9 Luglio 1975

Ad un certo punto la nostra riflessione sull'Anno Santo si fa difficile e quasi repellente, come quella che noi oggi osiamo proporre alla vostra attenzione.

Perché difficile e repellente? Perché esigente.

Del resto molti prevedono e indovinano che le premesse religiose e morali, proposte per questa universale celebrazione giubilare, relative ad un vero rinnovamento spirituale e sociale, dovevano condurre a questa logica e punto attraente conclusione, che non è solo del Giubileo e dell'Anno Santo, ma, a ben guardare, è del cristianesimo stesso, è della religione professata con intelligenza e con serietà, è della Chiesa, quando vuol essere coerente e fedele.

Chi accetta d'essere positivamente cristiano avverte, ad un dato momento, e può essere proprio questo per noi, d'essere preso da una sempre più stringente esigenza.

Qual è questa esigenza? È la perfezione dell'uomo.

Notiamo subito che se il discorso riguarda la perfezione dell'uomo per se stessa, esso non è più respinto, ma accolto dalla naturale attrattiva della psicologia umana.

Se domandate ad un bambino chi e che cosa voglia essere nella vita, egli risponderà ingenuamente, ma francamente, proponendo un modello umano reputato eccellente e singolare; e dirà di voler essere un eroe, un astronauta, un campione sportivo, un ricco senza misura, un sapiente che supera tutti, un essere bello e felice, come un Adone classico, un tipo superiore insomma, un « superuomo »: l'ideale del superuomo veglia in fondo alla fantasia dell'« uomo che cresce » ( Cfr. Gen 49,22 ).

Cioè l'ideale della perfezione umana è molteplice, e non sempre rappresenta la vera interpretazione della possibile grandezza dell'uomo.

Anzi a questo riguardo notiamo che uno dei crocicchi, dove la moda del pensiero sceglie la sua via è proprio questo; si cerca l'umanesimo superlativo, quello a cui deve improntarsi la filosofia pratica della vita moderna, la perfezione umana da cercare e da preferire.

Noi, seguaci di Cristo, ci domandiamo: qual è la vera perfezione, quella che noi dobbiamo preferire?

Giunge subito a noi una di quelle parole, ad un tempo sublimi e sconcertanti, che sono caratteristiche del Vangelo.

Dice infatti Gesù: « Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre, che sta nei cieli » ( Mt 5,48 ).

Ci sentiamo esaltati: avere Dio come modello di perfezione!

Quale elevazione dell'uomo, quale stimolo ad essere simili nella realtà a quel Dio, del quale è impressa la ineffabile somiglianza sul nostro volto!

Ma poi subito un certo scoraggiamento ci deprime: come, come imitare Dio, tanto superiore, tanto misterioso?

Ecco, Fratelli e Figli carissimi, l'ostacolo da superare: non dobbiamo temere; è Cristo che ci propone questa vera statura dell'uomo, questo autentico tipo di superuomo; anzi è la Chiesa che a tanta perfezione ci invita e che ci ricorda essere non facoltativa, ma obbligatoria, per ogni seguace di Cristo tale perfezione ( Cfr. Lumen Gentium, 40 ): ricordate il Concilio! e sappiate che l'Anno Santo fa proprio questo programma evangelico, esortandoci a scoprire nel rinnovamento della nostra vita religiosa il grande impegno, la grande energia, la grande speranza della nostra perfezione umana e cristiana.

Ha un nome, noi ci domandiamo, questa paradossale perfezione?

Sì, ha un nome; e voi lo conoscete; e si chiama santità.

Santità, altro termine oceanico, che più incute a molti spavento che non attrattiva.

Quanti si rifugiano nella facile professione: io non sono un santo! per giustificare la propria mediocrità spirituale e morale, e per sottrarsi all'obbligo d'una professione cristiana integra e coerente.

Ma cotesto non vale per noi che vogliamo essere fedeli sinceri, e non soltanto nominali ed ipocriti.

Se non che la dottrina sulla santità è immensa! come è mai possibile applicare alla nostra vita vissuta una formula talmente impegnativa, e indubbiamente superiore alle nostre possibilità?

Vediamo.

Prima di tutto non è vero che la santità sia impossibile; leggete le vite dei Santi, e vedrete come essi per primi abbiano sperimentato le nostre stesse difficoltà, le nostre debolezze; e come siano riusciti, miracoli e carismi straordinari a parte, a meritarsi il titolo di Santi.

Secondo: non a tutti i cristiani è fatto obbligo di impegnarsi nella esperienza di quei fenomeni straordinari, che caratterizzano alcune eccezionali figure di uomini e di donne, tra le tante che la Chiesa innalza agli onori degli altari.

Esiste una santità, che possiamo dire ordinaria mentre anch'essa è tutta tessuta in un duplice disegno straordinario, ma, per sé, a tutti accessibile.

La santità infatti, di cui ora parliamo, risulta da due coefficienti, disuguali per natura e per efficacia, ma concorrenti e disponibili ad ogni buon cristiano fedele alla propria vocazione alla santità.

Voi li conoscete questi due coefficienti, donde risulta la santità, che noi a tutti raccomandiamo.

Il primo è la grazia, lo stato di grazia, la vita di grazia, che la fede ed i sacramenti ci procurano, e che la preghiera alimenta ed esprime.

I primi cristiani, battezzati e in tal modo inseriti nella Chiesa, si chiamavano comunemente, per antonomasia, « santi ».

Santi voleva dire cristiani viventi di quel principio vitale nuovo e divino, ch'è la grazia, l'azione cioè dello Spirito Santo, l'inabitazione di Dio, Uno e Trino, nell'anima, che appunto per ciò si chiama santa ( Cfr. Gv 14,23 ).

Questo ineffabile rapporto soprannaturale della nostra anima col Dio vivo, col Dio-Amore, è la perfezione più alta, la fortuna più vera, la condizione più felice e indispensabile, a cui l'uomo possa e debba aspirare.

Vivere sempre in grazia di Dio è il proposito che ciascuno deve fare, e per sempre, se davvero ha celebrato in sé l'Anno Santo.

Il secondo coefficiente è la nostra volontà, cioè la nostra personale vita morale, alla quale la nostra religione non impone solo precetti e minaccia castighi, ma infonde lumi, energie, conforti, carismi, che rendono, in certa misura, facile e possibile una stupenda, anche se nascosta, perfezione umana.

Volontà: la santità, derivante dall'uomo, esige questo primissimo impegno: bisogna volerla.

Volere vuol dire amare.

L'amore umano, animato da quello divino, cioè la carità, possiede il segreto della perfezione, e riassume tutto il dovere dell'uomo e tutta l'onestà naturale; questo è il sommo e primo precetto di Cristo: amare Dio, amare il prossimo ( Cfr. Mt 22,38; cfr. S. Thomae Summa Theologiae, II-IIæ, 184, 2 ).

Questa è la santità.

Quella che il Vangelo ci predica e che esso rende possibile.

Quella che sola salva l'uomo, edifica la Chiesa, rinnova il mondo.

Da ricordare, come effetto del Giubileo.

Con la nostra Apostolica Benedizione.