Summa Teologica - II-II |
I-II, q. 61, a. 2; De Virt., q. 1, a. 12
Pare che la fortezza non sia una virtù.
1. L'Apostolo [ 2 Cor 12,9 ] afferma: « La virtù ha il suo compimento nella debolezza ».
Ma la fortezza è incompatibile con la debolezza.
Quindi non è una virtù.
2. Se lo fosse, essa dovrebbe essere una virtù o teologale, o intellettuale, o morale.
Ora, risulta da quanto abbiamo già detto [ I-II, q. 57, a. 2; q. 62, a. 3 ] che la fortezza non è una virtù né teologale, né intellettuale.
E neppure pare essere una virtù morale; poiché, come nota il Filosofo [ Ethic. 3,8 ], alcuni si dimostrano forti per ignoranza; altri ancora, come i soldati, per esperienza: e questa si riferisce più a un'arte che a una virtù morale; altri invece devono la loro fortezza a qualche passione, p. es. al timore delle minacce o del disonore, oppure all'ira, o alla speranza.
Ma una virtù morale non agisce per passione, bensì per spontanea deliberazione, come si è visto in precedenza [ I-II, q. 59, a. 1 ].
Quindi la fortezza non è una virtù.
3. Le virtù umane dipendono specialmente dall'anima, essendo esse delle buone qualità dello spirito, come vedemmo sopra [ I-II, q. 55, a. 4 ].
Invece la fortezza dipende dal corpo; o almeno deriva dalla complessione del corpo.
Perciò la fortezza non è una virtù.
S. Agostino [ De mor. Eccl. 1,15 ] enumera la fortezza tra le virtù.
Secondo il Filosofo [ Ethic. 2,6 ], « la virtù è quella disposizione che rende buono chi la possiede e l'atto che egli compie »: di conseguenza le virtù umane, di cui ora parliamo, sono le disposizioni che rendono buono un uomo e buoni gli atti che egli compie.
Ora, la bontà di un uomo consiste nell'essere conforme alla ragione, come dice Dionigi [ De div. nom. 4 ]
Perciò le virtù umane hanno il compito di rendere conformi alla ragione l'uomo e i suoi atti.
- Ora, ciò può avvenire in tre modi.
Primo, rettificando la ragione stessa: il che si ottiene mediante le virtù intellettuali.
Secondo, portando la rettitudine della ragione nei rapporti umani: e ciò si ha mediante la giustizia.
Terzo, togliendo gli ostacoli all'attuazione di tale rettitudine.
- Ora, la volontà umana trova due ostacoli nel seguire la rettitudine della ragione.
Primo, per il fatto che essa viene attratta da cose dilettevoli a compiere atti diversi da quelli richiesti dalla rettitudine della ragione: e tale ostacolo viene rimosso dalla virtù della temperanza.
Secondo, per il fatto che la volontà si allontana da quanto è conforme alla ragione per qualcosa di difficile che incombe.
E per togliere questo ostacolo si richiede la fortezza dell'animo, in modo che si possa resistere a tali obiezioni: come si richiede la forza, ossia il vigore del corpo, per superare e respingere il male fisico.
È quindi evidente che la fortezza è una virtù, in quanto rende l'agire dell'uomo conforme alla ragione.
1. Le virtù dell'anima non hanno il loro compimento nella debolezza dell'anima, bensì in quella del corpo, di cui l'Apostolo parlava.
Anzi, è proprio della fortezza d'animo sopportare coraggiosamente la debolezza della carne: il che appartiene alla virtù della pazienza, o della fortezza.
Il riconoscimento poi della propria debolezza è proprio dell'umiltà.
2. Può capitare che alcuni compiano gli atti esterni di una virtù senza essere virtuosi, ma in quanto mossi da altre cause.
Per cui il Filosofo [ l. cit. nell'ob. ] parla di cinque modi in cui si può essere forti solo apparentemente, in quanto cioè si compiono degli atti di fortezza senza avere questa virtù.
Il che può avvenire in tre modi.
Primo, perché uno affronta le cose difficili come se fossero facili.
Ora, talvolta ciò è dovuto all'ignoranza: cioè al fatto che uno non percepisce la gravità del pericolo.
Talora invece è dovuto al fatto che uno ha molta fiducia di superarle: come capita a chi è sfuggito spesso ai pericoli.
Altre volte infine ciò è dovuto a una particolare perizia, o al mestiere, come avviene nel caso dei soldati, i quali per la propria abilità nel maneggio delle armi non considerano gravi i pericoli della guerra, pensando di potersi difendere da essi col proprio mestiere; come dice anche Vegezio [ De re milit. 1,1 ]: « Nessuno teme di fare ciò che crede di avere bene imparato ».
- Secondo, uno può compiere degli atti di fortezza senza la virtù per l'impulso di una passione: cioè o per un dolore che vuole allontanare, o per l'ira.
- Terzo, perché mosso da una libera scelta non già del debito fine, ma di un qualche vantaggio temporale, come ad es. della gloria, del piacere, o del guadagno; oppure perché desidera evitare dei danni, come il disonore, la sofferenza o altre disgrazie.
3. La fortezza dell'anima che è una virtù deriva il suo nome da un'analogia con la forza fisica, come si è visto [ nel corpo ].
Tuttavia il fatto che uno vi sia inclinato dalla propria complessione naturale non esclude la virtù, come si è detto [ I-II, q. 63, a. 1 ].
Indice |