Sfida alla società di oggi |
L'obiettivo centrale del Piano Pastorale persegue l'intento di rispondere alla sfida della secolarizzazione - che sta segnando in profondità la vita personale e collettiva, influenzando negativamente anche il tessuto delle comunità cristiane - ridando coraggio e fiducia alla pastorale quotidiana delle comunità parrocchiali, aiutandole a riscoprire la dimensione missionaria dell'evangelizzazione.
Infatti, il fenomeno della secolarizzazione, che comporta - per un verso - la scristianizzazione di tanti settori della vita, pone - per un altro - le condizioni di una rinnovata accettazione del Vangelo, che, anche nella società secolarizzata, è in grado di rispondere alle specifiche e radicali esigenze dell'uomo.
Bisogna perciò tornare ad una rinnovata "prima evangelizzazione" ripartendo dall'annuncio delle verità fondamentali.
Dobbiamo infatti constatare nelle nostre comunità cristiane che molti, pur avendo ricevuto un'accurata evangelizzazione all'inizio della vita, in realtà non hanno mai aderito sinceramente e profondamente al Signore e si sono allontanati e dispersi rimanendo nell'indifferenza.
Di qui la necessità di rivolgere a questi, che sono nostri fratelli, nuovamente una "prima evangelizzazione" indispensabile per far fiorire la fede nei loro cuori.
Non si tratta ora di aggiungere nuove analisi a quelle che i competenti già ci offrono, ma di fare un'opera di discernimento, una lettura di fede della realtà culturale, religiosa, territoriale - città, cintura, campagna, montagna - della nostra diocesi, per cogliere le domande profonde, che emergono dalle donne e dagli uomini del nostro tempo, nelle diverse situazioni in cui si trovano a vivere ed offrire risposte adeguate.
L'ambiente culturale condiziona molto la vita delle persone e pone particolari sfide alla missione della Chiesa.
Ne ricordiamo alcune:
- l'insieme dei mutamenti sociali e culturali a livello mondiale, che richiedono l'assunzione di nuove e inedite responsabilità;
- la rottura con la tradizione, con la conseguente crisi della trasmissione della fede soprattutto nelle famiglie e in tante istituzioni religiose, che rende necessaria la creazione di nuovi canali di comunicazione del messaggio cristiano;
- il pluralismo e i suoi mille volti, dovuto anche alla rapidità delle informazioni e degli scambi, che pone ai credenti l'urgenza di rendere più consapevolmente ragione della propria fede e di sviluppare dinamiche evangeliche di dialogo con tutti;
- la presa di distanza dalle religioni istituzionalizzate e la conseguente crescita di una nebulosa religiosa con la sua grande miscela di credenze, con tendenze che possono portare sia al relativismo che all'assolutismo fanatico, che postula un confronto a tutto campo sul significato e la portata specifica della salvezza cristiana;
- le varie forme di individualismo e soggettivismo che inducono a non preoccuparsi più di distinguere tra vero e falso, tra bene e male, le quali tuttavia non devono far dimenticare la straordinaria importanza assunta dalla dignità della persona in una significativa parte della società attuale;
- l'indifferenza che si accompagna con l'assenza di grandi ideali e scarsa voglia di impegno sia in campo religioso che sociale, la quale deve stimolare nei credenti l'attenzione a contrastare questa deriva della libertà in collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà;
- la presenza di un sottile ma persistente anticlericalismo e anticattolicesimo, che trova non di rado espressione nei media, che può essere occasione di suscitare nei credenti una coraggiosa demistificazione di preconcetti ingiusti e disporli ad assumere con sincerità quanto ci può essere di vero in certe critiche.
Tutto questo ci riporta alla necessità di rievangelizzare i cattolici, la cui formazione lascia ancora molto a desiderare.
È urgente dimostrare capacità di essenzializzare, non ridurre, il messaggio, facendo emergere con chiarezza i valori portanti di cui è costituito.
Questo significa soprattutto tornare a dare il primato alla Parola di Dio attestata nella Scrittura, come sapevano fare i grandi Padri e Vescovi dei primi secoli.
La Scrittura ci richiama la potenza della Parola di Dio e la sua capacità di scuotere i cuori e le coscienze verso un cammino di conversione.
Dalla Scrittura si potrà imparare che l'etica cristiana deriva dalla fede cristiana, di cui è espressione e manifestazione.
Ci sono ancora troppi discorsi morali a fronte di una scarsa coltivazione della fede.
Questo provoca pericolose asimmetrie.
Come possiamo pretendere che si accetti l'etica cristiana là dove non c'è la fede cristiana?
Perciò il primato assoluto deve essere dato alla fede.
Il resto verrà di conseguenza.
Se è vero che è ormai un dato assodato che non siamo più in un contesto di cristianità, è anche vero che di fatto sovente ci si comporta, nelle nostre proposte pastorali, come se ancora lo fossimo.
Prendere atto del contesto storico-culturale nel quale deve svolgersi la missione della Chiesa potrebbe diventare causa di insicurezza e di ansietà, soprattutto da parte di chi è stato formato in un contesto di cristianità.
Penso soprattutto ai sacerdoti di una certa età.
Ritengo tuttavia doveroso aiutarci a guardare coraggiosamente in faccia la situazione nella quale viviamo non già per spaventarci, e tanto meno per incrociare le braccia, ma per ritrovare nuovi spazi di creatività, condizione indispensabile per trasmettere in forme nuove la buona novella di sempre.
La pastorale tradizionale, con tutti i suoi pregi e con la grande dedizione che la caratterizzò, ha oggi urgente bisogno di essere orientata in una prospettiva nuova, cioè "missionaria".
Bisogna cambiare non solo e non tanto le svariate attività concrete, ma il nostro modo di essere e di pensare: è l'attenzione a "quelli di fuori" che fa maturare "quelli di dentro".
Dobbiamo ricordare un richiamo del Vangelo: "queste cose dobbiamo fare - l'attenzione ai vicini - senza omettere le altre, cioè la ricerca e l'evangelizzazione dei lontani" ( Lc 11,42 ).
Questo atteggiamento pone al riparo da ogni tentazione di "riconquista rivendicativa" o di "rassegnazione passiva" per riscoprire la gioia e la responsabilità di essere "sale della terra e luce del mondo" ( Mt 5,13.14 ) e la forza dirompente del "primo annuncio", che non è quello che viene fatto per la prima volta, ma quello che ripropone il centro, l'essenza del messaggio cristiano da cui tutto deriva.
Ed è proprio in questo senso che sento la necessità di invitare con l'urgenza dell'amore di Cristo ogni membro della nostra Chiesa a destare in sé e negli altri l'entusiasmo della "prima evangelizzazione", che può portare ancora oggi la salvezza a coloro che sembrano vicini, ma che in realtà sono fuggiti con il cuore lontano da Dio e dai fratelli.