Ritiro del 15/1/1995
1) Prepariamo il nostro cuore per capire la logica di Dio
2) Cantico di Ezechiele
3) Io credo perché Lui è fedele …
4) …e non mi dimentica
5) Sei tu tu che speri, qualunque cosa accada
6) Rifare con noi il cammino della crescita nella fede
7) Gesù mi cerca e mi spinge a cercare
8) Per cercare bisogna anche ascoltare
9) Accettare e accogliere con fiducia
10) Arrendersi a Gesù e lasciarci amare da Lui
11) Sperimentare l'amore di Dio, morendo fino in fondo
Prepariamo il nostro cuore, cercando di essere molto umili e molto disponibili a lasciarci coinvolgere dal Signore, a lasciare che prenda lui l'iniziativa di questa nostra meditazione.
Nell'Antico Testamento c'è un discorso di fede che va dalla prima all'ultima pagina; ci sono alcune tematiche che lo attraversano di continuo: quante volte Dio cerca di far capire al suo popolo che "non nei carri né nei cavalli", ma nel nome del Signore c'è la vittoria.
Più che cercare nelle edizioni della Bibbia la spiegazione di quella frase o di quella parola, sarebbe utile cercare di capire il grande orientamento di fondo di tutta la Bibbia, il modo con cui Dio si rivela attraverso queste pagine.
Il capire la logica di Dio ci aiuta a vivere in questa logica, che non è del cervello, ma del cuore.
Quando dicevo che gli antichi ponevano nel cuore la sede dei pensieri, non dobbiamo intenderli come dei ragionamenti, ma nel senso che - come diceva Pascal - "anche il cuore ha le sue ragioni" e le ragioni del cuore non sono filosofiche, ma sono qualcosa che prende tutta la persona, tutte le sue facoltà.
Nel libro di Isaia si racconta un episodio di cui parla anche il secondo libro dei Re: quello della malattia di Ezechia.
Il re sta per morire, Isaia prega per lui e Dio dice al profeta che il re guarirà e vivrà ancora 15 anni.
Allora Ezechia intona un cantico: "Il vivente, il vivente ti rende grazie, come io faccio quest'oggi; il padre farà conoscere ai figli la tua fedeltà" ( Is 38,19 ).
La versione del Breviario porta: "la fedeltà del tuo amore" e richiama il Sal 51 (52) che dice: "Io come olivo verdeggiante nella casa di Dio mi abbandono alla fedeltà di Dio".
Come vedete, nella fede noi ci appoggiamo a una fedeltà: io credo perché Lui è fedele.
Quante volte non abbiamo fede, perché dubitiamo di Dio!
Quando Gesù dice a Pietro: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?" ( Mt 14,31 ) - e questa parola: di poca fede, torna altre volte soprattutto in Mt 6,30; Mt 8,26; Mt 13,8 - la dice ad un uomo che pure era uscito dalla barca e aveva cominciato a camminare sulle acque.
Anche noi tante volte, quando le cose vanno per traverso, non riusciamo ad essere sereni e a superare la prova della salvezza.
Se sono pentito dei miei peccati e cerco di fare la volontà di Dio, Dio mi salva, mi conduce per la strada che mi conviene, anche se io penso che la strada migliore sia l'altra.
Tutte le imprese che compiamo, anche le più sante, è proprio bene che finiscano nel modo che prevediamo noi?
Chi avrebbe potuto prevedere che Saulo sarebbe stato scaraventato giù dal suo cavallo e sarebbe diventato apostolo di Cristo?
Gli apostoli, dopo la prima persecuzione, avevano chiesto a Dio non di allontanare da loro il pericolo, ma di avere il coraggio di continuare a predicare nel suo nome.
Queste le radici della fede: la fedeltà dell'amore di Dio, per cui io credo che lui non mi dimentica.
Lo vediamo ancora, per es., nel Sal 44, un salmo che rievoca un momento della storia di Israele.
Il salmista si lamenta perché Dio sembra aver dimenticato il suo popolo, dandolo in balia dei suoi nemici; eppure -dice - "non ti avevamo dimenticato, non avevamo tradito la tua alleanza".
