Supplemento alla III parte

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Articolo 4 - Se sia necessario confessarsi al proprio sacerdote

Pare che non sia necessario confessarsi al proprio sacerdote.

Infatti:

1. S. Gregorio [ Decr. di Graz. 2,16,1,24 ] afferma: « Per autorità apostolica e per dovere di pietà abbiamo stabilito che ai sacerdoti monaci, che rappresentano gli Apostoli, sia lecito predicare, battezzare, dare la comunione, pregare per i peccatori, imporre la penitenza e assolvere dai peccati ».

Ora, i monaci non sono sacerdoti propri di nessuno, non avendo essi cura d'anime.

Essendo quindi la confessione fatta in vista dell'assoluzione, basta confessarsi a qualsiasi sacerdote.

2. Il sacerdote è ministro di questo sacramento come anche dell'Eucaristia.

Ma qualsiasi sacerdote è in grado di consacrare.

Perciò qualsiasi sacerdote può amministrare il sacramento della penitenza.

Quindi non importa che ci si confessi dal proprio sacerdote.

3. Quanto ci è imposto in modo determinato non è lasciato alla nostra scelta.

Invece è lasciato alla nostra scelta il sacerdote a cui dobbiamo confessarci, come risulta da quelle parole di S. Agostino [ De vera et falsa poenit. 10 ]: « Chi per ricevere la grazia vuole confessare i suoi peccati, cerchi un sacerdote che sappia sciogliere e legare ».

Quindi non è necessario che uno si confessi dal proprio sacerdote.

4. Ci sono alcuni, come i prelati, i quali non hanno un proprio sacerdote, non avendo essi alcun superiore.

Eppure costoro sono tenuti alla confessione.

Quindi non sempre si è tenuti a confessarsi dal proprio sacerdote.

5. Come dice S. Bernardo [ De praecept. et dispensat. 2,5 ], « ciò che fu istituito per la carità non può mai essere contro la carità ».

Ora la confessione, istituita per la carità, sarebbe contro la carità se si fosse obbligati a confessarsi da un unico sacerdote: nel caso, p. es., che il penitente sapesse che il proprio sacerdote è eretico, o sollecitatore al male, oppure così fragile da essere proclive al peccato di cui sente la confessione; o ancora se è sospettato di rivelare il segreto di confessione; oppure se il peccato da confessare è stato commesso contro di lui.

Perciò non pare che sia sempre necessario confessarsi dal proprio sacerdote.

6. Nelle cose necessarie alla salvezza, gli uomini non devono mai essere coartati, per non impedire la loro salvezza.

Ma se fosse necessario confessarsi da un solo uomo si avrebbe una grande coartazione: per cui molti potrebbero essere distolti dalla confessione per timore, per vergogna o altre cose del genere.

Quindi, essendo la confessione necessaria alla salvezza, gli uomini non devono essere costretti a confessarsi dal proprio sacerdote.

In contrario:

1. Il decreto di Innocenzo III [ Decretales 5,38,12 ] prescrive che « tutti [ i fedeli ] dell'uno e dell'altro sesso si confessino una volta all'anno al proprio sacerdote ».

2. Come il vescovo sta alla sua diocesi, così il sacerdote sta alla propria parrocchia.

Ma a un vescovo, secondo i Canoni [ Decr. di Graz. 2,9,2,3 ], non è lecito esercitare l'ufficio episcopale nella diocesi di un altro.

Quindi nemmeno a un sacerdote è lecito ascoltare in confessione il parrocchiano di un altro.

Dimostrazione:

Negli altri sacramenti non si richiede che chi li pratica compia degli atti costitutivi dei sacramenti stessi, ma solo che li riceva, come è evidente nel caso del battesimo: per cui l'atto richiesto per percepire l'effetto del sacramento, in chi ha l'esercizio del libero arbitrio, ha solo il compito di togliere l'ostacolo, cioè la finzione.

Nella penitenza invece l'atto di chi accede al sacramento appartiene alla sostanza del sacramento: poiché la contrizione, la confessione e la soddisfazione, che sono atti del penitente, sono parti della penitenza.

Ora i nostri atti, avendo in noi il loro principio, non possono dipendere da altri se non mediante il comando.

Perciò chi ha il compito di amministrare questo sacramento deve essere in grado di poterci comandare.

Ma nessuno ha il potere di comandare a un altro se non ha la giurisdizione su di lui.

Quindi è indispensabile per questo sacramento che il ministro non abbia solo l'ordine, come negli altri sacramenti, ma anche la giurisdizione.

Come dunque non può conferire questo sacramento chi non è sacerdote, così non può conferirlo chi non ha la giurisdizione.

Ed è per questo che si richiede che la confessione venga fatta non solo al sacerdote, ma al proprio sacerdote.

Poiché infatti il sacerdote non assolve se non obbligando il penitente a fare qualcosa, così può dare l'assoluzione solo chi ha la facoltà di obbligare con il comando a compiere tale penitenza.

Analisi delle obiezioni:

1. S. Gregorio in quel testo parla dei monaci che hanno la giurisdizione, avendo ricevuto la cura di qualche parrocchia: infatti alcuni negavano che avessero la facoltà di assolvere e di imporre penitenze per il fatto stesso che erano monaci.

Il che è falso.

2. Il sacramento dell'Eucaristia non richiede il comando su altri uomini.

Non così invece questo sacramento, come si è spiegato [ nel corpo ].

Perciò il paragone non regge.

Tuttavia non è lecito ricevere l'Eucaristia se non dal proprio sacerdote; sebbene sia un vero sacramento quello che da lui si riceve.

3. La scelta di un sacerdote adatto non è lasciata al nostro arbitrio, ma va fatta col permesso del superiore, qualora il proprio sacerdote fosse poco indicato a somministrare il rimedio adatto per il peccato.

4. Poiché i prelati hanno il compito di distribuire i sacramenti, che solo i puri possono amministrare, è stato loro concesso dal diritto di potersi scegliere i sacerdoti confessori, che in tale compito sono ad essi superiori: allo stesso modo in cui un medico è curato da un altro, non in quanto medico, ma in quanto infermo.

5. Nei casi in cui il penitente ha ragioni per temere che dalla confessione possa risultare un pericolo per sé, o per il [ proprio ] sacerdote, deve ricorrere al superiore, o chiedere il permesso di confessarsi da un altro.

Che se poi non riesce ad averne il permesso, allora va giudicato come colui che non ha a disposizione il sacerdote.

Per cui deve scegliere piuttosto di confessarsi a un laico.

Né con ciò egli trasgredisce il precetto della Chiesa: poiché i precetti della legge positiva non si estendono al di là dell'intenzione del legislatore, che è il fine del precetto; e questo, come insegna l'Apostolo [ 1 Tm 1,5 ], è la carità.

E neppure fa un torto al sacerdote: poiché « chi abusa del suo potere merita di perdere le sue prerogative » [ Decr. di Graz. 1,74,7 ].

6. L'obbligo di confessarsi dal proprio sacerdote non coarta la via della salvezza, ma le dà un'ampiezza sufficiente.

Peccherebbe tuttavia il sacerdote che non concedesse facilmente il permesso di confessarsi da altri: poiché molti sono così mal disposti che morirebbero senza confessione piuttosto che confessarsi da quel determinato sacerdote.

Perciò coloro che sono troppo bramosi di conoscere la coscienza dei sudditi mediante la confessione « tendono il laccio » [ 1 Cor 7,35 ] della dannazione a molti, e per conseguenza a se stessi.

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