Ritiro del 8/2/1970
1 - Consacrazione e secolarità
2 - Non esiste il profano
3 - Regalità di Cristo
4 - Passione e morte
5 - Gesù esempio di fedeltà a Dio e all'uomo
6 - Valore della croce
7 - Sacro e profano
8 - I Catechisti e Gesù
9 - La Madonna e noi
Dovremo adesso approfondire il tema della giornata riguardo alla nostra condizione, alla nostra consacrazione secolare e catechistica.
In quanto membri di un Istituto Secolare ci si può obiettare che nella denominazione presentiamo una contraddizione insanabile.
Oggi siamo proprio al centro della contraddizione: da un lato la sacralità, la consacrazione, dall'altro lato la secolarità.
Avete sentito stamattina come un certo tipo di secolarizzazione stia negando oggi praticamente ogni consacrazione e ogni sacralità.
Come potremo essere giudicati
Se fosse vero questo movimento di idee, di spiriti, la nostra definizione e la nostra consacrazione si presenterebbero come aberranti, e questo sia che il secolo significhi negazione del sacro, sia che il sacro significhi negazione del secolo.
Quindi a noi è data una grande responsabilità: realizzare in noi e attraverso di noi ciò che oggi sembra, più di ieri, impossibile e contraddittorio.
Infatti la gente non si orienta: chi è orientato per il sacro visto in un certo modo, ci ritiene al più una specie di ibrida mescolanza di elementi assolutamente etereogenei, un essere a mezza strada.
Oggi è ancor molto diffusa la mentalità che sacro significhi sacerdote, religioso, nel senso di appartenere a un ordine o congregazione.
Da una parte e dall'altra chi ci guarda non capisce, ci vede come aventi due anime, due vite, di cui quella secolare, assunta per ingannare; una quinta colonna in mezzo ai secolari, ai laici; una specie di camuffamento.
Oppure siamo giudicati degli inconcludenti, della gente sottoposta a una duplice dialettica di sviluppo consacrazione e secolarità.
Anche nell'Unione non sono mancate delle deviazioni sotto questo aspetto, deviazioni di cui quasi non ci siamo resi conto, anche perché, presi da una immensità di problemi, non riflettiamo a sufficienza su quello che capita a noi e in mezzo a noi.
Quindi abbiamo un dovere grande di vivere la nostra consacrazione, proprio perché attraverso la nostra vocazione vissuta possiamo illuminare noi stessi e gli altri circa il retto intendimento sia della sacralità che della profanità o secolarità.
Non esiste il profano, perché tutto è di Dio e riferibile e da riferirsi a Dio.
Se esistesse il profano potremmo dire che il Verbo di Dio, incarnandosi, si è profanizzato nella misura in cui si è fatto uomo ed ha assunto su se stesso tutto quello che è dell'uomo, alienandosi da tutta la sua vita divina.
Quindi dovremo noi, mentre approfondiamo la nostra vocazione, approfondire il centro della fede, cioè il mistero di Cristo, tutto ciò che si riferisce alla Passione, Morte e Risurrezione di Cristo.
Bisogna ritornare ai grandi temi cristologici, teocentrici, se vogliamo ricostruire una piattaforma per un mondo nuovo, così come l'umanità attraverso i secoli si è andata orientando proprio nell'approfondire la suprema realtà di Dio che si rivela facendosi uomo.
Anziché temere di fare dell'Incarnazione un articolo di fede ne dovremmo fare la realtà onnicomprensiva di tutta la realtà umana e divina.
Riprendiamo qualche idea che avete già sentito stamattina, e cominciamo a riflettere sull'ufficio regale di Cristo e di Cristo Crocifisso, su cosa significhi essere re, esercitare un ufficio regale.
Se noi guardiamo al mondo e alla storia del mondo, per ricavarne il senso dell'ufficio regale cristiano, ci sbagliamo; Gesù stesso ha detto che, mentre i re della terra sono per sottomettere, Lui invece per servire. ( Mt 20,28 )
Non è guardando la regalità così come si è affermata fra gli uomini che noi possiamo capire l'ufficio regale di Cristo; bisogna che guardiamo Gesù e che lo impariamo da Lui questo ufficio regale.
