5 Gennaio 1972
Queste nostre brevi parole vogliono assumere, come al solito, il carattere d'una familiare conversazione.
Con una categoria di persone, giovani specialmente, che ci sembra proporla a noi con un atteggiamento comune a persone del nostro tempo, atteggiamento di spregiudicata franchezza di parola, di stile, di sincerità mentale, e nello stesso tempo di dubbio, d'incertezza, di disagio, che dimostra un intimo bisogno di sicurezza, di verità.
Pare a noi d'incontrarli questi amici, arditi e timidi insieme, che sembrano al primo momento partire da zero, non voler rispettare alcun protocollo formale, e voler piuttosto assumere un tono altrettanto semplice che aggressivo.
Nulla è vero, ci dicono, nulla resiste alla prova critica del nostro pensiero di gente nuova e staccata dalle convenzioni tradizionali dell'ambiente; tutto è fittizio, tutto è privo d'intrinseca verità; oggi si vive di abitudini mentali ereditate, che non hanno più sufficiente ragion d'essere; si avrebbe voglia di buttare tutto per aria; si prova la vertigine della rivoluzione, dell'anarchia, il fascino della negazione, del nulla.
Si respira la sfiducia, anche se empiricamente si vive di intensità, nello studio, nel lavoro, nella esperienza del mondo esteriore, e nella ricerca interiore d'una pienezza, d'una certezza, anche provvisoria e pragmatica, che in realtà non si raggiunge, se non creando altre pseudo-verità.
La vita, dunque, è vuota?
Non vale nulla in realtà?
Anche la religione, anche la fede, come si sostiene?
A questo punto la tormentosa questione diviene decisiva: avverte colui ch'è trascinato da questo incalzante scetticismo che questo è l'ultimo baluardo, e che il problema religioso è centrale nella ricerca d'un concetto organico e globale della vita, specialmente se per religione s'intende quella cristiana, quella cattolica, che proprio si qualifica per la sua affermazione d'essere quella vera, quella a cui corrisponde obiettivamente la Realtà, soggettivamente la Salvezza.
No, è impossibile, ci confida? o ci grida il nostro caro interlocutore; io, egli afferma, non ho più fede.
Comunque si pronunci questa conclusione, si sa che oggi circola sotto questa generica e tanto grave etichetta: crisi della fede.
Crisi della fede.
A volere sondare le cause di simile crisi ci si dovrebbe affondare nel pelago immenso della psicologia contemporanea; lasciamo agli psicologi, ai maestri di spirito, ai filosofi il farlo; a noi basti ora osservare che la capacità speculativa ( secondo le regole del pensiero, che solo nel processo scientifico, quantitativo, sono rigorosamente rispettate ) della gente del nostro tempo è rudimentale e povera; essa infatti davanti ai grandi problemi della verità e della realtà si trova sprovvista di nomenclatura esatta, di logica costruttiva e di principi razionali consistenti, cioè d'una filosofia valida, anche se elementare e non riflessa, di quel « senso comune » autentico e radicato nella profondità della sapienza umana perenne.
La disintegrazione della razionalità, mediante le recenti esperienze unilaterali del pensiero filosofico ( positivismo, soggettivismo, idealismo, esistenzialismo, strutturalismo … ) predispone al dubbio negativo, alla critica demolitrice, alle certezze fenomeniche e parziali, ecc., per cui la mente moderna, davanti alle novità culturali e alle trasformazioni sociali, si trova inesperta a formulare analisi accurate e sintesi complete, si fida delle opinioni correnti, crede ai maestri di moda, si abitua alla superficialità tendenziosa della stampa di parte o di svago, preferisce giudicare con j sensi, oggi riccamente serviti dai magnifici mezzi audiovisivi; e alla fine sperimenta quella insicurezza interiore, per cui tutto diventa problema e per cui altra soluzione non sembra rimanere che il rischio di pensare e di vivere come pare e piace.
La così detta libertà di pensiero, il così detto libero esame, il così detto pluralismo filosofico e religioso vengono in soccorso allo smarrito alunno della mentalità moderna, dandogli lo pseudo farmaco corroborante d'una sua propria autonomia di idee, che confina con l'infallibilità.
Ma tanto non basta per gli spiriti veramente liberi e onesti.
La questione capitale della verità rimane, e li tormenta segretamente, incitandoli a ricominciare l'insonne ricerca.
E per quanto riguarda la fede presenta strane soluzioni: l'accettazione cieca, il fideismo, per una nativa propensione ad abbandonarsi al sentimento religioso; ovvero la demitizzazione, cioè lo spogliamento di tutto quanto di concreto, di storico, di esteriore, di autoritario la fede religiosa può essere rivestita, nell'illusione che questa purificazione, cioè che questa operazione negativa, basti a soddisfare l'aspirazione ad una fede autentica ed essenziale; oppure un prudente ritorno all'ordinamento religioso tradizionale, purché inquadrato in un ambito teologico determinato e moderno.
Ed avviene che sulle soglie di questo ingresso nel regno della fede occorre una chiave, non sempre disponibile, occorre una « grazia », la grazia della fede, perché la fede, ancor prima d'essere virtù nel suo felice esercizio, è grazia, è dono, è effusione misteriosa dello Spirito Santo, che la rende accetta e possibile.
Qui il nostro interlocutore può sentirsi smarrito.
Anzi convinto d'aver ragione nell'aver subito una crisi di fede, d'aver perduto la fede.
Se così è, egli è tentato di dire, la fede oggi è impossibile; essa appartiene ad un regno dello spirito, dove l'uomo moderno non può e non vuole arrivare.
Eppure proprio qui, sulla sponda dell'abisso fra la conoscenza naturale e il mistero della rivelazione soprannaturale, qui può essere fissato l'appuntamento per l'incontro con il Dio vivo della fede.
Perché e come sia così, ora non diciamo.
Ma diciamo soltanto che proprio qui il problema religioso si fa straordinariamente attraente ed impellente.
L'uomo avverte, come mai, dopo il cammino estenuante attraverso le esperienze spirituali del nostro tempo, la necessità - sì, la necessità -, d'una soluzione positiva, d'una certezza vitale, d'una Verità vera.
Ci basti questo per ora; riscontrare cioè che la questione religiosa, sia nell'interpretazione del mondo, del cosmo, oggi affannosamente e trionfalmente esplorato, sia nel reperimento d'un rimedio alla crescente angoscia interiore dell'uomo moderno, risorge, si ripresenta ed invita a nuovo colloquio.
Noi siamo tutti invitati.
I giovani specialmente.
Voglia Lui, l'Iddio ch'è venuto a noi incontro, nella storia, anzi nella comunione con la nostra stessa natura, e che abbiamo celebrato nel recente Natale, che non ci trovi assenti ( « Sui Eum non receperunt », i suoi non Lo hanno ricevuto: Gv 1,11 ), ma ci trovi disponibili ad ascoltare, in linguaggio umano, la sua Parola salvatrice e beatificante ( Cfr. S. Aug. Solil. 1, 3; S. Th. Contra G., 1, prooemium ).
Con la nostra Benedizione Apostolica.