Ritiro del 15/5/1969
1 - L'abbassamento di Gesù è congiunto con il Suo innalzamento
2 - La Divozione ci presenta il Crocifisso glorioso
3 - L'abbassamento di Gesù produce la gloria della Risurrezione e della Ascensione
4 - Gloria e regalità di Cristo si fondono nella Sua Crocifissione
5 - Significato dell'acqua e del sangue
6 - La Chiesa nasce dal costato trafitto di Cristo
7 - Necessità di ripercorrere lo stesso itinerario di Gesù
8 - Peccati di pensiero e di lingua
9 - Umiltà sorgente di fecondità
10 - I nostri giudizi devono essere guidati dalla Carità
11 - Esercizio di controllo
12 - La superbia è la radice di tutti i peccati
Ci troviamo qui riuniti in un giorno particolarmente ricco di significati; esso infatti, oltre a commemorare l'Ascensione di Nostro Signore ed essere dedicato a S. Giovanni Battista de La Salle, è l'anniversario della sepoltura di fr. Teodoreto.
Sepoltura, in un certo senso trionfante: alcuni di voi ricorderanno infatti come il feretro fosse seguito, nonostante la pioggia, da una moltitudine di gente.
È l'anniversario di un giorno che, a mio avviso, ci ha dato la conferma di quanto Lui vuole da noi Catechisti del SS. Crocifisso, facendoci capire meglio la Divozione e l'opera della Sorgente che ne è un frutto.
Il Predicatore ha sottolineato come, in S. Giovani, l'abbassamento di Gesù sia intimamente congiunto con il Suo innalzamento, come la croce sia già gloriosa, come il venerdì santo sia la radice delle Risurrezione il cui coronamento consiste nell'Ascensione e nell'assidersi di Gesù alla destra del Padre.
La Divozione ci presenta il Crocifisso glorioso proprio in virtù della Sua croce 3 fra Leopoldo ci invita ad unirci nella preghiera a Lui e alla Madonna in questo modo: "Amabilissimo mio Signore Gesù Crocifisso"; in questa espressione ci sono tutti gli attributi della gloria, della glorificazione: dall'"Amabilissimo", infinitamente degno di amore, al "Signore Gesù" diventato tale proprio per la morte di croce.
La nota dominante di questa espressione è di gioia, di slancio, di amore; è un canto di lode e una gloria che viene innalzata nei confronti di Gesù Crocifisso.
L'abbassamento di Gesù è causa del Suo innalzamento, ci ha ricordato l'epistola di S. Paolo: "a motivo di questo"; per essersi cioè tanto umiliato è stato tanto innalzato. ( Fil 2,8-9 )
L'umiliazione, fonte della glorificazione. è perciò già gloriosa essa stessa; l'umiliazione infatti non potrebbe produrre la gloria se non fosse già gloriosa in qualche modo.
Lo stesso abbassamento, per i motivi che lo guidano, per l'amore che rivela, per ciò che esso esprime al mondo, è fonte di gloria, poiché produce la gloria della Risurrezione e dell'Ascensione.
L'importanza dell'opuscolo della Sorgente consiste nell'affermare che la gloria e la regalità di Cristo si fondano nella Sua Crocifissione, in modo che gli uomini capiscano Gesù e non considerino la sua croce come un passaggio, una pura umiliazione, un annientamento.
Una umiliazione così concepita sarebbe veramente sterile; essa non sarebbe rigeneratrice, salvifica e non sarebbe la causa della gloria visibile di Gesù, gloria che si manifesta al mondo con la Risurrezione e l'Ascensione.
Questo è il vero senso dell'opuscolo nel quale è citato un importante passo di Giovanni ( Gv 8,27-28 ): "Quando avrete levato in alto il Figlio dell'uomo allora conoscerete che io sono Dio Jahvé, e che nulla faccio da me, ma dico ciò che il Padre mi ha insegnato.
E colui che mi ha mandato è con me, non mi ha lasciato solo perché io faccio sempre quel che a Lui piace".
Vi è in queste parole non soltanto la rivelazione della vita di Cristo, ma la rivelazione della Trinità.
Sempre in Giovanni ( Gv 12,23 ), dove si parla dell'annuncio di morte di Gesù, ci sono espressioni significative.
Eccone alcune: "Gesù risponde loro: è venuta l'ora in cui il Figlio dell'uomo deve essere glorificato", dove glorificato sta a significare crocifisso.
Concetto che si chiarisce bene nei versetti seguenti: "in verità vi dico, se il chicco di frumento non cade in terra e muore, resta solo; se invece muore porta molto frutto", dove è presente il concetto della morte che porta frutto.
E ancora: "Chi ama la sua vita la perde; chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna.
Chi mi vuol servire mi segua e dove sono io, là sarà il mio servo".
Lo Spirito Santo, ci è stato detto, è il dono della croce: cerchiamo di verificare questo concetto direttamente con i testi alla mano, non limitandoci soltanto a considerare l'espressione: "emise lo spirito".