Non possiamo avere altri maestri nel capire, comprendere, penetrare cosa significhi quell'ufficio regale a cui noi dovremo partecipare.
Tanto più che il nostro ufficio regale non è che una partecipazione all'ufficio regale di Gesù; ecco quindi una nuova ragione perché ci si rifaccia assolutamente a Gesù, tralasciando qualsiasi altro riferimento.
Certo Gesù è re in quanto sottomette: mette sotto se stesso nel senso che non si fa dominare da nulla di creato; Cristo è re universale e perciò sottomette a sé tutte le cose: innanzi tutto l'umanità e il luogo, le espressioni, le manifestazioni dell'umanità, il mondo, la storia.
Titoli di regalità
Ma come le sottomette queste cose? Per mezzo della sua Passione e morte, che sono il suo maggior titolo di regalità.
Egli vuole regnare è il titolo della croce, perché ha conquistato e pagato tutte le cose per mezzo della sua passione e morte.
Regalità che gli deriva anche dall'essere Verbo di Dio, la causa finale di tutta la creazione, ma soprattutto dall'essersi offerto per tutte le cose, a prezzo del suo sangue.
E noi, poiché siamo consacrati a Gesù Crocifisso, dovremmo avere alla mano la S. Scrittura per osservare come Gesù afferma la sua regalità proprio nell'imminenza e durante la sua passione e morte.
Leggete il discorso dell'ultima cena, pronunciato nell'imminenza della sua passione e morte, discorso che può essere visto anche come un'affermazione di regalità, di una regalità singolare, che si apre con il gesto della lavanda dei piedi e termina con l'azione di preghiera: "Padre che siano uno in me come io a te siamo uno". ( Gv 17,11 ) che vuole ricondurre tutto il mondo in unità, in comunione con Dio.
Obbedienza e regalità
Poi durante la passione: "Padre, non la mia ma la tua volontà sia fatta", ( Lc 22,42 ) obbedienza che è un esercizio di regalità.
L'obbedienza di Gesù può sembrare una contraddizione; essa è invece una obbedienza regale, che lo mette in condizione di essere re di coloro che hanno disubbidito; e poi davanti a Pilato: "Tu sei Re, tu l'hai detto, ma il mio regno non è di questo mondo". ( Gv 18,36 )
E sulla croce fa di nuovo riferimento al suo regno; infatti alla preghiera : "Ricordati di me quando sarai entrato nel tuo Regno" e Gesù gli dice: "Oggi sarai con me in Paradiso". ( Lc 23,42-43 )
È un re che dichiara l'ingresso di un suddito nel suo regno.
E sulla croce non c'è forse scritto: "Gesù Nazareno Re dei giudei"? ( Gv 19,19 ) e durante la passione non gli avevano messo in capo una corona di spine salutandolo come tale?
Gesù sottomette tutte le cose a sé perché in qualche modo si è sottomesso a tutte le cose.
Innanzi tutto diventa nostro re perché si sostituisce a noi stessi sulla croce, perché prende su di sé tutti i nostri languori, infermità, perché addirittura prende su di sé il nostro peccato e si fa in qualche modo peccato, perché si offre per noi al dolore e alla morte.
Gesù sulla croce si serve di tutto ciò che è stato negazione, abuso della nostra regalità.
Si serve del peccato per espiarlo su se stesso, del dolore che è una conseguenza del peccato per trasformarlo in una medicina di salute per noi, si serve della concupiscenza che Lui non provava, ma che i suoi carnefici provavano e trasformavano in tanti atti di peccato.
Si serve addirittura del peccato dei suoi carnefici per salvarli, si serve della stessa morte, che S. Paolo chiama stipendio del peccato, per fare della sua morte la morte della morte: vince con la sua morte la morte.
Difatti se noi moriremo della sua morte, non moriremo in senso assoluto, ma vivremo, e per mezzo di quella morte, che sarà partecipazione della Sua noi entreremo nella vita, così come anche per mezzo di quel dolore, che sarà conforme al Suo, vissuto come Suo, noi entreremo nella gloria.
Questo concetto è fondamentale per capire come Gesù ha sottomesso tutte le cose.
