversa uno può concedere l'uso conservando la proprietà.
E così è possibile percepire un compenso per l'uso della casa, ed esigere oltre a ciò la restituzione della casa stessa: come è evidente nei contratti di conduzione e di locazione.
Ora il danaro, come insegna il Filosofo [ Ethic. 5,5; Polit. 1,3 ], è stato inventato principalmente per facilitare gli scambi: quindi l'uso proprio e principale del danaro è il consumo o la spesa che di esso viene fatta negli scambi.
E così è di per sé illecito il percepire un compenso per l'uso del danaro prestato, cioè per l'usura.
Quindi, come l'uomo è tenuto a restituire le altre cose ingiustamente acquistate, così è tenuto a farlo per il danaro ricevuto come usura o interesse.
1. In quel testo l'usura è presa in senso traslato nel senso di aumento dei beni spirituali, aumento che Dio esige perché vuole il nostro continuo progresso nei doni da lui ricevuti.
E ciò a vantaggio non suo, ma nostro.
2. Agli ebrei fu proibito di percepire l'usura « dai loro fratelli », cioè dagli ebrei.
Il che ci fa comprendere che percepire l'usura da un uomo qualsiasi è intrinsecamente peccaminoso.
Infatti noi dobbiamo considerare ogni uomo « come prossimo e fratello », specialmente dopo l'instaurazione della legge evangelica, aperta a tutta l'umanità.
Per cui nella Scrittura si elogia senza restrizioni « chi presta danaro senza fare usura » [ Sal 15,5 ], e « chi non presta a usura né a interesse » [ Ez 18,17 ].
Agli ebrei tuttavia fu concesso di percepire l'usura dagli stranieri non come cosa lecita, bensì come una permissione per evitare un male maggiore: cioè perché, spinti dall'avarizia a cui erano dediti, come risulta dal profeta Isaia [ Is 56,11 ], non la esigessero dagli ebrei stessi, adoratori di Dio.
- Invece la promessa riferita: « Tu darai a usura a molti popoli », va intesa in senso lato dei prestiti, cioè nel senso di quel passo [ Sir 29,10 Vg ]: « Molti non danno a usura », vale a dire « non danno a prestito », « non per cattiveria, ma per paura di restare sacrificati ».
Perciò agli ebrei viene promessa in quel testo abbondanza di ricchezze, dal che proviene che possano prestare ad altri.
3. Le leggi umane lasciano impuniti alcuni peccati per la condizione degli uomini imperfetti, inquantoché verrebbero impediti molti vantaggi se venissero rigorosamente puniti tutti i peccati.
Perciò le leggi umane permettono l'usura non perché la ritengano secondo giustizia, ma per non impedire i vantaggi di molti.
Per cui anche nel diritto civile [ Instit. 2,4 ] si legge: « Le cose consuntibili con l'uso non sono suscettibili di usufrutto né secondo il diritto naturale, né secondo il diritto civile ».
E ancora [ ib. ]: « Il Senato non ha ammesso l'usufrutto o interesse di queste cose, né poteva farlo; ma ne ha fissato i termini », cioè concedendo l'usura.
E anche il Filosofo [ Polit. 1,3 ], seguendo la ragione naturale, afferma che « l'acquisto del danaro mediante l'usura è quello più estraneo alla natura ».
4. Non si è sempre tenuti a dare in prestito: quindi ciò rientra nei consigli.
Ma rientra nell'ambito dei precetti il non cercare un guadagno dal prestito.
- Oppure ciò può essere considerato un consiglio rispetto alle massime dei Farisei, i quali pensavano che in certi casi l'usura fosse lecita: come può dirsi consiglio anche l'amore dei nemici.
- Oppure in quel testo si condanna non la speranza relativa al guadagno dell'usura, ma la speranza riposta nell'uomo.
Infatti non dobbiamo dare a prestito o fare qualsiasi altro bene per la speranza nell'uomo, ma per la speranza in Dio.
5. Chi non è tenuto a prestare può percepire una ricompensa del suo gesto, ma non deve esigere di più.
Ora, egli viene ricompensato con perfetta uguaglianza con la restituzione di quanto aveva prestato.
Se quindi esigesse di più per l'usufrutto di una cosa che non ha altro uso all'infuori del suo consumo, esigerebbe un compenso per una cosa inesistente.
Si avrebbe quindi una richiesta ingiusta.
6. L'uso principale degli arredi d'argento non è il loro consumo: perciò si può vendere lecitamente tale uso conservandone la proprietà.
Invece l'uso principale delle monete d'argento è la loro spesa negli acquisti.
Perciò non è lecito vendere l'uso del danaro dato a prestito e insieme pretenderne la restituzione.
Si deve però notare che, come uso secondario, gli arredi d'argento possono avere quello di moneta di scambio.
E in tal caso non è lecito venderne l'uso.
Parimenti ci può essere un uso secondario delle monete d'argento: prestarle, p. es., come campioni di raffronto, o in sostituzione di un pegno.
E questo è un uso del danaro che può essere venduto.
7. Chi dà l'interesse o l'usura non dà in modo totalmente volontario, ma con una certa necessità: cioè perché è costretto a prendere a prestito quel danaro che l'offerente non vuol concedere senza l'usura.
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