È un vero atto di accusa contro Dio, che accetta di rivelarsi, passando anche attraverso le nostre tenebre.
Ma il salmo comincia in tutt'altro modo: "Coi nostri orecchi abbiamo udito, i nostri padri ci hanno raccontato - notate la tradizione della fede - l'opera che hai compiuto ai loro giorni nei tempi antichi.
Tu per piantarli con la tua mano hai sradicato le genti, per far loro posto hai distrutto i popoli.
Non con la spada conquistarono la terra né fu il loro braccio a salvarli, ma il tuo braccio e la tua destra e la luce del tuo volto, perché tu li amavi". Questa ultima frase è favolosa.
Ecco la vera fede: sei tu che operi, qualunque cosa capiti.
Il salmista arriva fino a dire: Sei tu che ci hai fatto fuggire, sei tu che ci hai dispersi, sei tu che ci hai venduti, sei tu che ci hai reso il ludibrio e la favola di tutti; ma "perché tu ci amavi", per questo ci hai messo alla prova.
A questo non ci arriva, non c'è arrivato neanche Giobbe; solo Gesù ce lo rivela e ce lo dimostra.
Il grande interrogativo di questo salmo è lo stesso di Giobbe: Sono buono, perché tu mi fai del male?
E noi rispondiamo: "Perché tu ci ami".
Ed è qui che comincia la nostra fede, la nostra capacità di vedere sempre gli avvenimenti in una interpretazione di fede.
A tavolino o sull'inginocchiatoio siamo sempre disposti a dire che "va bene così"; ma all'atto pratico, com'è la mia fede?
È proprio qui che dobbiamo esercitarci: primo, per non ridurre la fede al solo ragionamento e, secondo, perché questa fede si traduca in tutte le azioni.
A questo punto vorrei rifare con voi il cammino della crescita nella fede perché alla fine della vita possiamo dire con san Paolo "Fidem servavi", ho conservato la fede.
Dicevo che dobbiamo innanzi tutto cercare. Cosa vuol dire cercare?
Se io perdo una cosa di cui non mi importa niente, non la cerco; ma se è una cosa che mi sta a cuore, la cerco e la faccio cercare.
Guardate le parabole della donna che ha perso la moneta ( Lc 15 ), del pastore che ha perso la pecora e lascia le altre 99 al sicuro per andare a cercare la perduta.
Nell'episodio di Zaccheo, Luca usa due volte lo stesso verbo: la prima volta quando dice che Zaccheo sale sulla pianta perché "cercava di vedere Gesù" ( Lc 19,3 ) e la seconda alla fine quando Gesù proclama: "Oggi la salvezza è entrata in questa casa; il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto" ( Lc 19,9 ).
Cercare: il verbo della donna che cerca la monetina, del pastore che va a cercare la pecora.
E anche noi cerchiamo, ma quando cerchiamo nella fede è perché Gesù già ci sta cercando per farci entrare nella fede.
È una sinergia, un lavorare insieme: Gesù mi cerca e quindi mi spinge a cercare; ma abbiamo noi questa passione della ricerca di fede, di cercare di credere di più?
Cercare Gesù dovrebbe diventare un tormento, un bisogno; quanto tempo dedichiamo ogni giorno alla televisione e quanto ne dedichiamo ogni settimana alla lettura del Vangelo?
La risposta potrebbe essere tremenda, anche da parte di noi preti, di voi consacrati.
Chi cerchiamo, chi o che cosa ho cercato oggi?
Abbiamo fra le mani una certa somma, possiamo spenderla in molti modi, a seconda di quello che abbiamo nel cuore, di ciò che ci interessa veramente; Gesù direbbe: "Dove è il tuo tesoro, lì c'è il tuo cuore".
Se cerchi Gesù, allora ogni avvenimento, anche il più tragico, trova una risposta.
Se cerchi altro e non lo trovi… è molto probabile che tu vada a ingrossare le fila dei malati nella mente o nel corpo.