Nel documento di base si parla di una fedeltà a Dio e all'uomo, come metodo, metodologia catechistica. ( Rinn. Cat. 160 )
L'espressione è fortemente equivoca presa così e bisogna integrarla con altre letture del documento e lo spiegherò dopo.
Nessuno come Gesù è stato fedele a Dio e all'uomo e per questo ci ha sottomessi ed ha acquistato il diritto di disporre di noi.
Gesù ci ha dato la vita
Cosa vuol fare di questo diritto su di noi conquistato con la morte di croce?
Per mezzo dell'obbedienza di croce, dell'amore fino alla fine, vuol vincere in noi il regno del peccato, il suo predominio, schiavitù; vuol vincere la negazione colpevole, il peccato, la mancanza d'amore, il rifiuto dell'amore con tutte le sue conseguenze.
Vuol darci la vita. È venuto perché avessimo la vita abbondantemente.
Vuol darci la vita eterna. Quella stessa vita che è Lui. Ecco perché ci ha sottomessi.
Gesù ci ha sottomessi
Ci ha sottomessi perché fossimo edificati e concorressimo ad edificare sul fondamento che è Lui.
O ci si basa in Lui o contro di Lui ci si sfracella, perché non c'è altra edificazione del mondo se non quella che si fa su Cristo.
Conciliazione tra cielo e terra
Ci ha sottomessi con la morte di croce perché noi e le cose della terra fossero pacificate, conciliati con quelle del Cielo.
La non opposizione fra cielo e terra, impegno per Dio e per l'uomo.
Ci ha sottomessi, perché tutto fosse ricapitolato in Lui, che ogni cosa avesse in Lui il principio e il fine della vita, si costruisse in Lui e per Lui.
Ci ha sottomessi, affinché tutto, il mondo fosse ricompreso e trasfigurato nel nuovo cielo e nuova terra in cui regna la giustizia; ci ha sottomessi affinché ad un certo punto sottomettendosi anch'Egli nella sua umanità si realizzasse la comunione perfetta con Dio: che Lui sia tutto in tutti.
Gesù è re dalla croce e sulla croce.
L'ha detto Lui: "Quando sarò innalzato da terra, trarrò tutto a me"; ( Gv 12,32 ) ecco la sua funzione regale.
Innalzato da terra non significa asceso al cielo.
Tralasciando la croce, non comprendiamo nulla di Gesù, né la sua Risurrezione né la sua regalità e nemmeno la nostra partecipazione alla Sua regalità.
Gesù è re dalla croce e sulla croce perché lì ha modo di darsi tutto e di offrirsi perché noi si possa veramente attingere, suggere da Lui, vivere di Lui, con Lui e per Lui partecipare anche al suo ufficio regale.
Ci ha promesso Gesù che con Lui noi regneremo.
Significato della nostra partecipazione alla Sua regalità
Cosa vuol dire allora partecipare all'ufficio regale di Cristo, per i cristiani?
Non bisogna esercitare in proprio un ufficio regale, ma prendere parte all'ufficio regale di Gesù, non significa la rinuncia di Gesù a una parte del suo ufficio regale per affidarla a ciascuno di noi, ma la continuazione di questo Suo ufficio in noi, per mezzo di noi, con noi.
Poiché Gesù ha esercitato questo ufficio regale di grazia, di amore, di pace, massimamente sulla croce, noi partecipiamo all'ufficio regale di Gesù solo nella misura in cui Gesù continuerà in noi, per mezzo di noi, la sua Passione e morte redentrice.
Non siamo dei vassalli di Gesù, a cui Lui ha partecipato una fetta del suo ufficio e non vi sono deleghe, mandati che stacchino colui che è mandato da colui che manda.
Non si può esercitare l'ufficio di cristiano se non disponendoci a che Gesù posa disporre di noi, possa fare delle nostre mani le Sue mani, dei nostri piedi i Suoi piedi, della nostra lingua la Sua lingua.
Solo in questo modo può estendere in noi per mezzo di noi e con noi la Sua passione.
Se ci interrogassero: "Tu sei re?", poiché Gesù è in noi e noi con Lui dovremmo dire: "Tu l'hai detto".
Questo concetto di partecipazione lo troviamo nel discorso dell'ultima cena quando Gesù si dà come cibo per vivere in noi.