Consideriamo le parole che si trovano in Giovanni ( Gv 16,7 ), parole da cogliersi in tutta la prospettiva del discorso dell'ultima cena: "Vi conviene che io vada, perché se non vado non verrà a voi il Consolatore; se invece io vado, ve lo manderò".
Non dimentichiamo cosa dice S. Giovanni, con un'insistenza singolare, a proposito del Sangue ed acqua che escono dal costato trafitto di Gesù: "Giunti a Gesù, vedendolo già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli trafisse il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue ed acqua".
E poi: "chi ha veduto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è veritiera ed egli sa che dice il vero affinché voi crediate.
Questo infatti accadde perché si adempisse la Scrittura "Non gli sarà spezzato un sol osso".
E ancora la Scrittura dice: "vedranno Colui che hanno trafitto".
Per capire il significato che l'acqua e il sangue hanno nel pensiero di Giovanni, basta prenderne la prima epistola ( 1 Gv 5,6-7 ) nella quale, a proposito di Gesù è scritto: "Questi è Colui che venne con acqua e sangue.
Gesù Cristo, non soltanto con l'acqua, ma con l'acqua e il sangue.
Lo spirito ne rende testimonianza poiché lo spirito è la verità.
Poiché sono tre che rendono testimonianza: lo Spirito, l'acqua e il sangue, e questi tre convengono nell'attestare la medesima cosa".
L'acqua significa purificazione e il sangue espiazione; l'acqua e il sangue sono testimoni oggettivi, lo Spirito Santo è un testimone soggettivo che dentro di noi rende testimonianza e ci dà la luce per capire il valore dell'acqua e del sangue.
Acqua, sangue e Spirito sono intimamente connessi.
Il Concilio, nella costituzione sulla liturgia, ricorda che la Chiesa è nata dal costato trafitto di Cristo, dalla sua passione e morte. ( Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum Concilium 5 )
Come ha detto molto bene il predicatore, la croce è il fondamento di tutto.
Von Balthasar, nel suo libro "Cordula è il caso serio" afferma che il cristianesimo assume consistenza e verità dalla Croce.
La stessa Risurrezione e Ascensione, private della Passione, della morte, hanno l'aspetto di una favola, di una fantasia, e non hanno alcun riferimento particolare con la rigenerazione nostra personale, né costituiscono una testimonianza probante.
Quindi il fondamento di tutto è nella croce, le cui meraviglie vengono rivelate dalla Risurrezione e dall'Ascensione.
A proposito dello Spirito Santo, si potrebbero ancora consultare in Gv 7,38 ss, da cui abbiamo tratto spunto per il titolo di "Sorgente".
Per non allontanarmi dal piano essenzialmente pratico di questa mia relazione, vorrei dire che bisogna, in un certo senso, imparare i ritmi della salvezza, considerando l'itinerario di Gesù.
Gesù, in quanto si è umiliato, è stato glorificato e ora, asceso alla destra del Padre, ci rende partecipi, attraverso l'Eucaristia di se stesso.
E noi, per essere glorificati con Lui,
dobbiamo ripercorrere lo stesso itinerario,
dobbiamo accettare di essere Suoi discepoli;
per salire dobbiamo discendere,
per fruttificare dobbiamo morire;
per ottenere la vita eterna dobbiamo, in qualche modo, compromettere la vita presente, in modo tale che il principio e il fine di tutto non sia più in noi, ma in Dio.
Bisogna, in questo senso, odiare la nostra vita presente, rinunciare ad essere arbitri del bene e del male, così come Adamo ha voluto fare e, in qualche modo, Cristo stesso è stato invitato a fare dalle tentazioni del demonio; per giungere a morire a noi stessi e per crescere a Dio per Cristo Crocifisso, è necessario valutare giustamente i peccati di pensieri e di lingua.
S. Giacomo, nella sua epistola, ha delle singolari esortazioni per ciò che riguarda i peccati di lingua che sono sempre peccati di pensiero: infatti la parola segue il pensiero.
Con il termine "lingua" intendiamo il verbo espresso esternamente e formulato anche interamente.
S. Giacomo così si esprime: "non vogliate diventare maestri in troppi, fratelli miei, ben sapendo che noi ci attireremo un giudizio più severo". ( Gc 3,1 )
Sono parole che mettono in evidenza la responsabilità del maestro che suscita il giudizio più severo in quanto egli deve essere cosciente del suo insegnamento, a cui deve attenersi con coerenza.
E continua dicendo: "in effetti tutti manchiamo in molte maniere; se uno non manca nella parola, costui è un uomo perfetto, capace anche di tenere a freno tutto il corpo". ( Gc 3,2 )
Riflettendo su queste espressioni, comprenderemo come tutto ciò sia vero.
Tutte le nostre colpe derivano dalle parole interne od esterne, dai giudizi, dai sospetti, dalle affermazioni che noi formuliamo, anche verso Dio.
Continua Giacomo: "Ecco noi mettiamo il freno in bocca ai cavalli per renderceli soggetti e così governiamo tutto il loro corpo.