Nel capitolo primo di Giovanni, dopo che il Battista ha indicato l'Agnello di Dio, Giovanni stesso e Andrea gli vanno dietro e Gesù si volta e chiede: "Chi cercate?"
Gli rispondono: "Dove abiti? Venite e vedete. Andarono e si fermarono presso di lui";
la stessa domanda Gesù la farà a Maria di Magdala al sepolcro: "Donna, chi cerchi?".
E noi chi cerchiamo? Certamente per voi la risposta è scontata, ma con quale cocciutaggine cerchiamo?
Fino a che punto ci sta a cuore?
Se mi dicono che su una certa lunghezza d'onda arriverà un messaggio, io mi sintonizzo su quella lunghezza d'onda; però non mi si dice a che ora verrà quel messaggio e allora sto per ore in ascolto fino al momento in cui il messaggio arriva.
Quand'è che Dio ci parla? quand'è che Dio ci illumina? Ci sono degli appuntamenti.
Nel At 16 siamo al secondo viaggio missionario.
Paolo prima di tutto ha visitato le chiese che aveva fondato durante il primo viaggio.
Poi a Listra prende con sé Timoteo e "attraversarono quindi la Frigia e la regione della Galazia, avendo lo Spirito Santo vietato loro di predicare la parola nella provincia di Asia.
Raggiunta la Misia, si dirigevano verso la Bitinia, ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro": si fanno dei programmi e lo Spirito Santo li blocca.
"Così, attraversata la Misia, scesero a Troade.
Durante la notte apparve a Paolo una visione: gli stava davanti un macedone e lo supplicava: Passa in Macedonia e aiutaci!".
È una pagina impressionante. Paolo ha già avuto il coraggio di uscire dalla Palestina e ha fondato chiese in Turchia e vorrebbe continuare a evangelizzare l'Asia Minore; invece lo Spirito gli dice di andare in Europa.
È di qui che ha inizio l'evangelizzazione del nostro continente.
Paolo va ad Atene, a Corinto, a Filippi, a Tessalonica, a Perge… fino ad arrivare a Roma.
Attenti che qui c'è un doppio movimento: i progetti umani di Paolo e il progetto divino che glieli scompiglia.
Bisogna stare attenti agli appuntamenti di Dio: ascolta! Ma cosa vuol dire ascoltare?
Vuol dire che quando fai i tuoi piani interroga sempre anche lo Spirito, cerca e ascolta.
Pèntiti, fa' dei propositi migliori, abbandonati in pieno alla volontà di Dio, rinuncia a te stesso, e allora sarai capace di ascoltare quella voce sottile, di un ascolto che poi diventa accettare e quindi fidarsi.
Come ha fatto Maria a Nazaret: ha fatto delle domande perché aveva bisogno di capire bene.
Ma quando comprende che è Dio a parlare dice: Va bene, sia fatto secondo la tua parola.
E non chiede altro, non vuole sapere di più; sa che al momento buono, se sarà necessario, Dio manderà non uno, ma dieci angeli a dire il resto.
Maria non dice niente a Giuseppe e Dio scomoda un altro angelo per dirgli quello che deve fare.
Questo è lo stile di Dio e noi dobbiamo allora cercare, ascoltare, accettare, accogliere senza tante discussioni.
A scatola chiusa, fidandoci.
Sono tutte virtù passive, dove lasciamo lo spazio al Signore, ci arrendiamo: Signore, la logica è tua, accetto tutto da te, non metto condizioni.
Come quel tale: Ti seguirò, Signore, però prima lasciami andare a seppellire mio padre.
No, se te lo chiedo adesso è adesso; parti, vai, non discutere. Capite il meccanismo?
Non so se avete mai notato nell'ultimo capitolo di Giovanni - che è poi un capitolo aggiunto dai suoi discepoli -, quando Gesù dice: Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu? mi ami tu più di questi? mi ami? Lo sai che ti amo.
E poi gli dice: "In verità ti dico: quando eri giovane ti cingevi da solo e andavi dove volevi; quando sarai vecchio un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti.