Vi sono altre affermazioni che ci fanno riflettere.
"Voglio che il mio gaudio in voi sia compiuto". ( Gv 15,11 )
Stiamo molto attenti perché se non afferriamo bene questi concetti facciamo una collezione di termini astratti deformati che non diventano nutrimento.
Bisogna lasciare che l'ufficio regale di Gesù diventi causa efficiente, meritoria e soddisfatoria del nostro servizio regale.
Questo mi pare un primo concetto importante da ribadire.
Vediamo come in Gesù si superi la contraddizione sacro - profano, anche perché il concetto di sacro e profano è funzionale, non sostanziale.
Sacri sono, secondo una certa tradizione, persone, cose, luoghi che servono a compiere certi uffici, e profano tutto ciò che compie altri uffici.
Questa è una profanità puramente formale, perché se ammettessimo una sola bricciola profana in Dio, noi o negheremmo Dio, l'essere centrale da cui tutto è e a cui tutto deve andare, oppure ammettiamo due dei.
Negazione di Dio e negazione del mondo
Nella misura in cui si nega il mondo, c'è il pericolo di essere ateo, quasi nella stessa misura di chi, per affermare il mondo, nega Dio.
Una radicale contrapposizione tra movimento verso Dio e verso il mondo, non esiste poiché è Dio che ha creato il mondo.
Chi più di Dio si è mosso verso il mondo per farlo essere, per redimerlo?
Esiste, è vero, un movimento verso il mondo che è negazione di Dio, ma esso è anche negazione del mondo.
Considerate le definizioni che i teologi della morte di Dio danno dell'uomo e del mondo per comprendere la concezione che ne hanno.
Stiamo attenti a superare le contrapposizioni tra sacro e profano che nascono quando la distinzione è di tipo funzionale, giuridico, non di tipo sostanziale.
Dio e il mondo
Certo Dio non è il mondo e viceversa, ma attenzione di non spingere troppo questa affermazione perché in un certo senso il mondo è Dio e in un certo senso Dio è il mondo.
Quindi bisogna star molto attenti: una cosa è dire che esiste una distinzione, altra cosa dire che esiste una contrapposizione.
Quindi non c'è un autentico movimento verso Dio che non comporti un movimento verso l'uomo, l'uomo e la storia, come non c'è un autentico movimento verso l'uomo che non sia e non si fondi e finalizzi in un autentico movimento verso Dio.
Il mondo si costituisce come mondo, come totalità organizzata, ordinata nel tempo, diventa veramente mondo solo nella sua tensione autonoma verso Dio, e l'uomo diventa veramente uomo solo nella sua tensione e riferimento autonomo verso Dio, perché la sua relazionalità, riferibilità, di cui tutto l'uomo è consustanzializzato non si attua e non si dispiega sino in fondo se non con il colloquio con Dio, l'offerta a Dio.
Concetti che non si possono capire e attuare senza Cristo.
È un'altra di quelle situazioni nodali che rivela come l'uomo non può essere pienamente uomo, né arriva a conoscersi interamente uomo, se non in Cristo e per Cristo.
Questo è uno dei punti fondamentali, qualsiasi punto sia della vita economica, civile, spirituale, in cui si vada veramente a fondo, è irrisolvibile in senso autenticamente umano senza Cristo.
Gesù l'ha detto: "Senza di me non potete fare nulla". ( Gv 15,5 ) Potete incominciare qualcosa, ma non fare.
È possibile per Cristo solo e Cristo Crocifisso.
Ora, noi Catechisti Congregati, perché facciamo la nostra offerta col voto di povertà, castità, obbedienza?
Perché con questa offerta noi rispondiamo all'offerta di Cristo per noi.
"Tu hai amato me, io amo te", "Io voglio amare te fino alla fine con tutto me stesso come hai fatto tu".
"Hai amato me fino alla fine sulla croce e anch'io con la croce".
Consacrazione come regalità
La consacrazione nostra rappresenta su un piano formale il più alto esercizio di regalità.
Sacerdotalità e regalità.
E se regalità è sottomettere per credere a, condurre a, in modo che si viva, quale atto di sottomissione è il nostro per la crescita di noi stessi e per far crescere Cristo negli altri.