Anche le navi, per quanto siano così grandi e spinte da venti impetuosi, sono manovrate da un minuscolo timone, dovunque vuole il gusto del capitano.
Così pure la lingua: è un piccolo membro, ma va fiera di grandi imprese.
Osservate: una favilla sì piccola appicca il fuoco ad una foresta sì grande!
Anche la lingua è un fuoco, è un mondo di malizia.
La lingua è posta in mezzo alle nostre membra e contamina tutto il corpo ed infiamma la ruota della vita traendo fiamma dalla Geenna.
Ogni specie infatti di pesci, uccelli, animali marini viene domata e resa domestica dalla specie umana, ma la lingua nessuno tra gli uomini è capace di domarla; è un male irrequieto, ripieno di mortale veleno.
Con essa noi benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli uomini fatti ad immagine di Dio.
Dalla stessa bocca escono benedizioni e maledizioni". ( Gc 3,3-10 )
Queste considerazioni sono strettamente legate alle precedenti.
Dobbiamo perciò non incentrare tutto su noi stessi, non considerarci come principio del bene e del male, come sorgente di giustificazione, di giudizio, di verifica per tutti gli altri.
Dobbiamo guardarci dal nutrire questo spirito cattivo, fondamentalmente superbo, ingiusto, che vuol porsi al posto di Dio, questo amore disordinato di se stessi che causa la morte dell'anima nostra.
Affinché le nostre parole e i nostri pensieri siano ben orientati, dobbiamo ripercorrere i ritmi della nostra redenzione, dobbiamo svuotare noi stessi, umiliarci, mettendoci in un posizione di servizio, di obbedienza, di disponibilità; solo così infatti potremo essere fecondi nei riguardi del nostro prossimo.
Per giungere ad una rettitudine di giudizio, dobbiamo avere come modello Gesù, presente nell'Eucaristia e nel nostro cuore.
Il nostro sguardo deve rivolgersi verso la luce che ci viene dall'alto, facendo in modo che le nostre valutazioni, i nostri giudizi siano guidati dalla carità: non dobbiamo essere noi infatti i giudici del nostro prossimo.
Gesù, nel discorso della montagna, ha delle parole significative a questo riguardo allorché dice che non dobbiamo giudicare e che, con la stessa misura con la quale avremo misurato gli altri, saremo misurati noi.
Gesù ci avverte ancora che noi guardiamo la pagliuzza nell'occhio del fratello e non vediamo la trave che è nel nostro.
Cerchiamo perciò di praticare su noi stessi un esercizio di controllo, di ispirare l'uso della lingua ai sentimenti di amore e di umiltà che erano di Gesù.
Riflettiamo alle numerose mancanze da noi compiute durante la giornata, mancanze che pur essendo sorgenti di veleno, di rovina, di morte per noi e per gli altri, non sono neanche oggetto di un esame di coscienza specifico.
Proponiamoci perciò di approfondire questo aspetto che si rivela essenziale per essere i figli, gli apostoli di Gesù.
Se riusciamo a risolvere questo problema con la grazia di Dio, come dice l'apostolo S. Giacomo nell'epistola, raggiungeremo la perfezione cui ci siamo impegnati come catechisti associati e congregati.
Tutti dobbiamo tendere alla perfezione, ciascuno nel proprio stato; se riusciremo a dominare i pensieri e le parole, diventeremo capaci di tenere a freno tutto il corpo; la superbia è infatti la radice di tutti gli altri peccati ed in particolare dell'invidia.
Questo controllo di pensieri e di parole deve essere sempre praticato, anche nella formulazione dei giudizi riguardanti noi stessi.
Tale valutazione infatti, se non è ispirata dallo spirito del Signore, può non soltanto farci peccare di superbia, ma indurci a trascurare o a sottovalutare i doni e l'opera di Dio.
Le nostre parole, i nostri pensieri devono essere animati dallo spirito che proviene da Gesù Cristo, spirito che ci permetterà di superare i momenti di scoraggiamento, di abbandono, di dispetto, di ribellione che derivano sempre da un atto di superbia e ci insegnerà ad amare noi stessi e il prossimo dell'amore con il quale ci ama il Signore.
L'apostolo Giacomo ci raccomanda tale controllo al punto di affermare che se non si inciampa nella parola si è perfetti. ( Gc 3,2 )
Proponiamoci perciò di praticare tale esercizio ascetico dal quale deriva tutto il resto, anche la pratica di virtù che sembrano lontane dal giudicare e dal dire, come ad esempio la purezza.
Dobbiamo infatti combattere la radice di tutti i mali: la superbia.
Il peccato contro la purezza ha molte volte alla radice una mancanza di umiltà; infatti l'accettazione di una indicazione, la pratica di un esercizio ragionevolmente consigliato, la fuga dalle occasioni prossime di peccato dipendono essenzialmente, più che dalla purezza specifica, dall'umiltà.
Questo esercizio di controllo, fatto con Gesù, nel Suo spirito di amore e di umiliazione, ci permetterà di migliorare in qualunque campo della nostra vita e ci renderà partecipi della Sua gloria.