Questo Gesù lo diceva per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio" ( Gv 21,15-19 ): il martirio.
Quando Davide fa il censimento, il profeta Gad gli annuncia la punizione di Dio e gli propone di scegliere fra tre anni di sconfitte, tre mesi di carestia e tre giorni di peste.
Davide sceglie la peste e muoiono 70.000 persone ( 2 Sam 24 ).
Certo, allora il censimento aveva un altro significato rispetto ad oggi: voleva dire calcolare le forze militari e questo significava l'abbandono della fiducia in Dio per contare sulla propria potenza politica e militare.
Il peccato era grave.
Pietro aveva rinnegato Gesù tre volte: Non lo conosco! e per tre volte: Mi ami tu?
Se mi ami, allora non 70.000 morti, ma tu muori, tu sarai ucciso per la tua fede.
Attenti che la fede porta al dono totale di sé, fino al dono della vita: questo è l'arrendersi a Gesù.
Ma è l'amore che ti porta: mi ami e dunque morirai e dunque sarai tribolato.
Il capitolo continua: "Pietro allora voltatosi vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava" ( Gv 21,20 ).
È importante amare Gesù fino a morire, ma ancora più importante è capire cosa vuol dire che Gesù ci ama.
Il fatto che Gesù ci ami è scontato, ma credere anche nei momenti difficili che Gesù ci ama è più difficile e lasciarci amare da lui come lui vuole lo è ancora di più.
Perché lui ci ama in un modo molto strano.
Qualche volta ci ama stritolandoci, eppure è un amore che porta frutto: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, se muore porta molto frutto".
È quindi una legge che non si possa amare se non si soffre; e anche Gesù non poteva salvarci se non morendo, perché non poteva darci una prova d'amore maggiore e, come uomo, non poteva sperimentare l'amore infinito di Dio se non morendo in quel modo.
Quell'amore non poteva sperimentarlo contemplando il creato, ma solo morendo sulla croce.
A quel punto diventava capace di donarci l'amore, cioè di darci lo Spirito.
E ancora Giovanni dice che, dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù "chinato il capo, Parèdoke to Pneuma", che vuol dire: "consegnò lo spirito".
Noi diremmo: tirò l'ultimo respiro, ma Giovanni non vuol dire solo quello, vuol dire: "donò lo Spirito santo".
Nel momento in cui moriva, tutto era compiuto - anche se nel tempo ci sarà una successione di avvenimenti - e perciò Gesù era già in grado di donare lo Spirito.
Poi lo donerà di nuovo la sera di Pasqua: "Ricevete lo Spirito santo.
A chi rimetterete i peccati saranno rimessi" e poi ancora a Pentecoste in modo ufficiale e solenne; ma già sulla croce ha donato lo Spirito.
Nel momento in cui moriamo a noi stessi, noi capiamo l'amore di Gesù e lo doniamo.
Ecco perché dobbiamo soffrire e morire: non è un prezzo che io pago, come il versare 15 milioni per comprare un'automobile.
Con quei soldi avrei potuto anche pagarmi un'altra cosa e perciò quella somma è estranea all'oggetto che compro.
Mentre invece la croce e la morte sono intrinsecamente legate all'amore: io non amo se non soffro, io non sperimento l'amore infinito di Dio se non muoio fino in fondo.
Allora capiamo cosa vogliono dire paradiso e inferno: il paradiso è l'aver capito l'amore attraverso la croce e godere di questa comprensione in eterno.
L'inferno è il non aver capito l'amore e quindi stare tutta l'eternità con Dio odiandolo, pur sapendo che questo odio è la loro distruzione, la loro sofferenza.
Ma non possono fare diversamente e non vogliono fare diversamente, sono fuori dell'amore; non hanno sofferto, quindi non hanno capito.
Questa è la fede: lasciarci amare come Gesù vuole che noi amiamo.
Quindi qualunque cosa ci accada, dire: Signore, va bene, grazie, mi stai amando in un modo stupendo, perché mi stai veramente provando, purificando e santificando.