È un atto e che atto di ufficio regale!
Consacrazione e secolarità
Quindi la nostra consacrazione come atto di regalità a Cristo è una consacrazione secolare.
Perché la nostra consacrazione è secolare, senza rinunciare a questa condizione?
È secolare perché è una consacrazione che si approfondisce e si alimenta mediante l'impegno secolare, che vive nel secolo e si impegna per il secolo.
Possiamo verificare che siamo degli autentici secolari consacrati nella misura in cui i nostri impegni secolari, professione, famiglia, concorrono ad accrescere ed esprimere la nostra appartenenza a Cristo Crocifisso e in questo caso Re.
Esame interiore
Esaminiamoci: io cosa ricavo dal mio lavoro, dal mio rimanere nel mondo, dal mio impegno per gli uomini? e cosa esprimo per rapporto alla mia sempre più approfondita partecipazione a Cristo Crocifisso e perciò Re?
Sono prevalentemente portato via da Lui o invece mi trovo, anche se con qualche distrazione, in cerca di Lui, partecipe di Lui?
Trovo che Lui in me più ampiamente e profondamente continua il suo ufficio regale?
Dovremmo perciò ben considerare la vita di pietà, i nostri sentimenti, desideri.
La prima funzione della nostra secolarità è crescere proprio per mezzo dell'impegno per il mondo.
La seconda, crescere parimenti nell'appartenenza a Cristo, nel riferirsi Dio per Cristo.
Nostro compito
Il nostro compito è talmente difficile che questa sintesi tra Dio e il mondo, che si opera solo nella profondità di Cristo Crocifisso, ci obbliga a non rimanere in superficie; altrimenti noi saremmo delle contraddizioni viventi: parte col mondo, parte con Dio.
In realtà non siamo né per il mondo né per Dio.
Noi saremo veramente per il mondo nella misura in cui, essendo per il mondo, siamo per Dio, nella misura in cui portiamo il mondo a Dio e Dio al mondo.
Non è possibile fermarci mezza costa perché subito la contraddizione ci travolge, nella mentalità, desiderio, proponimento, azione.
Quindi noi siamo consacrati per consacrare, siamo dei consacrati per consacrarci mediante l'impegno nel mondo e riferire, ricondurre a Dio.
Tutta la nostra vita è compresa in queste cose nella misura in cui le intendiamo nella intimità con Cristo e Cristo Crocifisso.
Scostandoci da quell'intimità non capisce più niente né di se stesso né di Dio, né del mondo, e massimamente noi, che abbiamo una fisionomia tutta particolare e dobbiamo corrispondere a una vocazione quanto mai preziosa oggi e quanto mai difficile appunto per le contraddizioni del mondo di oggi; noi siamo presi al bivio: o impegno per Dio che ci aliena dal mondo o viceversa.
Noi ci muoviamo lì in mezzo. Seguiamo l'esempio di Cristo.
Chi più di Gesù Crocifisso è andato verso il mondo? buon Pastore, pecorella smarrita, la croce, sulla croce a un ladrone, rifiuto della società da parte del suo Regno; e chi più di Lui ci rivela la profondità di Dio e ci porta a Dio,? Lui via, verità e vita?
E allora preghiamo insistentemente il Signore e la Madonna che ci illumini, Lei Regina, col suo consenso dato all'Angelo, per tutta l'adesione, la custodia, cura a Gesù e soprattutto per averlo seguito e offerto ai piedi della croce.
"Donna. ecco tuo Figlio", ( Gv 19,26 ) quel Donna non significa solo di sesso femminile, ma sta a significare Signora, Domina, e anch'essa per la intima partecipazione alla croce di suo Figlio, che comincia con l'Incarnazione.
Conosceva bene il Profeta Isaia: "la spada che trafiggerà l'anima".
Quindi soprattutto pregando la Madonna che interceda per noi, Regina del cielo e della terra, regina degli angeli, che noi possiamo capire queste cose e diventare nel mondo coloro che conducono "a", guida "verso".
Il cristianesimo ci fa servire per i motivi di Cristo.
Allora capiremo come servire con Cristo è regnare con Cristo e come Cristo, che ci ha serviti fino alla morte e morte di Croce!